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Settant’anni di Cina comunista: forze e debolezze del regime nel bilancio di Xi Jinping


Il primo ottobre 1949 Mao Zedong proclamò dal podio di Piazza Tienanmen a Pechino la nascita della Repubblica Popolare cinese. Con il suo discorso pose fine a vent’anni di guerra civile che aveva colpito a fasi alterne la Cina e diede il via al regime comunista nel Paese più popoloso del mondo.

Il primo ottobre 1949 a Piazza Tienanmen erano presenti 200.000 cittadini cinesi, ansiosi di vedere la presentazione della nuova bandiera del loro paese e ammaliati dalle esibizioni delle forze aeree della repubblica popolare (17 aerei sopravvissuti alla guerra, che vennero fatti volare due volte per dare alla folla uno sfoggio di una forza militare che non c’era).

Sono passati 70 anni dal 1949 e lo scorso primo ottobre, sempre a Piazza Tienanmen, si sono tenuti i festeggiamenti per l’anniversario della fondazione della Repubblica Popolare.  Gli organizzatori delle celebrazioni hanno avuto cura di disseminare la giornata di richiami all’evento di 70 anni prima. Xi Jinping, presidente della Repubblica Popolare, ha parlato dallo stesso posto dove aveva parlato Mao e portava un vestito simile a quello del suo predecessore, unico tra le personalità sul podio a non essere vestito in abiti occidentali.

Durante la giornata si è anche svolta la consueta parata militare, con la differenza che ora l’esercito di liberazione popolare è uno dei più progrediti al mondo e non ha più bisogno di ricorrere ad espedienti come quello di far volare per due volte gli stessi aerei. Alla parata hanno preso parte circa 150.000 soldati e vi è stato gran sfoggio di armi all’avanguardia, tra missili intercontinentali e droni supersonici.

La Cina di Xi Jinping è molto diversa da quella di Mao, è un paese ricco, stabile e sempre più influente, esattamente il contrario di quello che era nel 1947, cioè povero, con endemici problemi di malnutrizione e scolarizzazione della popolazione e considerato un reietto sulla scena internazionale.
Ciò non vuol dire che la Cina – e Xi Jinping con essa – non abbia davanti a sé dei problemi molto gravi da risolvere. Non a caso il discorso di Xi si è concentrato sulle due questioni più spinose della sua agenda.
Oggi una Cina socialista si erge orgogliosa adEst del mondo. Nessuna forza può cambiare la posizione della nostra grande madrepatria. Nessuna forza può fermare il popolo cinese e la nazione cinese dal progredire”.

Sembrano parole vaghe di orgoglio nazionale ma tra le righe – come è abitudine dei politici cinesi che non amano essere troppo espliciti nelle loro dichiarazioni – c’è un riferimento chiaro alla grande questione di politica estera cinese di questi anni: la guerra commerciale con gli Stati Uniti.

Lo scontro economico tra i due giganti dura ormai da mesi, all’orizzonte non sembrano esserci soluzioni e l’economia cinese rallenta sempre più. Xi fa ricorso al sentimento di orgoglio nazionale per compattare il Paese in una situazione sempre più irrigidita, ricordando che la Cina è ormai una grande potenza e non è pronta a rinunciare al suo status per risolvere problemi di natura economica. Un’affermazione che per la sua ovvietà può essere anche presa come una manifestazione di debolezza e spaesamento della leadership cinese.

Nessuna forza può fermare il popolo cinese e la nazione cinese dal progredire.

L’altra questione toccata da Xi è quella delle regioni autonome all’interno della Cina – soprattutto Hong Kong e Taiwan – che negli ultimi mesi hanno dato non pochi problemi al governo cinese. Anche in questo caso i toni di Xi sono stati netti: “mentre si muove in avanti la Cina deve aderire al principio di una pacifica riunificazione e di ‘un paese, due sistemi’ mantenendo una durevole stabilità e prosperità nelle regioni amministrative autonome di Hong Kong e Macao, promuovendo lo sviluppo pacifico di relazioni attraverso gli stretti [di Taiwan] per unire tutta la popolazione cinese e per continuare la lotta per la piena riunificazione della nostra madrepatria.”

Dietro alla retorica della riunificazione di tutti i cinesi in un’unica patria c’è soprattutto la frustrazione per la situazione a Hong Kong, dove gli scontri tra la polizia e i manifestanti che chiedono venga rispettata l’autonomia della città proseguono da diciassette settimane, diventando sempre più violenti e fuori controllo (durante una manifestazione contro le celebrazioni per il settantesimo un poliziotto ha fatto fuoco su un manifestante colpendolo al petto e lasciandolo in fin di vita). A sentire queste parole era presente anche Carrie Lam, il capo esecutivo di Hong Kong, e questo probabilmente darà altri argomenti ai manifestanti che hanno sempre accusato Lam di essere manovrata da Pechino.

Molte cose sono cambiate dal 1949 e la Cina ha senza dubbio vinto molte delle sfide che si è trovata ad affrontare da quando è diventata un Paese comunista. Molto gravi problemi sono però ancora da risolvere e, per ironia della sorte, derivano tutti o quasi dalle scelte che vennero fatte il primo ottobre di settant’anni fa.