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Photo by Voice of America / CC BY

Venezuela, Juan Guaidó dà il via all’Operazione libertà


Conosciamo i rischi che corriamo oggi, scendendo nelle strade di Caracas. Ma non basta questo per fermarci”. La scorsa settimana il tribunale supremo di giustizia del Venezuela ha revocato l’immunità a Juan Guaidó, per aver trasgredito il divieto di lasciare il paese. L’autoproclamato presidente era partito, lo scorso 22 febbraio, per un viaggio negli altri stati sudamericani, con l’obiettivo di consolidare i rapporti e cercare sostegno nella lotta al regime di Nicolás Maduro.

Dopo la sentenza, Guaidó è sceso in piazza, per ravvivare un movimento che sembrava trovarsi in una condizione di stallo. Guaidó, infatti, è stato criticato dai suoi stessi sostenitori per non aver fatto abbastanza contro il regime e per non aver risolto una delle emergenze umanitarie più gravi di oggi: lo chiamano “Bambi” proprio per il suo temperamento pacato, poco da leader, per la lentezza con cui porta avanti la protesta.

Il Venezuela non ha paura e scende in piazza.

Questa volta, però, qualcosa sembra essere cambiato. Guaidò ha convocato una manifestazione massiva, lo scorso 6 aprile, che ha dato finalmente inizio alla Operación Libertad (Operazione libertà).Il Venezuela non ha paura e scende in piazza. Credevano che minacciandoci, sequestrando Roberto Marrero, e togliendomi l’immunità ci avrebbero spaventati. Hanno sottovalutato i venezuelani perché noi siamo ancora qui, per le strade di Caracas e del paese”.

Guaidó ha scelto di parlare da El Marqués, un quartiere di classe media di Bogotà, che dista 17 chilometri dall’obiettivo della sua manifestazione: il Palazzo di Miraflores, la sede del governo venezuelano. Ma oltre a Caracas, migliaia e migliaia di persone sono scese in in strada per unirsi alla protesta: si sono contate concentrazioni in 358 punti diversi in tutto il paese, frustrato ormai dalla condizioni inumane a cui i cittadini sono sottoposti quotidianamente. “Pensavano che si saremmo abituati ai blackout elettrici, alla mancanza d’acqua, alla fuga dei nostri cari dal paese, ma così non è. Oggi sono sette gli stati senza luce, e almeno due non hanno ancora una goccia d’acqua”, ha detto Guaidó.

In un solo mese e a distanza di poco più di due settimane, due blackout hanno lasciato al buio gran parte del territorio venezuelano: il primo, quello del 7 marzo, è stato il più grave blackout della storia del paese, e ha coinvolto la maggior parte dei 23 stati. Le conseguenze sono state gravissime: le scuole e le attività commerciali sono state costrette a chiudere, i trasporti si sono paralizzati e si sono verificati innumerevoli problemi nelle industrie e negli ospedali, che devono far fronte anche alla scarsità di medicinali. Secondo quanto riportato dai media, sono oltre venti i pazienti morti negli ospedali venezuelani a causa del blackout. La situazione è tornata alla normalità in quasi tutto il paese solo il 14 marzo. Ma appena undici giorni dopo si è verificato un altro blackout.

Noi siamo qui per esigere libertà, democrazia, cibo, futuro, formazione.

Credono che la soluzione alle nostre proteste sia la repressione, il sequestro dei nostri colleghi, come Roberto Marrero”, ha continuato Guaidó. “Abbiamo sofferto la repressione dei paramilitari sulla nostra pelle: hanno colpito i nostri genitori, i nostri nonni solo perché chiedevano luce e acqua. Hanno sequestrato anche dei semplici lavoratori che stavano lavorando per noi: lo fanno perché non vogliono che si ascolti il nostro messaggio, non voglio dare voce ai cittadini, al Venezuela. Ma non ce l’hanno fatta e non ce la faranno. Quello che stiamo chiedendo oggi, sono i nostri diritti, i beni fondamentali. Noi siamo qui per esigere libertà, democrazia, cibo, futuro, formazione. Stiamo esigendo quello che ci spetta, cioè i nostri diritti, come il Venezuela rurale di 100 anni fa”.

Il regime però continua a colpire. Gli agenti del servizio bolivariano di intelligenza nazionale hanno arrestato, come accennato, il braccio destro di Maduro, Roberot Marrero con l’accusa di cospirazione, associazione a delinquere e occultamento di armi. Anche Luis Paez, autista del deputato Sergio Vergara è stato detenuto. Mentre a Caracas la manifestazione si è conclusa senza violenze, a Zulia, vittima di saccheggi dopo il blackout, i militari hanno represso le manifestazioni con violenza, sparando e lanciando bombe lacrimogene sulla folla. Qui i militari hanno arrestato i deputati Renzo Prieto e Nora Bracho (oggi rilasciati) insieme agli attivisti Gregory Sanabria, Andrés Robayo e José Riera.

‘Operazione libertà’ dipende solo da noi e da nessun altro.

Il primo passo, per Guaidó, è porre fine all’usurpazione del potere da parte del regime: “Gli unici che minacciano, che pagano i paramilitari sono loro. Miraflores usa la repressione perché ha paura, trema di fronte a tutti noi, vedendoci qui in piazza. L’80 per di ‘Operazione libertà’ siamo noi, sono i commando di aiuto e libertà, sono le proteste, sono le 358 manifestazioni. Ma sono importanti anche le forze armate: dobbiamo esigere la detenzione dei paramilitari armati, dobbiamo porre fine all’impunità dei gruppi armati irregolarmente finanziati anche da Cuba. Non lasceremo il nostro paese in mano a ladri e corrotti: il Venezuela è un paese con dignità e onore. Oggi esercitiamo la nostra sovranità nelle strade e nessuno ci farà credere che lottare per quello che ci spetta sia una perdita di tempo”.

“Operazione libertà” è quindi ufficialmente iniziata. Per Guaidó le manifestazioni di massa per le strade del Venezuela non dovranno fermarsi fino a quando non si sarà raggiunta la libertà, ovvero fino a quando non verrà sradicato il regime di Maduro.Guardatevi attorno: non siamo soli. Siamo in buona compagnia per le strade del Venezuela. ‘Operazione libertà’ dipende solo da noi e da nessun altro. Quello che vi sto chiedendo non è pazienza, ma organizzazione: vi stiamo chiedendo di scendere in piazza a reclamare un diritto ogni volta che ci viene sottratto. Quello che stiamo organizzando non è il risentimento: stiamo cercando di creare il futuro per i nostri figli. Vi chiedo di sognare per i nostri figli, perché tornino a casa, perché possano studiare, perché l’università torni a essere grande e torni a formare gli studenti”.

Guaidó ha convocato nuove manifestazioni il prossimo mercoledì in tutto il paese. Ha annunciato anche un incontro con i principali leader internazionali, per aumentare la pressione contro Maduro.

Mentre la folla di sostenitori interrompeva Guaidó ripetendo “Sì, se puede!”, le camicie rosse maduriste sono scese in piazza, a pochi passi dal Palazzo di Miraflores, dove sono state accolte proprio da Maduro. Per loro Guaidó non è altro che un burattino dell’Occidente, un golpista a tutti gli effetti, un terrorista come lo ha definito il presidente.Se ci fermiamo ora, tutti gli sforzi saranno vani. Dobbiamo continuare anche in nome dei prigionieri politici, di chi ha versato sangue e sudore per opporsi a Maduro”, ha concluso Guaidó.