Il 16 novembre in Sri Lanka si sono tenute le elezioni presidenziali, vinte nettamente da Gotabaya Rajapaksa, esponente di una delle famiglie politiche più potenti dell’isola. Nonostante Rajapaksa sia stato eletto con una solida maggioranza del 52 per cento, molti temono che la sua ascesa al potere possa essere pericolosa per la stabilità del Paese.
Lo Sri Lanka è infatti un paese etnicamente e religiosamente spezzettato: alla maggioranza del 70 per cento di buddhisti di etnia sinhala si contrappongono delle corpose minoranze di induisti (circa il 12 per cento, di etnia tamil, in larga parte emigrati nei secoli scorsi dall’India), musulmani (10 per cento) e cristiani (5 per cento).
La convivenza tra le varie religioni non è mai stata semplice. Dal 1983 al 2009 si è combattuta a intermittenza una guerra civile tra i tamil e il governo che si stima abbia portato a più di 100.000 morti e a 800.000 sfollati. Ancora, nella Pasqua del 2019 (21 aprile) un attentato rivendicato da alcune associazioni terroristiche islamiche a tre chiese e tre hotel a Colombo ha portato alla morte di 277 persone e al ferimento di centinaia di altre. A questo va aggiunta una serie di attacchi da parte della maggioranza sinhala ai danni della popolazione civile di fede musulmana – spesso ispirati dalle frange più estremiste del clero buddhista.
Questo è lo sfondo su cui si muoverà Rajapaksa, e molti osservatori temono che la sua presidenza possa accentuare ulteriormente le divisioni interne alla società srilanchese.
Charu Lata Hogg, analista della Chatam House spiega al Financial Tribune che: “questo segna un punto particolarmente basso per le minoranze. Sia per i tamil che per i musulmani. Nel 2003, 2013 e 2014 ci sono stati degli attacchi contro i musulmani, non perseguiti dallo stato, guidati da estremisti sinhala di fede buddhista. Ci sono stati attacchi anche nel 2018 e dopo l’attentato durante la Pasqua del 2019 e la comunità musulmana si sente molto vulnerabile”.
Dello stesso parere è Ehan Perera, analista del National Peace Council dello Sri Lanka che sostiene: “[le minoranze] sono preoccupate perché Rajapaksa nella sua campagna si è concentrato molto sulla sicurezza nazionale […]. Temono di essere considerate delle minacce alla sicurezza pubblica. I musulmani in particolare hanno cattivi ricordi del periodo prima del 2015 perché ci furono delle rivolte nei loro confronti. Anche se l’apparato militare sotto Rajapaksa era efficiente, i militari e l’intelligence non li hanno protetti.”
Entrambi gli studiosi fanno riferimento al periodo in cui Rajapaksa è stato ministro della difesa (2005-2015), quando presidente del paese era suo fratello Mahindra (che ora è stato nominato primo ministro e ministro dell’economia e che molti considerano il vero detentore del potere). Durante il periodo al ministero degli esteri Rajapaksa si contraddistinse per il pugno duro verso i tamil e i musulmani, e per una certa connivenza con le frange più estremiste del buddhismo militante del Paese.
[Le minoranze] temono di essere considerate delle minacce alla sicurezza pubblica.
A prescindere dalla difficile situazione sociale Rajapaksa si troverà ad operare in un contesto politico complesso. Sempre secondo Lata Hogg: “ci sono molti fattori all’opera. Il primo è la lotta al terrorismo che Rajapaksa si sente abbastanza forte da condurre. Il secondo è la questione della stabilità politica. L’anno scorso la crisi costituzionale di novembre, sollevò dubbi sulla capacità del governo dello Sri Lanka di guidare il Paese e di raggiungere gli obiettivi che tutti si aspettavano. Infine c’è anche il problema dello stato dell’economia”.
Un’altra questione di capitale importanza che Rajapaksa si troverà davanti è quella della politica internazionale. Lo Sri Lanka è stato sin dalla sua indipendenza saldamente nella sfera d’influenza dell’India ma sotto la presidenza di Mahindra Rajapaksa (2005-2015) si è molto aperto verso la Cina, complice un flusso ininterrotto di finanziamenti erogati da Pechino. Questo ha complicato le relazioni tra India e Sri Lanka, con l’eccezione del breve periodo (2015-2019) in cui la famiglia dei Rajapaksa non ha guidato il paese.
Lata Hogg ricorda che “dal 2015 le relazioni con l’India si sono distese. C’è stato un tentativo di migliorare il commercio e rafforzare le relazioni politiche bilaterali, ma questo non sarà prioritario per Rajapaksa, se il passato ci insegna qualcosa. I dieci anni di presidenza di suo fratello tra il 2005 e il 2015 hanno visto un riavvicinamento con la Cina e con il Pakistan sia per quanto riguarda la fornitura di armamenti che in termini di investimenti in Sri Lanka”.
“Il punto è che l’economia dello Sri Lanka non è in un buono stato”, prosegue. “È per la quindicesima volta in bail-out con il Fondo Monetario Internazionale e gli investimenti stranieri non sono mai stati così bassi. Tutto questo è poi accentuato dagli attentati di Pasqua e quindi la fiducia nello stato srilanchese è molto bassa. Un modo per rimediare a tutto questo, secondo Rajapaksa,è ritornare all’abbraccio con la Cina e questo avrebbe un grande impatto nei rapporti con l’India”.