Nell’ultimo decennio è cambiato radicalmente il modo in cui gli spettatori fruiscono dei prodotti televisivi. Lo sviluppo sempre maggiore delle piattaforme di streaming ha fatto sì che le persone possano ormai decidere cosa, quando (e dove) guardare, con un’ampia varietà di spettacoli televisivi sempre disponibili a costi, tutto sommato, alla portata dei più. I vantaggi sono evidenti. Più opere, più lavoro per tecnici e artisti, più scelta per i consumatori. Gli svantaggi tuttavia sono altrettanti, ma al netto di quelli che riguardano un inevitabile calo di qualità dato dall’aumento della domanda e da altri fattori non troppo approfondibili in questa sede, quelli più preoccupanti (e forse imprevedibili) riguardano la salute.
“Una spinta intensa e compulsiva a vedere un episodio dietro l’altro, provando quello che gli psicologi chiamano craving, cioè il desiderio di passare sempre all’episodio successivo, senza saziarsi mai”
Abbiamo intervistato Jacopo Cirillo, redattore di Topolino e Paperinik, fondatore del blog letterario Finzioni e autore del libro Addicted – Serie TV e dipendenze, il qualche sostiene che per affrontare il discorso sul binge watching è importante partire dalla lingua e dal significato del termine. “Sembra quasi che il prefisso binge sia nato per il watching, ma in realtà questa parola è sempre stata legata ad altri comportamenti spesso deteriori come il binge drinking o eating, un qualcosa tipico delle dipendenze patologiche o dei disturbi alimentari, in cui si assume una grandissima quantità di alimenti o bevande in un breve lasso temporale”, afferma. Se dovessimo tracciare su una linea il momento o il periodo in cui la parola binge si è legata quasi indissolubilmente al watching potremmo posizionarla nel 2013, quando Netflix ha cominciato a far uscire per la prima volta le serie TV con tutti gli episodi in contemporanea scardinando la consueta, tradizionale scansione temporale della serialità. “I binge watcher – ricorda ancora Cirillo – vivono delle dinamiche molto simili a quelle riscontrabili in altri tipi di sintomatologie o problemi legati alla dipendenza, una spinta intensa e compulsiva a vedere un episodio dietro l’altro, provando quello che gli psicologi chiamano craving, cioè il desiderio di passare sempre all’episodio successivo, senza saziarsi mai”. Questa cosa poi porta anche problemi quando la serie finisce, per cui si sente la dolorosa mancanza di quella storia, di quei personaggi e la voglia di provare di nuovo le medesime sensazioni. Ecco il cuore della dipendenza: così come il cibo o l’alcol, anche le serie televisive nella visione estrema e deviata del binge watching funzionano come riempitivo o come sostituente di qualcosa che ci manca, condizione peraltro esacerbata dal lockdown durante la prima ondata della pandemia da COVID-19. In questo periodo l’entertainment televisivo, i social network e i contenuti web in generale sono stati “usati” per sopperire alle sensazioni spiacevoli evocate dall’isolamento, come sottolineano numerosi studi scientifici.
I ricercatori hanno indagato sulla correlazione tra binge watching e lockdown, dal momento che durante il periodo con maggiori restrizioni sociali le piattaforme di streaming hanno avuto un enorme incremento di pubblico, il che ha naturalmente favorito anche l’insorgenza di binge watching estremo. Un sondaggio del 2020 a cui hanno partecipato circa 500 giovani residenti nel sud est asiatico ha individuato un peggioramento del fenomeno del binge watching, con incrementi nel periodo passato a guardare serie tv fino a 11 ore al giorno. Inoltre, poco meno della metà dei partecipanti alla survey ha riportato disturbi del sonno, ha fatto assenze ingiustificate al lavoro e ha riferito persino un aumento dei conflitti con familiari, conoscenti o colleghi. Un dato ulteriormente preoccupante riguarda poi l’alta percentuale dei partecipanti che ha dichiarato di aver provato a tenere sotto controllo questi comportamenti senza riuscirci affatto.
Anche di questo ci ha parlato Jacopo Cirillo, che sottolinea come non sia un caso che “la serie più bingiata nel 2020 sia stata Friends, quindi una sit-com con puntate molto brevi, che tutti più o meno avevamo già visto, ma soprattutto un prodotto rassicurante, leggero e senza tempo. Una sorta di ritorno a casa all’interno di uno show che ci ha accompagnato per molto tempo”. Quindi da un lato la pandemia ha alimentato il problema del binge watching estremo, ma dall’altro le sit-com e la serialità veloce, leggera e familiare hanno forse aiutato quantomeno nel breve periodo le persone a provare a sfuggire allo stress e all’angoscia causati dal momento storico che si stava vivendo. Ma a prescindere dal periodo pandemico, altri studi confermano i problemi correlati all’eccesiva dipendenza da serie, con una totale perdita di controllo sperimentata da molte persone e le possibili conseguenze negative associate a questo comportamento, come del resto emerso dalla survey citata sopra.
Oltre al trascurare compiti e doveri importanti, ai problemi di sonno e affaticamento, risultano legati allo smodato binge watching anche la riduzione dei contatti sociali e problemi di salute a lungo termine dovuti all’inattività e all’alimentazione errata o eccessiva. Quello che è difficile però è tracciare l’esatto confine tra la passione per le serie tv e la sua evoluzione patologica, capire dove e come avvenga il passaggio da un hobby e un impegno di carattere positivo a un comportamento eccessivo e incontrollato, compulsivo, associato quindi a conseguenze negative e ad una compromissione funzionale nella vita quotidiana. Uno studio dell’American Psychological Association ha riscontrato che il nevroticismo, l’estroversione e l’amabilità sono direttamente correlati al tempo speso nel binge watching, mentre la coscienziosità appare come un fattore negativamente associato ad esso. Ma chiaramente si tratta di variabli, per cui la loro associazione a modelli comportamentali problematici come i sintomi depressivi e l’impulsività rimane ancora poco chiara. Importante è quindi anche capire se determinati gruppi di persone siano più a rischio di finire vittime del binge watching patologico. Qualche mese fa un gruppo di ricercatori polacchi ha sottoposto 645 giovani – tutti di età compresa tra i 18 e i 30 anni e con l’abitudine a guardare più episodi di una serie televisiva di fila – a un questionario sviluppato per valutare la gravità del binge watching, basato su domande come: “Quanto spesso non porti a termine i tuoi doveri per guardare serie tv?” o “Quanto spesso ti senti triste o irritato perché non puoi guardare una serie tv?” o ancora “Quanto spesso rinunci a dormire per guardare altri episodi?”. Oltre una data soglia di punteggio il binge watching era considerato problematico, e i soggetti con una tendenza a svilupparlo sono risultati essere quelli con difficoltà nel controllare gli impulsi, incapacità di prevedere e valutare le conseguenze del proprio comportamento, tendenza a utilizzare il binge watching come strategia per evitare i problemi o la solitudine, lasciando emergere anche una relazione tra binge watching problematico e sintomi ansiosi e depressivi: più gravi i sintomi, più grave il binge watching. Un’evidenza, questa, che ritorna anche in altri studi realizzati ad esempio a Taiwan, negli Stati Uniti e in Portogallo.
Ma a preoccuparsi della salute degli spettatori oltre agli scienziati ci sono le piattaforme di streaming. Nel 2018 fece scalpore il caso di un utente che in sette giorni era riuscito a guardare ben 188 episodi di seguito del serial The Office. Considerando che ogni puntata dura circa 20 minuti, lo spettatore aveva passato circa 63 ore in sette giorni incollato davanti allo schermo, al punto che la stessa Netflix si era “preoccupata” per lui, inviandogli un messaggio per assicurarsi che stesse bene. Un episodio simile era avvenuto già in precedenza, quando durante le feste natalizie del 2017 oltre 50 abbonati avevano visto Un principe per Natale per 18 giorni di fila. La piattaforma allora aveva chiesto a quegli utenti se stessero bene o se stessero soffrendo per qualche problema sentimentale. Ad ogni modo, per quanto sia impossibile tracciare un confine misurabile, relativo a un numero di puntate che si possa vedere di fila, è ovvio che il binge watching sia qualcosa atto a sopperire a una mancanza, quindi un terreno più scivoloso per persone che partono già da problemi di questo tipo, e trovano nelle serie tv – come una qualsiasi altra dipendenza – un modo per sfuggire alla loro quotidianità che percepiscono come frustrante e insoddisfacente. Mark Griffiths, esperto di dipendenze comportamentali della Nottingham Trent University, sottolinea in un articolo uscito recentemente su The Conversation che “il binge watching problematico non dipende dal numero di episodi visti o dalla quantità di ore passate davanti alla TV o al computer”, ma – come per altre dipendenze – “il fattore discriminante è se il binge watching sta avendo un impatto negativo sulla vita della persona”.
“Fin dall’alba dei tempi, per noi esseri umani è molto più soddisfacente credere, star dentro a una storia coerente, rispetto al caos entropico dell’universo in cui siamo immersi”
C’è poi un’altra questione, che Jacopo Cirillo definisce come quella probabilmente “più affascinante di tutte” in questo contesto, che è quella legata alle storie, ovvero come una storia debba essere creata per risultare avvicennte, ma anche e sopratutto per creare dipendenza, che è quello che noi sostanzialmente chiediamo. “Le serie – dice l’autore – a differenza dei film, hanno un’articolazione molto più lunga, hanno cliffhanger che saranno svelati nella puntata dopo e tutti elementi che portano alla visione reiterata. Fin dall’alba dei tempi, per noi esseri umani è molto più soddisfacente credere, star dentro a una storia coerente, rispetto al caos entropico dell’universo in cui siamo immersi. Ed è molto piu semplice per noi accettare delle storie che, anche se non vere, funzionano bene e sono appaganti come verità”. In effetti, per come sono costruite le trame, troviamo sempre più stimolante e piacevole vedere qualcosa che dopo essersi sviluppato fa tornare i suoi pezzi al proprio posto. Ma cosa accade quando questo arco narrativo finisce e la storia si conclude? “Soprattutto nei casi di binge watching estremo – continua Crillo – possono venir fuori problemi legati alla depressione, perché si vuole subito entrare in una nuova narrazione costruita altrettanto bene, per farcela vivere e poi aspettarne un’altra ancora. E così via”.
Jacopo Cirillo ha analizzato questo spinoso tema nel libro citato in apertura – e scritto insieme ad altri autori – dal titolo Addicted – Serie TV e dipendenze, in cui si indaga il fatto che spesso nelle serie vengono rappresentati personaggi in preda alle dipendenze, ma allo stesso tempo le serie costringono lo spettatore al binge watching, quindi ad una dipendenza, grazie alla forza delle loro trame e dei protagonisti a cui danno vita. Insomma, un bel paradosso. “Nel libro – ci spiega Cirillo – ho provato ad approfondire la dipendenza interna alle serie tv, cioè quella che hanno tra loro i personaggi. Il diverso modo in cui i personaggi in scena si relazionano tra loro è molto appagante per il pubblico, perchè ci si può immedesimare in quello che si vede, dato che tutti hanno delle dipendenze affettive. Uno degli aspetti più importanti di come sono costruite queste narrazioni è proprio la capacità di dare a chi guarda un’idea di familiarità. La curiosità di vedere come queste storie finiscono e come i personaggi riescono a neutralizzare i problemi è un aspetto, soprattutto per i drama, molto più attraente e passibile di binge watching”.
È perfettamente normale, insomma, che le serie televisive abbiano strutture narrative ammalianti e usino tecniche che mirino a mantenere gli spettatori “agganciati”, ma sta al pubblico la capacità di stabilire il giusto limite di una visione, senza scadere nel problematico o nel patologico, ricordandosi che l’intrattenimento televisivo (o giù di lì) è intrattenimento e tale deve restare, prestando particolare attenzione agli effetti che una visione prolungata può avere su di noi e capire in tempo quando interromperla e dedicarsi ad altro. E di altro ce n’è davvero tanto, fidatevi.