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Photo by Fibonacci Blue / CC BY

“Quello è mio padre. Gli hanno sparato”.


Il 22 ottobre di dieci anni fa moriva Stefano Cucchi, dopo essere stato picchiato mentre era sottoposto a custodia cautelare nella caserma romana di Via Appia. Arrestato per droga nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 2009 da cinque carabinieri, Stefano non è più tornato a casa. E di storie come la sua, seppur meno conosciute, ne esistono tante in Italia. Come lui, vittime di polizia, sono morti Federico Aldrovandi, Giuseppe Uva, Riccardo Magherini, Aldo Bianzino e molti altri.

Storie simili, però, accadono in quasi tutti i paesi del mondo. Negli Stati Uniti, ad esempio, dall’inizio del 2019 ad oggi sono state uccise dalla polizia già 453 persone. E nell’arco del 2018 il numero di vittime era arrivato a 1810. I dati li riporta Fatal Encounters, un sito fondato e diretto dal giornalista D. Brian Burghart, che scrive nell’homepage del sito: “Credo che in una democrazia i cittadini dovrebbero poter sapere quante persone rimangono uccise dopo un’interazione con la polizia per capire anche se modificare l’addestramento o le linee guida della polizia possa essere un modo per diminuire il numero di decessi in cui le forze dell’ordine sono coinvolte in prima persona”.

Nel 2018 le vittime sono state 1606 maschi, 189 femmine, 2 transgender, e 13 i cui dati non sono stati rilasciati dalla polizia. Nel complesso, 101 delle 1.677 vittime di cui si conosce l’età era minorenne, il 6 per cento. Divise per razza, invece, le vittime sono state: 649 bianchi, 377 neri, 240 ispanici, 23 nativi americani, 23 asiatici, un mediorientale e 497 di origine non specificata. In proporzione al numero di abitanti, però, il numero dei neri uccisi dalla polizia è allarmante, tanto che si parla di una conversazione comune tra i genitori neri e i loro figli, nota da tempo come “il discorso. Si discute di cosa fare quando si viene avvicinati da un agente di polizia, come parlare, come comportarsi. Come, semplicemente, sopravvivere.

Oggi “il discorso” è diventato parte della discussione sulle disuguaglianze di razza, sul problema della brutalità della polizia stessa. Per la maggior parte delle famiglie nere, “il discorso” è una parte della crescita dei figli.

Le storie di Ramarley, Tamir e Terence
Ramarley Graham, Tamir Rice e Terence Crutcher sono tutti stati uccisi da agenti di polizia. Forse le loro storie vengono citate da alcune madri o padri mentre fanno “il discorso” ai loro figli: raccontano cosa è successo a un giovane del Bronx, a New York, seguito dalla polizia da un negozio fino a casa, convinti che avesse una pistola nella cintura; a un ragazzo di 12 anni che giocava con una pistola di plastica in un parco di Cleveland; a un signore di 40 anni che ha semplicemente fermato la sua auto lungo una strada di Tulsa, in Oklahoma. Il Guardian ha incontrato i loro familiari, le donne, gli uomini e i bambini che vivevano con loro, per capire come vivono oggi con il dolore dovuto a queste perdite.

Quando Ramarley è stato ucciso con lui c’era Chinnor, di soli sei anni, il suo fratellastro. Si stava cambiando i vestiti appena uscito da scuola, quando fu interrotto da un colpo alla porta. Erano poliziotti. Avevano iniziato a seguire Ramarley pochi minuti prima, verso le 15:00 del 2 febbraio 2012, da un negozio fino a casa. Pensavano avesse una pistola, invece si era solo sistemato la cintura. Bussarono alla porta sul retro, qualcuno li fece entrare, corsero al secondo piano, su per le scale strette. Chinnor sentì le loro urla fino a che non risuonò un singolo colpo. Chinnor si sporse in avanti, spuntando da dietro al muro, e guardò verso il bagno. Poteva vedere i piedi di suo fratello, distesi nel corridoio. Ramarley Graham era morto.

Mi nascondevo cercando di vedere cosa stesse succedendo. Avevo solo sei anni, ma lo ricordo ancora. A volte mi ispiro a lui, soprattutto se ho avuto una brutta giornata”, racconta Chinnor. La madre, Constance, non è stata in grado di identificare il corpo di suo figlio per quattro giorni. Quando andò all’obitorio era come se Ramarley non ci fosse. Il figlio che adorava guardare Animal Planet, che aveva chiesto di poter avere una scimmia da compagnia da far crescere nel cuore del Bronx. Il fratello che aveva mostrato a Chinnor come sollevare pesi, il compagno di videogiochi preferito. Oggi Constance e Chinnor fanno “il discorso” ogni giorno, in altri modi, spesso senza dire una parola.

Avevo solo sei anni, ma lo ricordo ancora. A volte mi ispiro a lui, soprattutto se ho avuto una brutta giornata.

Quando Tamir è stato ucciso, il 22 novembre del 2014, aveva solo 12 anni. Uno in meno rispetto a quanti ne ha oggi Chinnor. Un amico aveva lasciato che Tamir prendesse in prestito la sua pistola giocattolo. Ci stava giocando a due isolati dalla sua veranda, finché qualcuno non chiamò la polizia. Samaria, sua madre, ha guardato più volte il video di sorveglianza: un veicolo della polizia saltò il marciapiede e si fermò vicino a Tamir. Due secondi dopo essere saltato fuori dalla macchina, un poliziotto sparò a Tamir. Il giorno dopo, suo figlio era morto.

Sono grata di poter avere una ripresa che mostra come è morto mio figlio, perché molte madri non hanno neanche quella. Mi capisci? Di notte posso dormire un pochino perché almeno so cosa gli è successo davvero, so come avevo cresciuto mio figlio. E so che non aveva fatto nulla. Il 22 novembre 2014 il mondo ha visto uccidere mio figlio e la mia vita da quel momento è stata fatta di alti e bassi. Non potrò mai perdonare l’America per questo. Sai, America, devi fare di meglio con questa legge sulle armi e con quelle razziste”.

Tamir amava sua mamma, si lasciava baciare e abbracciare. I suoi cibi preferiti erano uguali a quelli di qualsiasi altro bambino: pizza al formaggio, gelato, maccheroni, patatine fritte. E Samaria, che aveva trascorso la vita per strada da quando aveva 12 anni – dopo che sua madre era andata in prigione e suo padre l’aveva cacciata di casa – per i suoi quattro figli voleva una vita diversa. I bambini si sarebbero tutti diplomati al liceo. Lo hanno fatto Tasheona, Tavon e Tajai, ma Samaria non potrà mai sapere con certezza se anche Tamir si sarebbe laureato.

Penso davvero, nel mio cuore, che se Terence fosse stato bianco non lo avrebbero ucciso.

A Tulsa, in Oklahoma, Joey mangia solo per dovere, ma non è più interessato a farlo. Terence, suo figlio, è stato ucciso dalla polizia il 16 settembre 2016. Dopo aver ricevuto una chiamata, i poliziotti furono mandati a vedere cosa succedeva in una strada a Tulsa sulla quale Terence aveva fermato la sua auto. Aveva lasciato il veicolo, che i testimoni hanno detto di aver pensato stesse per esplodere. I poliziotti si sono avvicinati, mentre un elicottero filmava Terence che camminava avanti a loro con le mani in alto. Finché un agente gli ha sparato uccidendolo.

Quando ho visto dal filmato che camminava con le mani in alto, sapevo che stava pensando al ‘discorso’. Sapevo nel mio cuore che Terence stava cercando di fare esattamente quello che gli avevo insegnato. Penso davvero, nel mio cuore, che se Terence fosse stato bianco non lo avrebbero ucciso. Ogni mattina che mi alzo ci sono lacrime nei miei occhi e penso a mio figlio che viene ucciso”, racconta Joey. Suo figlio, Terence Jr, è cresciuto e continuerà a crescere senza un padre. Fatica a ricordarsi di suo padre, ma gli piace dire che il suo colore preferito è il blu solo perché il colore preferito di suo padre era il blu. Quest’anno ha chiesto alla scuola se poteva parlare di suo padre per il Black History Month. Il suo insegnante ha chiamato i nonni per cercare di convincere Terence Jr a parlare di qualcun altro, come Barack Obama. Ma Terence Jr ha insistito. “Quello è mio padre”, dice mostrando il suo progetto. “Gli hanno sparato”.