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Taiwan e Cina: mai così vicine, mai così lontane


La Cina è una? O sono due (o addirittura tre)?

Quando si parla di Cina tutti pensano alla Repubblica Popolare Cinese, quella con capitale Pechino e con un miliardo e quattrocento milioni di abitanti. A fianco di questa c’è però un’altra Cina, la Repubblica di Cina, che ha sede sull’isola di Taiwan e comprende circa 23 milioni di persone. Entrambe le Cine sostengono di essere quella autentica e questo dà l’idea di quando sia ingarbugliata la situazione.

Tutta questa confusione discende dalle vicende storiche della Cina nel XX secolo. La Repubblica di Cina fu tra il 1912 e il 1949 l’unica Cina, erede dell’impero cinese appena crollato. Questa repubblica non ebbe mai vita facile e sin dal suo inizio dovette affrontare sfide immense, tra cui l’invasione giapponese poco prima della Seconda Guerra Mondiale e la guerra civile con il Partito comunista cinese. La guerra civile fu alla fine vinta dai comunisti di Mao Zedong che nel ‘49 dichiararono la nascita della Repubblica Popolare Cinese, mentre quello che rimaneva del governo della Repubblica di Cina – guidato del generale Chiang Kai-Shek – trovava rifugio sull’isola di Taiwan.

Dal ‘49 la Repubblica di Cina è sopravvissuta sull’isola, rivendicando formalmente la sovranità sull’intera Cina, nonostante il progressivo consolidarsi della Repubblica Popolare.

E ancora oggi, i rapporti tra le due Cine sono molto complessi.

La Cina considera Taiwan come una sua regione speciale da riportare lentamente sotto il controllo totale di Pechino (come ha detto molto chiaramente il presidente cinese Xi Jinping durante il cinquantesimo anniversario dalla nascita della Repubblica Popolare). Taiwan, tuttavia, la vede in modo molto diverso.

In primo luogo perché Taiwan è de facto uno stato indipendente. Ha un governo, delle elezioni, una costituzione, un esercito, delle relazioni internazionali (anche se sempre più difficoltose a causa dell’ostruzionismo di Pechino).

L’altra grande differenza tra le due Cine è che Taiwan è uno stato democratico. A partire dal 2000 si sono tenute regolari e libere elezioni e sono presenti molti degli elementi fondamentali di un’organizzazione democratica: dibattito interno, libertà di espressione, alternanza nella gestione del potere e così via (Taiwan è tra l’altro una delle poche realtà asiatiche che riconosce i matrimoni tra persone dello stesso sesso).

Questo ha portato a un atteggiamento battagliero dei taiwanesi nei confronti della Cina . Abbandonato l’irrealistico sogno di rappresentare tutta la Cina i taiwanesi hanno trovato nel loro essere democratici l’elemento che li contraddistingue dalla Cina continentale.

In una recente intervista il ministro degli esteri taiwanese Joseph Woo è stato molto chiaro al riguardo: “Se la Cina userà mezzi militari contro Taiwan, il popolo capirà che combattere contro la Cina è l’unica via da percorrere. Se si crede alla democrazia, la gente di qui ha già parlato: non siamo interessati alla riunificazione con il resto della Cina. Ovviamente riconosciamo le nostre responsabilità nel prevenire delle guerre e l’attuale governo ha adottato un approccio molto cauto nei confronti della Cina, sforzandosi di evitare di darle una scusa per invadere militarmente Taiwan”.

Nonostante prese di posizione così nette i rapporti tra Cina e Taiwan sono però molto sfumati. A partire dai rapporti economici, che sono intensissimi e che hanno portato un milione di taiwanesi a lavorare in Cina e a fare di quest’ultima di gran lunga il primo importatore di beni prodotti sull’isola. I legami commerciali sono il motivo più forte che spinge la popolazione taiwanese alla moderazione e hanno impedito la nascita di un forte movimento indipendentista taiwanese.

Se si crede alla democrazia la gente di qui ha già parlato: non siamo interessati alla riunificazione con il resto della Cina.

L’equilibrio che si è creato sembra andare bene alla maggior parte dei taiwanesi che vede con preoccupazione le due opzioni estreme in cui si muove la loro comunità: da una parte la riunificazione con la Cina e la fine della loro democrazia, dall’altra una dichiarazione di indipendenza e l’inevitabile reazione ostile di Pechino.

In questo stallo la Cina muove le sue pedine con abilità, sfruttando quello che la democrazia taiwanese le permette di fare: aumentando il suo peso economico sull’isola e influenzandone il più possibile i media, che in quanto non controllati da alcuna autorità sono particolarmente vulnerabili ad azioni di questo tipo. Joseph Woo ha ricordato che “nel corso dell’ultimo anno abbiamo visto che la Cina si è impegnata in campagne di disinformazione contro diverse istituzioni del governo per creare sfiducia nei confronti del governo e nelle istituzioni democratiche”.

Preoccupato è anche uno dei volti più noti della politica taiwanese, Freddy Lim, deputato indipendente (e indipendentista), ex capo di Amnesty International Taiwan e frontman di una band heavy-metal: “Mi preoccupo molto, soprattutto negli ultimi due o tre anni dove ci sono stati alcuni media che hanno ricevuto milioni di dollari dalla Cina. Cercano di dividere la popolazione di Taiwan e di creare una buona immagine di sé, evitando di far sapere quello che sta succedendo in Tibet e nello Xing Yang”.