Positivo. Così Emma Bonino definisce il bilancio di 40 anni di Legge 194, quella sull’aborto. O meglio, sulle “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”, approvata il 22 maggio 1978, dopo anni di battaglie per i diritti delle donne di cui lei stessa è stata protagonista.
Il diritto in questione, ci tiene a precisare la senatrice in un’intervista all’Ansa, “è la scelta di se, come e quando diventare madri. L’aborto è uno degli strumenti, l’ultimo che le donne scelgono per la verità, o dovrebbero scegliere, perché comunque è un trauma, magari non medico ma emotivo, sì”.
“Poteva andare più velocemente”, prosegue la leader radicale. “Possiamo ancora adesso eliminare sacche di discriminazione – vere e proprie violazioni di legge, ma è indubbio che dopo un periodo un po’ arrugginito si è messa in moto l’applicazione, e io credo che sia stata una legge positiva”. A determinare la positività di questa legge e del bilancio dei passati quarant’anni è “lo stesso declino del ricorso all’aborto, come i numeri dimostrano”, sottolinea Emma Bonino, che evidenzia come oggi, a ricorrervi di più siano le donne immigrate: quelle che hanno meno accesso ai servizi sanitari, alla contraccezione, al family planning.
Dopo quarant’anni, tuttavia, ancora non si può considerare questa una battaglia già vinta, una cosa di cui non occuparsi più. C’è ancora da lavorare: “Da una parte mettere un argine all’obiezione di coscienza di massa, che spesso non è di coscienza ma di carriera, e dall’altra fare più attenzione alle innovazioni scientifiche, per esempio all’aborto farmacologico”.
Quella dell’obiezione di coscienza è una questione (attuale e portata avanti con le stesse argomentazioni e armi da anni, come ricorda questo video del 2014 di Corrado Guzzanti nei panni di Padre Florestano Pizarro) che preoccupa molto un’altra donna da sempre in prima linea per i diritti delle donne: Elisabetta Canitano, ginecologa presso la Asl Roma D e direttrice dell’associazione Vita di Donna.
In un intervento di appena un anno fa, Canitano tracciava un quadro inquietante della situazione nel Lazio: “Sicuramente Roma ha dei grandi ospedali, ha dei grandi servizi laici che eseguono interruzioni di gravidanza, abbiamo però invece in regione una grandissima migrazione dalle asl del nord e dalle asl del sud e abbiamo undici punti nascita, che non eseguono affatto interruzioni di gravidanza, distribuiti nelle nostre province; questo significa una grande sofferenza per questo diritto delle donne”.
In Italia (dati del Ministero della Salute del 2017) è obiettore di coscienza il 70,9 per cento dei medici ginecologi e nel Lazio si arriva quasi all’80 per cento. Va peggio in Basilicata, dove si supera l’88 per cento, in Puglia e Sicilia entrambe a 86, in Abruzzo e in provincia di Bolzano (83,1 per cento) e, per finire, in Campania e in Molise, dove poco più dell’81 per cento dei ginecologi è obiettore.
“La cosa che io vorrei far notare con sincera preoccupazione”, prosegue Elisabetta Canitano, “è che oltre ad avere degli ospedali religiosi, e che quindi non eseguono interruzioni di gravidanza, come Il Fatebenefratelli, il Policlinico Gemelli, Villa San Pietro, noi abbiamo anche dei direttori di unità operativa complessa – che una volta si chiamavano primari – negli ospedali laici, provenienti dal Vaticano: a Viterbo, a Frosinone, al San Giovanni, al Policlinico Casilino (…) Dopo che è morta la ragazza di Catania (Valentina Milluzzo, ndr), che è morta perché non è stata soccorsa, perché c’era il battito, mi ha chiamato una donna e mi ha detto: ‘Sono stata male nell’altra gravidanza, ho scelto di fare un altro figlio, ma non voglio morire, c’è un ospedale dove posso essere sicura che vengo io prima?’”.
Ad alimentare ulteriormente il dibattito è la battaglia che si sta combattendo proprio in questi giorni a Roma per mantenere aperto lo spazio storico della Casa Internazionale delle Donne. Venerdì scorso, infatti, dopo mesi di incertezza è stata approvata la mozione Guerrini (M5S) che prevede di “riallineare e promuovere il ‘Progetto casa internazionale della donna’ alle moderne esigenze dell’Amministrazione e della cittadinanza, attraverso la creazione di un centro di coordinamento gestito da Roma Capitale e prevedendo, con appositi bandi, il coinvolgimento delle associazioni”. Le responsabili della Casa, tuttavia, temono che questa mossa porti all’interruzione delle attività portate avanti nella struttura, se non addirittura alla sua chiusura definitiva che, oltre a eliminare servizi importanti di assistenza medica, psicologica e legale, lascerebbe anche 17 donne senza lavoro.
Qui il video dell’intervista a Emma Bonino.
Di seguito, invece, l’intervento di Elisabetta Canitano.