Sono ancora sotto i nostri occhi le roventi immagini di Alaska e Siberia, di Groenlandia e Canada in fiamma: regioni congelate che hanno un ruolo cruciale nel sistema di raffreddamento del pianeta stanno oggi contribuendo al riscaldamento globale, al cambiamento climatico e alle emissioni di CO2. Qualcosa di molto simile a quanto sta accadendo in Amazzonia: la foresta brucia e con essa il polmone dell’umanità.
“Il record dei 20 anni più caldi c’è stato negli ultimi 22 anni. L’Onu stima che due terzi della popolazione mondiale dovranno confrontarsi con carenze idriche entro i prossimi sei anni. La Banca Mondiale sostiene che entro il 2050 ci saranno 140 milioni di rifugiati climatici in Africa Sub-Sahariana, America Latina e Sud Asia”. Questi sono alcuni dei numeri che Britt Wray, science storyteller, riepiloga nella TED Talk dal titolo “How climate change affects your mental health?”.
Quali sono gli effetti del cambiamento climatico sulla nostra salute mentale? Come influisce l’aumento delle temperature sul nostro equilibrio psichico? Sono le domande che si è posta Wray. Chi si è confrontato con gli effetti del cambiamento climatico professionalmente, come lei, o eticamente, come molti di noi, ha sicuramente avuto a che fare con sentimenti intensi come la paura, il fatalismo e il senso di impotenza. “Se hai vissuto fisicamente un disastro ambientale le emozioni hanno scavato in profondità arrivando a shock, trauma, relazioni tese, abuso di sostanze e perdita di identità e del controllo”, continua Wray.
Ci sono evidenze che mostrano come in seguito a eventi catastrofici quali l’Uragano Katrina o Sandy aumentino i tassi di Disturbo post traumatico da stress e di pensieri suicidi. “Se non bastasse”, incalza Wray, “l’American Psychological Association sostiene che le nostre risposte psicologiche al cambiamento climatico (…) stanno aumentando”. I nostri processi mentali consci e inconsci stanno rafforzando la nostra capacità di resilienza, ed è una buona notizia, ma potrebbe non bastare se il contesto continuerà a collassare così velocemente.
Un recente articolo sul Guardian affronta l’aspetto adattivo, spostandolo su un piano linguistico: le persone cominciano a sentire la necessità di nuove parole per descrivere i problemi di salute mentale legati al cambiamento climatico, che sia la siccità estrema del Nuovo Galles del Sud in Australia o lo scioglimento del ghiaccio della Groenlandia. “Il filosofo australiano Glenn Albrecht ha coniato il termine solastalgia per descrivere l’angoscia causata dalle alterazioni ambientali dovute alla siccità, prendendo in prestito la parola latina conforto (sōlācium) e la radice greca che designa il dolore (-algia), per restituirci un neologismo che riassume gli effetti devastanti di trovare disagio dove cercavi sollievo”, scrive Anouchka Grose, psicoanalista e scrittrice australiana.
Anche la Wray nella sua TED Talk si concentra sulle risposte adattive, mettendo in luce la follia che sottende il cambiamento climatico e provando a spingere il ragionamento ad un punto più estremo: “È opportuno fare un figlio in un’epoca di cambiamento climatico?”. Oggi infatti molte giovani coppie si chiedono se fare un figlio sia una scelta etica. Ad indicare come gli effetti psicologici del cambiamento climatico stiano entrando nelle nostre case. Wray ci parla del BirthStrike, movimento i cui membri scelgono di non aver figli a causa delle critiche condizioni ambientali a cui nessun governo sta dando risposte efficaci.
Il grande dubbio se avere un figlio nell’epoca della crisi climatica è un indicatore importante di quanto le persone si sentano sotto pressione.
Se da un certo punto di vista stiamo condannando i nostri figli a vivere in un mondo in cui i disastri naturali – uragani, inondazioni, incendi – sono fenomeni all’ordine del giorno; da un’altra angolazione a pesare è l’impatto ambientale di questa scelta. Sappiamo infatti dai numeri che l’eredità di carbonio di ogni bambino che nasce in un paese industrializzato è significativa e che avere un figlio è una delle scelte con un maggiore impatto sull’ambiente: “Se un bambino del Bangladesh aggiunge solo 56 tonnellate all’eredità di carbonio dei suoi genitori nel corso della loro vita, un bambino americano, a confronto, ne aggiunge 9.441”.
Per alcuni per alcuni la soluzione è quella di adottare i bambini, altri ritengono che non sia etico avere più di un figlio, perché i bambini aumentano le emissioni di gas serra. Il fatto è che si avverte una pressione psicologica che nasce dal vedere messo in discussione il proprio diritto a diventare genitori. Mentre qualcuno sta puntando il dito sulle propria abitudini di vita, quando il problema è più profondo, sistemico. Stando all’esperienza di Wray, che affronta da tempo il tema con genitori, filosofi, bioeticisti, le persone preoccupate di avere figli a causa del cambiamento climatico non sono motivate da un orgoglio ascetico. Sono solo snervate.
Se per molti il futuro è distopico, per altri i folli sono i catastrofisti: è delirante questo tipo di scenario, un sintomo del panico alimentato dai media. Due posizioni che rispecchiano due legittimi tentativi di autoconservazione possibili.
“Il grande dubbio se avere un figlio nell’epoca della crisi climatica è un indicatore importante di quanto le persone si sentano sotto pressione”, continua Britt Wray, ma il punto dovrebbe essere un altro, le responsabilità collettive: come usiamo l’ambiente per sostenere le nostre società. “In questo momento, gli studenti di tutto il mondo stanno gridando per il cambiamento con la voce penetrante della disperazione e il fatto che possiamo vedere come contribuiamo a questo problema ci faccia sentire insicuri è folle in sé”, un altro paradosso psicologico che Wray mette in luce nella sua TED Talk.
La salute mentale deve essere parte integrante di qualsiasi strategia di sopravvivenza ai cambiamenti climatici.
Tornando all’articolo sul Guardian, una delle considerazioni interessanti di Anouchka Grose è che tutte le possibili risposte al cambiamento climatico in atto sembrano folli, frutto di un’esasperazione: se basiamo le nostre scelte sulla prevenzione e abbracciamo un approccio cautelativo rischiamo di sembrare patologicamente ansiosi, se manteniamo la calma potremmo apparire ottusi o egoisticamente autodistruttivi. Quello che è certo è che abbiamo bisogno di nuove categorie e di nuove parole per descrivere, ed affrontare, i disagi sul piano psicologico che il cambiamento climatico porta nella nostra quotidianità.
Non possiamo permetterci di trattare gli impatti psicologici del climate change come una questione che possiamo rimandare, perché le altre questioni – politica, scienza, economia – sembrano più imminenti. “La salute mentale deve essere parte integrante di qualsiasi strategia di sopravvivenza al cambiamento climatico”, continua Wray. “Richiede finanziamenti, etica dell’equità e delle cure e consapevolezza diffusa: perché anche se sei la persona più emotivamente evitante del pianeta, non esiste un tappeto al mondo che sia abbastanza grande da poterci nascondere tutto questo sotto il tappeto con un colpo di scopa”.
Il cambiamento climatico è un tema trascurato nella salute mentale, i pochi esiti in studio sono del tutto ipotetici, ed è certo che per poter dire qualcosa, costruire nuove categorie, trovare strategie adattive e soluzioni abbiamo bisogno di poter osservare come reagiremo ai nuovi fenomeni.
Greta da sola non può cambiare il mondo, tutti dovremmo dare il nostro contributo, medici inclusi.
La giovane Greta e il movimento da lei attivato hanno fornito un efficace antidoto emotivo per contrastare il senso di impotenza e di insicurezza di cui parlano Wray e Grose che ci sta sommergendo. La sensazione forte che emerge dalle azioni di Greta è che una persona possa cambiare il mondo e che “tu” puoi essere d’aiuto e fare la tua parte. Era l’agosto 2018, solo un anno fa, quando Greta ha intrapreso la sua solitaria protesta davanti al Parlamento svedese. “L’effetto di Greta è reale”, spiega Richard Smith in un post dedicato al tema, pubblicato sul blog The Bmj Opinion del British Medical Journal. Da quando Greta Thunberg si è attivata contro il cambiamento climatico, ad esempio, numeri alla mano, gli Svedesi hanno diminuito la frequenza con cui viaggiano in aereo.
Le azioni a livello individuale sono la via più immediata per ridurre la nostra impronta ecologica e guadagnare un impatto positivo in termini di salute. Ma non bastano. Questa è una sfida collettiva. “Greta da sola non può cambiare il mondo, tutti dovremmo dare il nostro contributo, medici inclusi”, continua Smith. “I medici ne sanno abbastanza di scienza per comprendere gli orrori devastanti conseguenti al cambiamento climatico, quindi come possiamo vivere le nostre vite come se nulla stesse accadendo o non fare la differenza?”.
Fare meno figli, volare e guidare il meno possibile, ridurre il consumo di carne sono alcune delle azioni possibili. Ma serve anche confrontarci come individui e come professionisti sulle conseguenze del cambiamento climatico e sulle azioni che possiamo intraprendere per contrastarlo. Possiamo anche scegliere a chi dare i nostri soldi: meglio finanziare politici impegnati nella lotta al cambiamento climatico sia a livello locale sia a livello globale piuttosto che finanziare i progetti per la compensazione delle emissioni di anidride carbonica, scrive Claudia Grisanti su Internazionale.
Tutte azioni così semplici da richiedere molto coraggio.