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Tumori e trombosi, una relazione pericolosa


Grazie agli enormi progressi compiuti negli ultimi anni dalla ricerca scientifica, oggi, molto più spesso che in passato è possibile guarire dal cancro o quantomeno cronicizzare la malattia. Con l’aumento dell’aspettativa di vita dei pazienti oncologici, tuttavia, cresce anche l’onere associato a quelle condizioni secondarie ai tumori – come comorbidità e complicanze legate ai trattamenti – in grado di influenzare in modo ugualmente significativo salute e qualità di vita.

Una delle più rilevanti in questo senso, anche se una delle meno conosciute, è il tromboembolismo venoso, come ha mostrato l’evento “Cancro e Trombosi: una correlazione rischiosa ancora poco conosciuta”, organizzato su iniziativa della Senatrice Paola Binetti – in collaborazione con la Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia (FAVO) – presso il Senato della Repubblica, il 20 novembre scorso.

Ma in cosa consiste il tromboembolismo venoso? Nello specifico, con questo termine si fa riferimento a due patologie: la trombosi venosa profonda, costituita dalla formazione di un coagulo all’interno di una vena situata in profondità, e l’embolia polmonare, condizione potenzialmente letale che si verifica quando un frammento di coagulo si stacca e viaggia fino ad andare ostruire le arterie polmonari.

Condizioni, queste, che si rilevano più frequentemente nei pazienti oncologici. Basti pensare che il 20 per cento di tutti i casi di tromboembolismo venoso si verifica in soggetti affetti da cancro e che, in questa popolazione, il rischio di andare incontro a trombosi venose profonde ed embolie polmonari è di 4-7 volte superiore tra i pazienti sottoposti a chemioterapia e di 2 volte superiore tra quelli che affrontano un intervento chirurgico. Inoltre, in molti casi il verificarsi di un evento trombotico costringe i pazienti a interrompere il trattamento anti-cancro, con conseguenze potenzialmente molto gravi.

Per questo motivo la European Cancer Patient Coalition (ECPC) – organizzazione che raccoglie più di 400 associazioni di pazienti oncologici provenienti da 44 Paesi – ha lanciato unn sondaggio per verificare il livello di consapevolezza delle persone malate di cancro su questa tematica.

Abbiamo ritenuto opportuno prendere un’iniziativa a livello europeo per il problema del rischio trombotico nei malati di cancro(…) perché si è visto che questo non riguarda solo la chemioterapia ma anche le terapie più innovative, come ad esempio l’immunoterapia”, ha dichiarato Francesco De Lorenzo, Presidente FAVO ed ECPC, intervenuto all’evento tenutosi al Senato .

Il 20 % di tutti i casi di tromboembolismo venoso si verifica in soggetti affetti da cancro.

I risultati dell’inchiesta, presentati proprio all’evento organizzato dalla Senatrice Binetti, mostrano che il livello di consapevolezza dei pazienti oncologici europei sul rischio trombotico è tuttavia molto basso. Il 72 per cento dei partecipanti, infatti, ha dichiarato di non aver mai sentito parlare di questo problema. E anche quella quota di pazienti che ne è a conoscenza – ha spiegato De Lorenzo – “ne sa molto poco o comunque ne ha scoperto l’esistenza solo quando ha dovuto affrontarlo

Quindi stiamo cercando di vedere come affrontare questo problema, per far sì che l’aspetto trombotico venga considerato, dal malato e dal medico, come un fatto da seguire con maggiore e crescente attenzione”. Perché i modi per ridurre il rischio esistono. Ad esempio, indossando calze contenitive o, come ha sottolineato il Presidente della FAVO, “attraverso il movimento”.

Recentemente, poi, sono stati introdotti nuovi trattamenti farmacologici assumibili per via orale che hanno permesso di andare oltre la tradizionale terapia somministrata tramite iniezioni quotidiane e percepita come molto invasiva.

È bene che il malato possa prevenire il tromboembolismo venoso con trattamenti che evitino l’ospedalizzazione o il ricorso all’ospedale per la somministrazione delle terapie e che non siano costretti ad assumere dei farmaci che riducono la loro qualità della vita”, ha concluso De Lorenzo.

È fondamentale dunque che gli operatori sanitari e le associazioni forniscano ai pazienti, in ogni fase del percorso terapeutico, le informazioni relative al rischio trombotico associato al cancro. Sul sito dell’ECPC, ad esempio, sono disponibili delle brochure che spiegano ai pazienti come prevenire l’insorgenza di queste condizioni, riconoscere eventuali sintomi e a chi rivolgersi in caso di necessità.