×

Essere transgender in Medio Oriente


Sasha Elija è una delle prime modelle transgender in Libano. Il suo profilo Instagram, circa 6500 followers, è la vetrina di una femminilità estrosa, in mostra a una società ancora poco incline ad accettare chi non si identifica con il binarismo di genere. Per Sasha, 22 anni, esporre il suo corpo longilineo e le trasformazioni a cui è sottoposto rappresenta una quotidiana sfida ai tabù che incombono sul mondo transgender in Libano, un paese all’avanguardia rispetto agli altri dell’area, eppure ancora lontano dall’assicurare parità di diritti ai membri della comunità Lgbt.

Nonostante in Libano le persone Lgbt corrano il rischio di essere arrestate, Sasha è riuscita nel suo intento di diventare un personaggio pubblico, rompendo i canoni di una moda che di rado prevede opzioni al dualismo maschile-femminile. Passerelle, shooting, performances in cui si esibisce come drag queen. Attraverso la sua immagine e la relativa accettazione di cui gode, la giovane si impegna a sensibilizzare l’opinione pubblica, scardinando i pregiudizi che pesano sulle persone transgender, spesso vittime di bullismo e molestie.

Essere transgender in Libano e in Medio Oriente, in un paese arabo, è dura (…) Ci sono ancora molte persone che mancano di rispetto alle persone transgender e li classificano come prostitute”, racconta Sasha alla Thomson Reuters Foundation.

Secondo quanto riporta Human Rights Watch, sono sistematiche le discriminazioni in ambito lavorativo, dell’educazione e della salute. Le fattezze di donna e il sesso maschile denunciato dal documento d’identità costano a molti l’esclusione dal mercato del lavoro. Soprattutto nei piccoli centri urbani, dove i legami sociali sono molto coesi, il rifiuto o le violenze fisiche perpetrate dalla famiglia d’origine possono tradursi in processi di marginalizzazione da parte del vicinato o degli abitanti dell’intera cittadina.

Luci e ombre percorrono la società libanese, progressista in alcune sue parti e arroccata su posizioni rigide e conservatrici quanto più ci si avvicina a contesti di fede. Esistono locali e discoteche gay, eppure le autorità religiose mettono i bastoni tra le ruote quando si tratta di realizzare eventi rivolti alla comunità LGBT. È possibile sottoporsi a una chirurgia di riassegnazione del sesso – affrontando ingenti spese quasi per nulla coperte da assicurazioni sanitarie – ma il cambio di nome sul documento è un processo lungo e dispendioso, vincolato alla decisione di un tribunale più che a norme ad hoc.

L’articolo 534 del Codice penale libanese proibisce le relazioni sessuali che “contraddicono le leggi di natura”, per le quali è prevista la reclusione fino a un anno. La pena è applicata di rado e dovrebbe valere solo in flagranza di “reato”, ma la legge apre la porta ad abusi da parte delle forze dell’ordine. Le persone Lgbt fermate dalla polizia, soprattutto ai numerosi check-point disseminati lungo tutto il territorio, sono spesso soggette a detenzione arbitraria, sulla sola base di confessioni estorte attraverso domande che ne violano l’intimità.

Essere transgender in Libano e in Medio Oriente, in un paese arabo, è dura.

Il 12 luglio 2018 un tribunale d’appello ha emanato una sentenza rivoluzionaria, che fa eco a responsi simili, emessi negli anni precedenti da corti di primo grado. Il giudice ha stabilito che rapporti consensuali tra persone dello stesso sesso non sono condotte criminalizzabili e che la legge oggi in vigore sia un’intrusione nella vita dei privati cittadini. Ha, poi, dichiarato inesatta la convinzione che l’omosessualità sia un fatto innaturale. La sentenza rappresenta una grande vittoria per gli attivisti Lgbt e stabilisce un importante precedente, che potrebbe influenzare le decisioni delle corti di grado inferiore.

Nel 2017 il Libano è stato il primo paese arabo a organizzare un Gay Pride, ponendosi all’avanguardia nel promuovere le identità di genere in tutta l’area mediorientale. Nove giorni di attività con un’affluenza di circa 4000 persone che ne hanno sancito un successo superiore a ogni aspettativa. Questo nonostante le minacce ricevute da un gruppo islamista che hanno costretto all’annullamento dell’evento inaugurale.

Anche le annate successive sono state contrassegnate da interferenze esterne e raid della polizia che nel maggio 2018 si sono conclusi con l’arresto di Hadi Damien, organizzatore del festival, e la sospensione di tutte le attività. Una sorte simile è toccata al concerto d’apertura del Pride 2019, annullato in seguito alle pressioni del clero locale, appellatosi alle cosiddette “leggi sulla moralità” che condannano chi minaccia i valori condivisi, incitando, in questo caso, all’unione tra persone dello stesso sesso.

Ora sono libera e indipendente e faccio quello che veramente voglio fare.

Proprio in queste settimane il Libano sta vivendo un momento di liberazione e rottura di schemi, in seguito alle proteste di massa che dal mese di ottobre animano le strade delle principali città del paese. Un sondaggio del 2013 condotto dal Pew Research Institute evidenziava come l’80 per cento della popolazione non vedesse di buon occhio l’omosessualità. In queste settimane i manifestanti hanno intrecciato ai loro slogan contro settarismo e corruzione cori a favore della comunità gay che si sono propagati di bocca in bocca. La battaglia per i diritti delle persone Lgbt è parte di un più ampio disegno che mira alla creazione di una società inclusiva e non discriminante, battaglia che unisce individui con diversi background tra i quali vige un clima di rispetto e apertura mentale.

Nello stesso anno in cui nel Paese dei cedri si teneva il primo Beirut Pride, al Cairo dei giovani egiziani sventolavano la bandiera arcobaleno durante un concerto dei Mashru’ Laila, band libanese nota per le sue posizioni a favore dell’omosessualità e il cui cantante, Hamed Sinno, è apertamente gay. La scena, divenuta virale sui media, ha scatenato la reazione avversa delle autorità e condotto all’arresto di decine di persone con l’accusa di “dissolutezza”.

In Iraq, un paese reso instabile da anni di lotte intestine e dalla guerra allo Stato Islamico, gli appartenenti alla comunità Lgbt sono soggetti a rapimenti e uccisioni da parte delle numerose milizie locali. L’Ong Iraqueer stima che nel solo 2018 siano state uccise ben 200 persone a causa del loro orientamento sessuale e identità di genere.

Al centro di Beirut, dove abita, Sasha Elija cammina per la strada e non ascolta i commenti di cattivo gusto di qualche passante, solo alza il volume della musica nei suoi auricolari. A questo punto della sua vita si sente a suo agio e indipendente, niente può ostacolare il suo percorso, dichiara. “Ora sono libera e indipendente e faccio quello che veramente voglio fare. Sono a un punto della mia vita in cui sono a mio agio con me stessa e posso affrontare qualsiasi cosa”.

Il suo mandato è forte e ha a che vedere con il cambiamento. Rendere questo mondo un posto migliore, almeno per le persone transgender.