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Biobanche troppo bianche: forniscono informazioni poco utili a popolazioni diverse


Quando Lalita Manrai, indiana, si recò dal medico per i risultati delle analisi sulla funzionalità renale notò come i range all’interno dei quali il risultato delle analisi del sangue veniva considerato normale cambiavano in base alla popolazione (Afroamericani e Tutti gli altri). Quando chiese al suo medico quale dei due range si applicava a lei, il medico le rispose che per lei avrebbe considerato come normale “una media dei due valori”.

Nel 2016 un articolo pubblicato sul New England Journal of Medicine sulla cardiomiopatia ipertrofica (la più frequente malattia cardiaca su base ereditaria e fattore di rischio maggiore di “morte improvvisa”) sottolineava come il test genetico per valutare la presenza della mutazione responsabile della malattia si era rivelato scarsamente attendibile per un’errata identificazione delle mutazioni responsabili (considerate maligne ma in realtà benigne).

La causa di questa errata valutazione risiedeva nel fatto che, quando il Dna delle famiglie colpite dalla malattia era stato confrontato con un gruppo di controllo di persone sane, in questo gruppo non c’era una quota di afro-americani come nel gruppo di partenza. Di conseguenza, alcune varianti genetiche presenti nella popolazione afro-americana erano state interpretate come legate alla malattia mentre rappresentavano solo una differenza legata al tipo di popolazione.

Lo stesso tipo di errore (che sia nell’interpretazione di analisi di laboratorio o nell’identificazione delle varianti genetiche responsabili di una specifica malattia) potrebbe verificarsi ancora, perché gran parte della ricerca utilizzata per comprendere i test genetici e i valori di laboratorio è stata condotta su popolazioni prevalentemente europee.

Una delle risorse più ampiamente utilizzate per studiare la genetica delle malattie è la Biobanca britannica, che contiene campioni di mezzo milione di cittadini britannici di mezza età, il 95 per cento dei quali di origine europea. Ed è proprio la eccessiva omogeneità delle popolazioni di questi studi che non permette di prevedere il rischio di malattia in popolazioni non europee.

Arjun Manraj, ricercatore alla Harvard Medical School e figlio di Lalita (la donna indiana con cui abbiamo aperto l’articolo) sa che il range “Tutti gli altri” è basato su studi di popolazioni europee. Nessuna delle due categorie in realtà era applicabile alla mamma (che morì in seguito nel 2018). In questo vuoto informativo il medico aveva deciso di valutare la malattia renale di sua madre a modo suo.

La più grande diversità genetica si trova proprio nell’Africa sub-sahariana, luogo di nascita dell’intera specie umana.

È di qualche settimana fa la notizia che la Fda ha ammonito le aziende che offrono come servizio l’analisi del Dna di non inviare ai propri clienti i risultati sulla loro maggiore o minore sensibilità a determinati farmaci , ancora prima di questo, la Fda aveva impedito alla “23 and me” (l’azienda nata da una costola di Google, cioè da Anne Wojcicki, ex moglie di Sergey Brin) di comunicare ai clienti i risultati sulla probabilità di sviluppare determinate malattie (posizione in seguito ammorbidita: ora alla 23 and me è stato concesso di comunicare la sensibilità genetica a una ristretta serie di patologie, fra cui malattia di Parkinson e Alzheimer).

Per poter comprendere appieno le varianti genetiche legate alla comparsa di una malattia, la ricerca dovrebbe poter contare su dati “globali”. Attualmente, benché continuamente aggiornato, il genoma di riferimento umano – un genoma modello che incorpora tutte le conoscenze che abbiamo finora sul genoma umano – essendo stato costruito sulla base del sequenziamento del Dna di un piccolo numero di persone provenienti da un piccolo numero di paesi non può definirsi completo. Un recente studio pubblicato su Nature Genetics ha esaminato 910 individui di origine africana e confrontato il loro genoma con quello di riferimento: ebbene, a quest’ultimo mancava il 10 per cento delle informazioni contenute nel genoma della popolazione africana.

GenomeAsia 100K e H3Africa sono i due progetti impegnati a colmare le lacune lasciate da questa mancanza di “diversità” e di completezza di dati dell’intero genoma. Grandissime speranze vengono riposte soprattutto nel programma H3Africa “La più grande diversità genetica si trova proprio nell’Africa sub-sahariana, luogo di nascita dell’intera specie umana”, afferma Ewan Birney, co-direttore dell’European Bioinformatics Institute. “Ed è chiaro che, se sei un genetista, dovresti passare molto più tempo a studiare le persone che sono lì”.