Una pandemia è per definizione un evento catastrofico, quasi sempre imprevedibile. Quasi. Dopo la pandemia di covid-19 del 2020 sono molti gli scienziati che si interrogano sui virus “candidati” a essere i protagonisti di una possibile prossima pandemia, monitorando i focolai in giro per il mondo. Non è solo una questione di curiosità scientifica: c’è in ballo la possibilità di reagire velocemente ed evitare una potenziale strage.
La stragrande maggioranza dei virologi ritiene che il pericolo maggiore sia rappresentato dall’influenza aviaria, un nemico che già conosciamo ma che appare in pericoloso mutamento da qualche tempo. L’Europa infatti sta attualmente vivendo la più grande epidemia di influenza aviaria negli uccelli selvatici e d’allevamento che il continente abbia mai visto. Durante il primo anno dell’epidemia, tra ottobre 2021 e settembre 2022, i casi si sono diffusi in 37 Paesi. L’attuale ceppo virale H5N1 ha colpito un’area geografica molto ampia, circa 50 milioni di uccelli sono stati abbattuti negli allevamenti colpiti, secondo l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa).
L’influenza aviaria – si spiega sul sito dell’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie (IZSVe), che è un ente sanitario che persegue obiettivi di salute pubblica svolgendo attività di controllo e sorveglianza, ricerca scientifica e servizi specializzati negli ambiti della salute animale, dei rischi alimentari e delle zoonosi – è una malattia virale che colpisce prevalentemente gli uccelli selvatici, che fungono da serbatoio e possono eliminare il virus attraverso le feci. Solitamente tali uccelli non si ammalano, ma possono essere molto contagiosi per gli uccelli domestici come polli, anatre, tacchini e altri animali da cortile. L’influenza nel pollame si presenta regolarmente nel territorio nazionale, sia nella forma causata da virus a bassa patogenicità (Lpai) sia da virus ad alta patogenicità (Hpai). Questa malattia, soprattutto quando sostenuta da ceppi altamente patogeni, ha conseguenze devastanti: non solo per l’elevato tasso di mortalità che può essere raggiunto, ma anche per il forte impatto economico che ne consegue, dovuto all’adozione di politiche di eradicazione e alle restrizioni al commercio imposte nelle zone in cui sorgono i focolai. L’importanza del controllo sanitario per questa malattia non è legato solo a un problema di sanità animale ma anche di salute pubblica. Infatti i virus influenzali appartenenti al tipo A possono infettare anche altri animali (maiali, cavalli, cani, balene) nonché l’uomo.
A ottobre 2022 si è sviluppato un focolaio di aviaria in un allevamento di visoni nel nord-ovest della Spagna, in Galizia: cosa c’è di strano? Che i visoni non sono uccelli: si tratta della prima trasmissione da mammifero a mammifero in condizioni controllate dell’attuale epidemia. Finora il virus H5N1 aveva fatto solo salti sporadici nella popolazione dei mammiferi, ecco perché quello dell’allevamento di visoni in Galizia è un caso di rilievo che preoccupa i ricercatori, che non a caso all’evento hanno dedicato un paper pubblicato dalla rivista “Eurosurveillance”.
“È una delle cose in più rapida evoluzione del pianeta”
“Se è possibile un contagio da mammifero a mammifero di questo virus”, spiega Thijs Kuiken, patologo esperto di influenza aviaria presso l’Erasmus university medical center, “lo stesso potrebbe essere possibile nell’uomo. Le versioni ancestrali dell’odierno virus H5N1 circolano tra gli uccelli da circa 25 anni e non hanno ancora acquisito la capacità di diffondersi tra gli esseri umani. Ciò ci porta a pensare che il rischio di una pandemia umana sia basso. Ma il recente aumento dei casi tra gli uccelli selvatici e la scoperta che il virus può essere trasmesso tra i mammiferi, aumentano il rischio che il virus possa iniziare a diffondersi negli esseri umani. Vorrei vedere una maggiore sorveglianza delle persone che lavorano nel settore del pollame per assicurarsi che chiunque venga infettato venga rapidamente individuato e isolato”. Finora, l’influenza aviaria non è sembrata capace di diffondersi facilmente tra gli esseri umani. Ci sono stati 873 casi riconosciuti di infezione umana da virus H5N1 in tutto il mondo tra il 2003 e il 25 febbraio 2023, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Le persone colpite vivevano o lavoravano quasi sempre a stretto contatto con uccelli infetti, vivi o morti, o in ambienti contaminati dal virus. Ma come sempre accade con le patologie infettive è una questione di numeri: più un virus si diffonde negli animali selvatici o domestici, più aumenta la possibilità che possa effettuare un salto di specie e arrivare all’uomo. E se ciò avvenisse? È un virus davvero pericoloso? A febbraio 2023, l’Oms ha valutato come “basso” il rischio per l’uomo derivante dall’influenza aviaria, ma ha avvertito anche che non dovremmo presumere che sarà sempre così. Parte di ciò che rende l’influenza aviaria potenzialmente pericolosa infatti è il suo tasso di mortalità. Delle 873 persone contagiate negli ultimi 20 anni, il virus ne ha uccise più della metà.
Ciò che però preoccupa anche gli scienziati dell’influenza aviaria è la sua capacità di mutare forma. “È una delle cose in più rapida evoluzione del pianeta”, spiega Paul Digard, professore di virologia presso il Roslin institute dell’University of Edinburgh. “Un grosso problema si verificherebbe se una persona o un animale venisse infettato sia dall’influenza aviaria che da quella umana, poiché i virus potrebbero mescolare e abbinare segmenti di patrimonio genetico per produrre un nuovo sottotipo. E questo potrebbe essere l’inizio di una pandemia”.
Perché non vacciniamo gli uccelli, allora? Non è una battuta. Il pollame d’allevamento viene infatti abitualmente vaccinato contro l’influenza aviaria, ma non ovunque. “Se sei un Paese che normalmente non ha un’influenza aviaria altamente patogena, non tendi a vaccinare, mentre parti del mondo dove è endemica, come la Cina, vaccinano regolarmente”, spiega ancora Digard. Il Regno Unito e gli Stati Uniti non vaccinano il loro pollame, e nemmeno l’Europa in generale. Ma questo potrebbe essere sul punto di cambiare. In risposta all’attuale epidemia di influenza aviaria, la Commissione europea ha recentemente annunciato che armonizzerà le norme sulla vaccinazione degli animali e stabilirà le condizioni per facilitare la circolazione degli animali vaccinati e dei loro prodotti. Le norme, entrate in vigore il 12 marzo, lasciano ancora ai paesi dell’Ue la decisione di vaccinare il proprio pollame contro l’influenza aviaria. Attualmente esiste anche un solo vaccino contro l’influenza aviaria – per i polli – con un’autorizzazione all’immissione in commercio dell’Agenzia europea per i medicinali, che disciplina anche i medicinali veterinari. A dicembre, l’Agenzia francese per l’alimentazione, l’ambiente e la salute e la sicurezza sul lavoro (Agence nationale de sécurité sanitaire de l’alimentation, de l’environnement et du travail, Anses) ha affermato che uno degli ostacoli per vaccinare efficacemente i polli è che ci sono troppo pochi vaccini disponibili. Ha anche sottolineato il fatto che non ci sono al momento vaccini approvati per le anatre, che sono tra le specie più sensibili all’influenza aviaria.
Un problema con i vaccini esistenti è che fanno sì che gli uccelli risultino positivi al virus, il che significa che gli allevatori non possono garantire che i loro uccelli siano esenti da H5N1. “Ciò ha enormi implicazioni per il commercio internazionale e le esportazioni”, afferma Keith Poulsen, direttore del Wisconsin veterinary diagnostic laboratory a Madison. Sono però nelle prime fasi di sviluppo dei vaccini che potrebbero risolvere questo problema. Il microbiologo Adel Talaat dell’University of Wisconsin-Madison e il suo team stanno sviluppando un vaccino che utilizza solo una piccola parte del Dna del virus. I test mirati ad altre regioni genetiche potrebbero quindi poi distinguere tra uccelli che sono stati vaccinati e quelli che sono stati infettati. “Gli allevatori di pollame potrebbero anche allevare una più ampia varietà di razze per fermare il virus”, afferma Nichola Hill dell’University of Massachusetts di Boston. “In Asia, dove gli allevatori hanno una lunga storia di epidemie di influenza aviaria, alcuni sono passati a razze meno suscettibili al virus”.
Gli allevamenti di pollame sono un campo di battaglia chiave nella lotta contro l’H5N1. Le epidemie nelle fattorie minacciano la sicurezza alimentare e offrono opportunità al virus di diffondersi ai lavoratori agricoli. Per decenni, gli allevatori hanno controllato la malattia abbattendo gli animali infetti. Ma ora, con molti Paesi che sperimentano focolai in dozzine di allevamenti ogni mese, questo sta diventando insostenibile. Occorre aumentare il controllo e l’igiene negli allevamenti, implementando misure per proteggere il pollame, come ripulire le aree accessibili dal grano e dal concime, che potrebbe attirare gli uccelli selvatici e lavare gli stivali con cura prima di entrare nelle fattorie e di uscirne.