Come promesso, torniamo in Brasile, insieme a Giorgio Palmera, fondatore di Fotografi Senza Frontiere, che a ottobre, attraverso le storie della prostituta Isabel e del movimento Lgbt, ci aveva raccontato come la base popolare del Paese ha vissuto il declino sociale avvenuto tra la fine del governo democratico e l’arrivo delle successive presidenziali. In questo nuovo viaggio, Giorgio torna a Rio de Janeiro e raccoglie le reazioni sgomente delle poetesse di strada dello Slam das Minas, uno dei gruppi Lgbt più minacciati dall’approccio conservatore e repressivo del Presidente Bolsonaro, ma nonostante questo (anzi, forse anche per questo) più culturalmente attivi e politicamente reattivi.
“Il panorama politico attuale è di totale caos, sia per chi vive una vita un poco più sicura nelle zone più residenziali sia per chi vive nelle periferie e favelas come me”, racconta una delle ragazze dello Slam da Minas a Palmera “La guerra è già iniziata, è già qui. Nel Complexo da Marè dove abito io già abbiamo avuto nove morti e 13 feriti (…). Abbiamo messo il potere in mano a una cupola razzista e omofoba che ha un programma di governo totalmente squalificato e basato su menzogne e inganni”. Quello che descrive è un clima teso, impaurito, incerto riguardo al futuro.
Sin dai primi giorni del suo mandato, infatti, Bolsonaro è stato fedele al programma elettorale che ha sempre avuto al centro del mirino (è il caso di dirlo, data la sua ben nota passione per le armi!) proprio le minoranze sociali. Mentre continua la minaccia ai territori dei “quilomboas” (discendenti degli schiavi africani portati in Brasile che, fuggiti dalle piantagioni vivevano in comunità chiamate appunto “quilombos”), partono le prime ordinanze verso indigeni e Lgbt. I primi sono destinati al confinamento in riserve la cui determinazione è affidata non al Ministero della Giustizia bensì a quello dell’Agricoltura. I secondi sono già stati esclusi dalle competenze del nuovo Ministero dei diritti umani.
E continuano a inasprirsi i pregiudizi e le rappresaglie contro lesbiche, gay, bisessuali e transgender, già in aumento dopo la caduta della sinistra, con l’arrivo di Michel Temer nel 2016. Nel 2017 sono stati 445 gli Lgbt brasiliani morti come vittime dell’omofobia: il 30 per cento in più rispetto al 2016. Il primo ed unico membro gay del Congresso brasiliano, Jean Wylly, si è dovuto dimettere poche settimane dopo l’elezione di Bolsonaro e lasciare il Paese a causa delle ripetute minacce di morte.
Non è dunque difficile immaginare un futuro pieno di ostacoli e di pericoli per il movimento Lgbt in Brasile, come per le altre minoranze nel Paese. Per fortuna ci sono gruppi, come le Slam das Minas – minacciate a causa del colore della pelle, del loro strato sociale, scelte sessuali o solo per il fatto di essere donne- per i quali la resa non è un’opzione concepibile.
È stata una reazione contro il maschilismo presente negli slam del Brasile.
Ma chi sono le Slam das Minas? Facciamo un passo indietro. Sono gli anni ’80, quando a Chicago nasce un movimento di battaglie di poesia, lo Slam. Non è un acronimo, ma un’onomatopea: il suono di una porta che sbatte. Questo dice tutto sul suo significato metaforico di rottura, di protesta. Significato che aumenta di senso nel 2015, quando dal movimento (ormai diffuso in tutto il mondo) si sviluppa una falange femminile, le Slam das Minas, composto da donne, nere, lesbiche o transgender. “È stata una reazione contro il maschilismo presente negli slam del Brasile”, spiega Letícia Brito, membro dello slam. “Tutti gli spazi di poesia in Brasile, tutte le manifestazioni poetiche, dialettiche, artistiche possono essere usate anche come una forma di oppressione e maschilismo nei confronti delle donne (…). Da quando è sorto lo Slam das minas le donne hanno cominciato a vincere nei campionati brasiliani (…). E questo è molto significativo perché parliamo della base della piramide, di una parte della società che raramente ha voce o è protagonista”.
Le competizioni sono solo un retroscena secondario rispetto all’attività quotidiana del movimento il cui scopo principale è dare uno strumento alle donne, ancor più se nere, lesbiche o transgender, per esprimersi e affrontare le difficoltà che la società brasiliana mette sul loro cammino. Le poesie parlano di rivolta contro le violenze (come nella straordinaria performance di Gênesis), la denuncia del degrado sociale e ambientale (cui alludono questi versi di Letícia), l’angoscia di chi cresce in una società maschilista che ostacola il libero sviluppo della personalità femminile.
Angoscia che lo slam sa trasformare in consapevolezza e capacità di protesta, come mostra la commovente testimonianza di questa giovanissima slam mulatta – “non abbastanza nera né abbastanza bianca” – che ringrazia il papà per averle insegnato a crescere. Per lei è stato il primo approccio alla poesia di strada, grazie a uno dei tanti “workshop” organizzati dal movimento per diffondere “lo strumento della parola”.
La parola come strumento di resistenza e di lotta è la scelta che le poetesse continuano a fare ogni giorno. Soprattutto dopo l’avvento dell’estrema destra e di Bolsonaro che ha avuto un impatto fortissimo sul movimento.
Adesso dobbiamo alzarci e lottare, fare quello che abbiamo sempre fatto. Lottare per noi non è una novità.
“La più grande tristezza è stata che la maggioranza delle persone con cui viviamo, persone povere e nere, lo hanno votato”, racconta Gênesis, preoccupata – ma non intimorita – dall’atteggiamento dei più rispetto alle loro azioni. “Ci vedono come terroriste. Noi con le nostre azioni di strada ci rendiamo visibili e ci mettiamo in pericolo (…). Forse ancora non abbiamo capito come agire in modo sicuro, ma le azioni non si sono fermate e non abbiamo intenzione di fermarci (…). Adesso dobbiamo alzarci e lottare, fare quello che abbiamo sempre fatto. Lottare per noi non è una novità”.
E se dopo un anno di fascismo così sfacciato, nel paese dove si uccidono più Lgbt al mondo, saranno ancora vive – come si augura Bia Ferreira, cantante, compositrice e attivista brasiliana, incontrata da Giorgio in occasione di un suo concerto – “vorrà dire che forse avremo piantato semi da cui nasceranno milioni di persone come noi, con lo stesso nostro sentimento”.