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Photo by WHO / CC BY

Quando i virus vengono sconfitti: l’Africa libera dalla polio selvaggia


È stato un annuncio forse passato un poco inosservato quello che il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha fatto lo scorso 25 agosto. Certo la competizione per l’attenzione era molto alta, tra il preoccupante incremento di nuovi casi di Covid-19 in Italia e in tutta Europa, gli “scandali” della movida estiva e le misure per la riapertura delle scuole… ma anche la campagna elettorale USA e le nuove tensioni causate dall’ennesimo episodio di violenza da parte di un poliziotto statunitense contro un uomo di colore (Jacob Blake, 29 anni, colpito da 7 colpi di arma da fuoco alla schiena sparati dall’agente Rusten Sheskey a Kenosha nel Wisconsin, e ora paralizzato dalla vita in giù); ma anche l’avvelenamento dell’oppositore russo Alexei Navalny e i disordini in Bielorussia.

Eppure tra le notizie di quel 25 agosto, quella data da Ghebreyesus è una di quelle che fanno la Storia: dopo una battaglia lunga 32 anni il continente Africano è libero dalla polio selvaggia, a quattro anni dall’ultimo caso registrato in Nigeria. Era il 1988 infatti quando cominciò lo sforzo di vaccinazione contro la polio, ma solo nel 1996 – riporta il sito dell’Oms– l’African Heads of State prese ufficialmente l’impegno di eradicare questa malattia dal continente, lo stesso anno Nelson Mandela lanciava la campagna Kick Polio Out of Africa.

Da allora nel continente sono state portate avanti imponenti campagne di vaccinazione: nove miliardi di dosi somministrate a oltre 220 milioni di bambini vaccinati più volte ogni anno e un totale di oltre 1,8 milioni di casi e 350mila morti evitati. “Si è trattato di organizzare, oltre alle sedi di vaccinazioni statiche dove si vaccinano tutti i bambini che arrivano a seconda dell’età e del calendario vaccinale, campagne di vaccinazione di massa ogni sei mesi circa”, ci spiega Fabio Manenti, Responsabile Settore Progetti della Ong italiana Medici con l’Africa Cuamm. “In ogni area geografica – si chiamano distretti – dei vari paesi, periodicamente partivano team mobili che per diversi giorni vaccinavano tutti i bambini fino ai cinque anni”.

Lo sforzo organizzativo ed economico, prosegue il medico, è stato enorme. Ed è uno sforzo destinato a proseguire: infatti vi sono due minacce ancora da non sottovalutare. La prima è il fatto che comunque questo è un problema di salute globale e che il virus non è stato eradicato dal pianeta: Afghanistan e Pakistan, ricorda Ghebreyesus nel suo intervento, hanno ancora una lunga strada da percorrere prima di arrivare al medesimo risultato e “fino a quando la polio esiste da qualche parte nel mondo è una minaccia per tutto il mondo”.

Dunque la vaccinazione orale sui nuovi nati proseguirà. Tuttavia proprio l’impiego del vaccino orale comporta un rischio a cui sono esposte ancora 16 nazioni africane: quello della diffusione del virus derivato dal vaccino. “Il vaccino orale contiene un virus attenuato ma vivo, che non dà malattia, ma che viene eliminato con le feci dai pazienti per qualche settimana e che, se ingerito da altri  – può finire in fogne, ma anche in fiumi da dove poi le persone attingono l’acqua da bere, o in ambienti con condizioni igieniche che consentono una facile trasmissione – potrebbe poi, perdurare nell’ambiente e mutare in forme più aggressive che ritornano a causare la malattia”, ci spiega sempre Manenti. “L’alternativa sarebbe usare il vaccino iniettabile (che contiene virus ucciso, il Vaccino Salk) altrettanto immunogeno ma più complesso da gestire in ambienti a basse risorse, come questi, in quanto richiede l’impiego di personale specializzato per l’inoculazione, l’uso di siringhe, gestione di rifiuti speciali e via dicendo, e quindi presenta più rischi nella sua somministrazione”.

Ricordiamo tutti, le immagini shock che giravano negli anni ‘90 dei bambini con esiti di polio a chiedere la carità ai semafori o per le strade delle capitali Africane. Ora non ci sono più.

Questo non deve sminuire l’importanza del risultato raggiunto nè l’impatto sociale di una popolazione che da paralizzata e non produttiva diventa produttiva. “Ricordiamo tutti, le immagini shock che giravano negli anni ‘90 dei bambini con esiti di polio a chiedere la carità ai semafori o per le strade delle capitali Africane. Ora non ci sono più. Sono rimasti gli adulti, quegli stessi bambini cresciuti… almeno quelli sopravvissuti a una vita precaria come quella di un disabile in contesto africano”.

Bambini oggi adulti come Misbahu Lawan Didi, presidente dell’Associazione Nigeriana dei sopravvissuti alla polio, che spiega alla BBC quanto grande sia stato il contributo di chi colpito dalla malattia ha dovuto imparare a convivere con i suoi esiti: “Molti hanno rifiutato il vaccino contro la poliomielite, ma vedono quanto facciamo fatica a raggiungerli, a volte strisciando per grandi distanze, per parlare con loro. Chiediamo loro: ‘Non pensi sia importante per te proteggere tuo figlio in modo che non sia come noi?’”.

È dunque un risultato che deve far ben sperare per il futuro, far capire che la battaglia contro molte altre malattie infettive che continuano a tormentare l’Africa e molti altri paesi vale la pena essere combattuta. “La lista di malattie infettive oggetto di possibile eradicazione sono tante. Ma fino ad oggi l’unica malattia eradicata è stato il vaiolo”, racconta Fabio Manenti. “Oltre alla polio, in via di eradicazione c’è il verme di Guinea, che è una malattia meno mortale ma molto invalidante perché comporta ulcere e fistole croniche agli arti inferiori”. Per sconfiggerla, prosegue il medico di Cuamm, è necessario disporre di un vaccino efficace, di una cura o di  una strategia efficace per interrompere la possibilità di trasmissione all’uomo. Nel caso del verme di Guinea per evitare la trasmissione basta non ingerire acqua contaminata: “questo vuol dire bonifica del territorio e accesso ad acqua potabile e sicura per tutte le popolazioni affette in modo da impedire il consumo di acqua contaminata che oggi rimane spesso l’unica disponibile”.

Nonostante gli sforzi in atto, nel caso di diverse malattie dove sono disponibili un vaccino o valide strategie di contrasto si è comunque lontani dall’eradicazione. Tuttavia si riesce a contenere il numero di casi e quindi dei danni. Forse servirebbero più risorse, ma soprattutto più impegno politico e coordinamento tra i paesi verso un obiettivo comune. Ad esempio l’eradicazione della malaria era sembrata possibile se tutti i paesi si fossero coordinati in uno sforzo comune… ma poi guerre, divisioni e insorgenza poi di resistenza ai farmaci hanno vanificato tutto”.

Forse servirebbero più risorse, ma soprattutto più impegno politico e coordinamento tra i paesi verso un obiettivo comune.

Ora anche Covid-19 sembra essersi messa in mezzo, come ha ricordato anche il direttore dell’Oms e come mostrano i dati raccolti sempre da Medici con l’Africa Cuamm: a oggi sono stati registrati oltre 1.200.000 casi di infezione da SarsCov2 in Africa di cui circa 100mila nell’Africa Subsahariana. Questi sono solo quelli di cui si è conoscenza ma probabilmente i numeri sono condizionati dalla scarsa capacità diagnostica di paesi in cui la sanità è estremamente fragile, per cui scarseggiano tamponi e laboratori in grado di processarli.

Covid-19 e le misure di contenimento ma anche soprattutto la paura in Africa stanno riducendo l’accesso ai servizi essenziali tra cui le vaccinazioni di routine. Questo, per esempio, comporta una riduzione anche del numero di bambini vaccinati e un aumento del rischio di epidemie localizzate. Ma non solo. Tra i servizi che sono messi in crisi sono l’assistenza al parto – con un notevole aumento del rischio di morte per le puerpere e per i neonati -, come anche quella a persone colpite da tubercolosi o da HIV o affette da malattie croniche come diabete, ipertensione malattie cardiovascolari. Queste sono patologie che hanno bisogno di cure continuative e che se interrotte possono portare a complicanze anche gravi e mortali”, spiega il medico dell’Ong italiana. “Diciamo quindi che l’attenzione dovrebbe essere volta non solo a cercare di contenere il Sars-Cov-2, ma anche a mitigare questi effetti, sostenere i servizi garantendo la protezione del personale e creare fiducia nella popolazione in modo che si senta sicuri nel rivolgersi normalmente ai servizi sanitari. Altrimenti si avranno più morti da altre malattie di quanti ne stia facendo Covid-19”.

Anche per questo Medici con l’Africa Cuamm (che è possibile sostenere con una donazione attraverso il loro sito) si sta mobilitando e sta lavorando con le autorità sanitarie locali per preparare i sistemi alla gestione dell’epidemia, sia supportando i Ministeri locali sia predisponendo piani di contenimento negli ospedali e nelle comunità in cui è presente: 100 operatori italiani e 2.800 operatori locali dislocati e al lavoro in Angola, Etiopia, Mozambico, Repubblica Centrafricana, Sierra Leone, Sud Sudan, Tanzania, Uganda.