Domenica 28 aprile, in Spagna si vota per rinnovare il Parlamento, in seguito alla caduta del governo di Pedro Sánchez. Dopo una lenta campagna elettorale senza troppi colpi di scena, lunedì e martedì si sono tenuti i tanto attesi dibattiti televisivi, nella rete pubblica e in quella privata.
Nell’arena televisiva, in queste due diverse occasioni di dibattito, si sono confrontati i leader dei quattro principali partiti: Pedro Sánchez del Partido Socialista Obrero Español (PSOE), Pablo Iglesias di Unidas Podemos (UP), Pablo Casado del Partido Popular (PP) e Albert Rivera di Ciudadanos (C’s).
Mentre nel primo dibattito i leader sono sembrati piuttosto tesi e pacati – tanto che lo stesso moderatore ha incitato i candidati a interrompersi e a interagire tra di loro – nel secondo dibattito le cose sono andate molto diversamente, con continui faccia a faccia, spesso anche teatrali.
In entrambi i casi, si sono toccati gli stessi temi: economia, questione fiscale, pensioni e mercato del lavoro, disuguaglianze e questione di genere, corruzione e autonomie territoriali. Tra i grandi assenti, i temi legati alla cultura, all’immigrazione, alla politica estera e all’ambiente.
Cosa è stato detto quindi?
Pedro Sanchez (PSOE)
“Io non ho stretto alcun patto con gli indipendentisti, è una bugia, è un falso, falso è falso, no è no, e mai è mai, che sia chiaro fin dall’inizio”. Dai primi minuti del dibattito di lunedì fino agli ultimi del dibattito decisivo, era chiaro che Pedro Sánchez (nella foto in alto) avrebbe dovuto rispondere e difendersi dalle continue critiche provenienti dai suoi avversari, in particolare dalla formazione di destra.
Più volte ha dovuto ribadire che la mozione di censura costruttiva che gli ha permesso di destituire il governo di Mariano Rajoy e di diventare Presidente, non aveva nulla a che fare con la questione catalana, né tantomeno con l’appoggio dei leader dei partiti indipendentisti seduti in parlamento. Alla base della mozione di censura, infatti, c’erano gli innumerevoli casi di corruzione interni al Partido Popular.
In questi dibattiti Pedro Sánchez era il candidato che più di tutti aveva da perdere: primo in tutti i sondaggi, doveva cercare in ogni modo di evitare brutte figure e di attrarre a sé i voti degli indecisi. Ha parlato molto di corruzione, rivolgendosi a Pablo Casado, successore dello storico leader del PP Mariano Rajoy, che ha guidato il partito nel periodo di massima crisi, per gli innumerevoli scandali di corruzione che lo hanno coinvolto.
Non sono mancati i riferimenti alla questione catalana, sulla quale ha affermato che “il problema della Catalogna non è l’indipendenza ma la convivenza nei limiti dello statuto e della legge”. Sánchez rimane quindi disposto a dialogare con i leader indipendentisti, ma ha assicurato che non ci sarà alcuna concessione di indipendenza.
Il prossimo 28 aprile noi spagnoli siamo chiamati a decidere che paese desideriamo: se vogliamo avanzare o retrocedere.
Anche le disuguaglianze economiche e sociali sono state al centro del suo discorso, in particolare la questione di genere: “Il femminismo non ha come nemici gli uomini ma i maschilisti”. È proprio su questo tema che ha sferrato uno degli attacchi più duri a Pablo Casado: “Il ventre delle donne non è un taxi. Lo dica anche ai suoi amici di estrema destra, quelli assenti stasera”. Un attacco voluto e studiato, quello di Sánchez, che ha voluto rispondere a una dichiarazione del leader del PP, nella quale ha affermato che per finanziare, in futuro, le pensioni e il sistema sanitario, “sarebbe meglio pensare a come avere più figli, piuttosto che a parlare dell’aborto”.
Nel suo “minuto de oro”, cioè l’ultimo minuto in cui il candidato può rivolgersi direttamente agli elettori e chiedere la fiducia e il voto, Sánchez ha detto: “Noi non scegliamo il paese in cui nasciamo e nemmeno il colore della nostra pelle, o del nostro sesso. Ma nella democrazia possiamo scegliere tra un paese con più giustizia sociale o disuguaglianza, con più limpidezza politica o più corruzione, con una buona convivenza o con tensioni a livello territoriale. Il prossimo 28 aprile noi spagnoli siamo chiamati a decidere che paese desideriamo: se vogliamo avanzare o retrocedere. Io chiedo il voto ai giovani, chiedo loro che votino per il futuro. Chiedo alle donne che votino per l’uguaglianza e il rispetto. Chiedo agli anziani che votino per la sicurezza, e a tutti e tutte chiedo di votare per la convivenza”.
Pablo Iglesias (UP)
“Noi pensiamo che i lavoratori dipendenti, i lavoratori in proprio e la piccola impresa paghino già molte tasse. Per questo siamo convinti che sia necessario abbassare l’Iva sui prodotti di prima necessità, sui prodotti di igiene intima femminile o su quelli veterinari”. Per molti, Pablo Iglesias, leader di Podemos, il movimento antisistema per eccellenza, è stato il vincitore del dibattito decisivo: citato poco dagli altri candidati, si è dimostrato sempre pacato, tanto che ha assunto, a volte, la veste di arbitro, richiamando gli avversari a un dibattito più educato, evitando continue interruzioni e insulti. “Credo che questo dibattito sia sufficientemente serio, per cui non è necessario mostrare foto, bigliettini, e poi parliamo con un po’ di serietà”.
In più occasioni ha preteso di rimanere sui temi al centro del dibattito: “Credo che questo blocco di intervento abbia come tema la politica territoriale, no? La politica territoriale ha a che vedere con milioni di spagnoli che ci stanno seguendo dal mondo rurale. C’è gente che non ha accesso allo sportello bancomat o a un’assistenza sanitaria a domicilio. La politica territoriale non è solo la questione Catalana”. Pablo Iglesias, ha voluto così dimostrare di essere un uomo di Stato tanto quanto gli altri candidati, ma con una differenza: diversamente dagli altri candidati che si sono affidati a date, statistiche, grafiche e linguaggio tecnico, Iglesias ha parlato di economia facendo continui riferimenti ai problemi che riguardano la vita quotidiana dei cittadini, con un linguaggio chiaro e semplice.
La storia non è scritta e, domenica prossima, la storia la scrivi tu.
Tra i temi più cari a Iglesias c’è però la questione di genere, come emerge anche dal nome dalla coalizione che dirige. Unidas Podemos, formata da Podemos, Izquierda Unida ed Equo, è la prima coalizione con un nome femminile in Spagna, che sostituisce il vecchio Unidos Podemos. Il messaggio è chiaro: si tratta di una formazione politica che si fa portavoce delle richieste del movimento femminista. Oltre ad aver letto più volte alcuni articoli della Costituzione spagnola (quattro in tutto), Iglesias è stato l’unico a citare alcuni temi mai sfiorati dagli altri candidati, come il congedo di paternità (di cui lui stesso ha approfittato), i diritti degli animali e il tema ambientale, sia durante il dibattito, sia nel suo minuto d’oro.
“È vero che i proprietari dei mezzi di comunicazione hanno più potere rispetto ai deputati. È vero che le imprese energetiche si comprano i politici e li mettono nei loro consigli di amministrazione. È vero che ci sarà chi continuerà a lavorare per non farci entrare nel governo. È vero che i poteri economici e le loro braccia mediatiche faranno pressione su Sánchez e Rivera perché si accordino per formare un governo. Ma è anche vero che quando la gente si muove le cose cambiano. L’hanno dimostrato le donne l’8 marzo, l’hanno dimostrato i pensionati, e anche i giovani che sono scesi nelle strade a dire a tutti che non abbiamo due pianeti. La storia non è scritta e, domenica prossima, la storia la scrivi tu. Sì, si può”.
Pablo Casado (PP)
“La Spagna non sta andando bene. Fino a nove mesi fa il PP governava la Spagna, creava due milioni di posti di lavoro, diminuiva le imposte, valorizzava le pensioni, l’assistenza sanitaria, l’istruzione. E ha messo in panchina i golpisti di Puigdemont. Questo è quello che vogliamo continuare a fare scommettendo nelle politiche sociali, per metterci alle spalle la crisi e le fratture che la sinistra ha causato e continua a causare ogni volta che sale al governo”.
Il leader del PP si è dimostrato il candidato più debole in entrambi i dibattiti, e quello che ha detto più falsità nei suoi discorsi. “Come sempre con la sinistra il deficit pubblico è aumentato”, ha detto Casado. I dati della Banca di Spagna, però, lo smentiscono: nell’ultimo anno, infatti, il deficit pubblico è sceso dal 3,1 per cento al 2,6 per cento. “Il giorno in cui Sánchez convocò le elezioni, sfumavano 6.800 impieghi al giorno” ha proseguito, mentendo ancora. In realtà, infatti, da quando Sánchez ha convocato le elezioni a febbraio, c’è stata crescita fino a 2470 impieghi ogni giorno. Dal giorno in cui Sánchez si è insediato, si contano 220.000 occupati in più, come indicato dall’Istituto Nazione di Statistica (Epa).
Affidandosi ad articoli di giornale e a diversi grafici, Pablo Casado ha dedicato gran parte del suo tempo a criticare Pedro Sánchez e il suo governo, che ha definito il “governo Frankestein”, per l’appoggio ottenuto dai partiti indipendentisti. È proprio questo il nodo centrale delle critiche di Casado: “L’unità della Spagna è a rischio per colpa del governo socialista di Pedro Sánchez. È molto chiaro: quelli che vogliono rompere la Spagna hanno Sánchez come candidato preferito”.
Io voglio essere il leader di tutti i miei conterranei: di quelli che mi votano e di quelli che non lo faranno.
Le promesse più grandi di Casado sono quelle economiche: ha dichiarato l’intenzione di introdurre una “rivoluzione fiscale” che porterebbe alla creazione di circa 400 milioni posti di lavoro. L’ha definita una “rivoluzione storica”, totalmente opposta a quella di Iglesias che, a sua detta, prevede solo “imposte praticamente comuniste”.
“Cari spagnoli, vi sto chiedendo umilmente il vostro voto cosciente del fatto che si tratta di un atto di grande fiducia nel sistema democratico. Lo faccio credendo fermamente di avere un programma migliore rispetto agli altri, di essere il leader di un partito che ha fatto le cose migliori, quando ha governato. Io voglio essere il leader di tutti i miei conterranei: di quelli che mi votano e di quelli che non lo faranno. Voglio creare posti di lavoro e abbassare le tasse a tutti, migliorare le pensioni, l’istruzione, la sanità per tutti. Voglio garantire l’unità della Spagna, la sicurezza, la libertà per tutti. Vi chiedo il voto ma vi chiedo anche di unire i nostri sforzi in un unica alternativa possibile, quella del PP”, ha concluso Casado.
Albert Rivera (C’s)
“A me fa male vedere la Spagna così, mi fa male vedere che la Catalogna si sta rompendo, soprattutto perché sono catalano. Mi veniva da piangere vedendo il colpo di Stato lo scorso ottobre. Al signor Sánchez invece non gli importa nulla. È capace di sedersi con il signor Torra, di farsi una foto e di fare qualsiasi altra cosa per continuare a stare al potere”. È in questo momento che Albert Rivera, leader di Ciudadanos, ha mostrato una foto incorniciata, lasciandola poi in vista nel suo tavolo, che ritrae Sánchez accanto a presidente della Generalitat Quim Torra. Date le sue origini, la questione catalana è il tema che ha coinvolto maggiormente Rivera, che ha criticato Sánchez per essere sceso a compromessi con i principali leader dell’indipendentismo catalano, di essersi “inginocchiato e sottomesso ai nazionalisti” mettendo a rischio l’unità del paese. Dopo aver definito il leader del PSOE “un fake” ha continuando descrivendo il partito socialista come la vera “macchina di disoccupazione del paese”.
Di gran lunga il più agguerrito tra i quattro, Rivera ha attaccato tutti i candidati presenti, senza fare sconti a nessuno. Ha criticato il partiti tradizionali, PSOE e PP, perché rappresentano ormai la vecchia politica: “Abbiamo perso un decennio. Oggi la Spagna ha bisogno di riforme”. Ma ne ha anche per Podemos, che definisce come l’incarnazione della “politica bolivariana”.
Ma noi spagnoli ora diciamo basta, non staremo più zitti.
Convinto, forse, di averla avuta vinta in entrambi i confronti, alla fine dell’ultimo dibattito, dopo i saluti di rito, è uscito dallo studio esultando e stringendo i pugni: un gesto che ha ricordato il Cholo Simeone dopo la vittoria dell’Atlético de Madrid contro la Juventus. Ma questo, non è il solo gesto che ha scatenato l’ilarità del web: il suo primo minuto d’oro, infatti, ha fatto molto discutere e divertire per la sua teatralità:
“[silenzio] Lo sentite? È il silenzio che gelò il sangue a milioni di spagnoli quando i separatisti vollero rompere nostro paese in Catalogna. È il silenzio di una coppia triste, che si guarda negli occhi sapendo che non può avere figli, che non può permettersi di avere una famiglia. È il silenzio di un lavoratore autonome, che chiude per l’ultima volta la serranda del suo negozio perché non può andare avanti. Ma è anche il silenzio che vogliono imporre i nazionalisti a noi che crediamo nella democrazia e che vogliamo difendere la nostra libertà in qualsiasi luogo in Spagna”. [silenzio] “Lo sentite? È il silenzio complice di Pedro Sánchez. Ma noi spagnoli ora diciamo basta, non staremo più zitti. Il 28 aprile andiamo a votare, andiamo a vincere, andiamo Ciudadanos, andiamo Spagna!
Il grande assente: Santiago Abascal
Tra i candidati nel dibattito televisivo ne mancava uno: Santiago Abascal, il leader di Vox, il partito di estrema destra che sta acquisendo sempre più consensi e che ha iniziato a far parlare di sé dopo il successo alle elezioni in Andalusia lo scorso dicembre (ve lo abbiamo raccontato qui).
La decisione di non includere Abascal nel confronto televisivo è stata presa dopo la risoluzione della commissione elettorale che ha escluso la presenza nel dibattito di un partito di estrema destra “dato che questa formazione non ha ottenuto rappresentanza in parlamento”. In risposta a questa esclusione, Santiago Abascal ha riempito la “Plaza de Toros” de Las Rozas, a Madrid (circa cinquemila spettatori), confermandosi come il partito con migliori capacità convocatorie. Dopo essere stato presentato come il prossimo presidente dello stato spagnolo, Abascal è salito sul palco mostrandosi come il leader di un nuovo partito anti sistema, e come un outsider, rispetto agli altri concorrenti impegnati nel dibattito televisivo.
Qui potete guardare il primo dibattito televisivo.