Utilizzare il sistema immunitario del paziente per combattere alcuni tipi di tumori: è questa l’idea alla base dell’immunoterapia, negli ultimi anni protagonista assoluta della lotta contro il cancro. Ed ora, ulteriore passo avanti, frontiera della frontiera, arrivano le Car-T (Chimeric antigen receptor-Therapy), al momento la forma più sofisticata possibile di immunoterapia: i linfociti T, un sottotipo di globuli bianchi, estratti dall’organismo e poi riprogrammati in modo da riconoscere e attaccare le cellule neoplastiche, combattendo i tumori del sangue.
Sembra sinceramente entusiasta André Choulika, biotecnologo, pioniere delle tecniche di editing genomico quando, nel suo appassionato TED Talk, entra nel vivo della questione partendo da lontano, molto lontano, ossia dal funzionamento del nostro “comando generale di difesa”. “Il sistema immunitario è costituito da un insieme di strutture e meccanismi altamente specializzati per la difesa dell’organismo dalle minacce provenienti dall’esterno. La caratteristica primaria di questo sofisticato sistema è la capacità d’identificare agenti esterni e di produrre una risposta immunitaria adeguata”. Ma per le cellule tumorali è diverso, sottolinea Choulika, perché spesso non vengono riconosciute.
Per ovviare a tale difficoltà i ricercatori hanno messo a punto numerose strategie utilizzando, ad esempio, anticorpi che tolgono “il freno” al sistema immunitario, mettendolo in condizione di esprimere tutte le sue potenzialità o, come nel caso delle Car-T, “armando” popolazioni di cellule pluridotate per accrescerne ulteriormente gli effetti.
Le cellule, o linfociti, T, che derivano dalle staminali del midollo osseo, sono infatti le più potenti cellule “killer” del sistema immunitario: sono in grado di attaccare l’agente nemico distruggendolo, hanno la straordinaria capacità di rigenerarsi velocemente e di moltiplicarsi esponenzialmente. Per produrre le Car-T è dunque necessario estrarre i linfociti T dal sangue del paziente (oppure da quello di un donatore compatibile) e poi ingegnerizzarli inserendo al loro interno frammenti di Dna che consentano ai linfociti T di produrre i Car (Chimeric antigen receptor), recettori in grado di riconoscere le cellule tumorali e di colpirle maniera mirata, compiendo quella che André Choulika non esita a definire “la più dirompente rivoluzione nella storia della medicina”.
In realtà, sebbene le Car-T siano giunte all’attenzione dell’opinione pubblica solo recentemente, hanno una storia che inizia verso la metà degli anni 80, grazie alle intuizioni dei ricercatori Zelig Eshhar, del Centro di Ricerca Weitzmann in Israele, accreditato per aver prodotto uno dei primi Car-T in forma ancora preliminare, e Dario Campana, durante la sua permanenza al St. Jude Children’s Research Hospital di Memphis, Tennessee.
Ma si è dovuto attendere molto tempo prima di poter vedere risultati nella pratica clinica.
I primi case report, pubblicati dal team di Steven Rosenberg del National Cancer Institute e di Carl June dell’Università della Pennsylvania, riguardavano alcuni pazienti affetti da linfoma e leucemia cronica, con risultati considerati parziali, in quanto le iniziali risposte non furono confermate nei pazienti successivi.
L’evento che ha determinato una svolta storica per il destino delle Car-T è stato quanto accaduto a una bambina di 7 anni, Emily Whitehead, affetta da leucemia linfoblastica acuta da due anni e resistente al trattamento chemioterapico, che nell’aprile 2012 fu la prima paziente pediatrica a essere trattata dal presso il Children’s Hospital di Philadelphia con la Car-T sviluppata presso l’Università della Pennsylvania.
Tre settimane dopo l’infusione e dopo aver superato una severa e imprevista crisi determinata dal rilascio di citochine da parte delle cellule T che combattevano contro la leucemia, la bambina ottenne una remissione completa. Ovviamente questa notizia generò molta attenzione nel mondo scientifico che, fino a quel momento, aveva considerato i Car un esercizio accademico più che una reale possibilità terapeutica.
Da questi primi report sulle Car-T si è fatta molta strada.
Come specifica Yi Lin, a capo del Cellular Therapeutics Cross-Disciplinary Group al Mayo Clinic Cancer Center, attualmente sono due le terapie Car approvate dalle autorità regolatorie statunitense ed europea. In un caso l’indicazione è per pazienti pediatrici e giovani adulti fino ai 25 anni con leucemia linfoblastica acuta a cellule B refrattaria, la cui malattia sia progredita, anche dopo il trapianto di midollo osseo e per il trattamento di pazienti adulti con linfoma diffuso a grandi cellule B che si ripresenti dopo due o più linee di terapia sistemica. Nel secondo caso l’indicazione è per pazienti adulti con linfoma diffuso a grandi cellule B e con linfoma primitivo del mediastino a grandi cellule B recidivanti o refrattari.
Oggi le Car-T non si utilizzano in prima linea, ma si sta lavorando per anticiparne la somministrazione. In un futuro non lontano, la terapia cellulare potrà diventare la base del trattamento per molte tipologie di tumore. Ragionando in prospettiva, poi, la stessa terapia si potrà e sfruttare anche per altre patologie, dalle malattie neurodegenerative a quelle cardiovascolari.
E in Italia? “Speriamo che l’indicazione dell’Aifa arrivi entro l’estate o subito dopo”, osserva Pier Luigi Zinzani, professore ordinario di Ematologia dell’Università di Bologna. “Non abbiamo a che fare con un farmaco, ma con un complesso prodotto cellulare che, in caso di fallimento di precedenti terapie, può costituire un’irrinunciabile opzione salvavita”. Non possiamo più attendere.