Lunedì 5 giugno la Corte di Cassazione ha pubblicato una sentenza che da giorni sta scaldando l’opinione pubblica. Si tratta della sentenza che annulla con rinvio l’ordinanza con cui il Tribunale di sorveglianza Bologna, nel maggio 2016, rifiutava la richiesta dei legali di Totò Riina di concedere al boss di Cosa Nostra la sospensione della pena o gli arresti domiciliari a causa delle sue condizioni di salute. Al tempo, infatti, secondo il tribunale, lo stato di detenzione non influiva sulla gravità della patologia e non vi erano motiviazioni sufficienti per ignorare le notevole pericolosità di Riina e quindi soprassedere alle conseguenti esigenze di sicurezza.
La Corte di Cassazione ha tuttavia scartato questo giudizio, definendo le motivazioni riportate da quest’ultimo come “carenti” e “contraddittorie” in alcuni punti. Questo significa che il tribunale di Bologna dovrà verificare di nuovo e motivare adeguatamente l’eventuale compatibilità delle condizioni di salute di Riina con il regime carcerario. Per commentare questa sentenza, il presidente del Senato Pietro Grasso ha aspettato tre giorni. Lo ha fatto da ospite della trasmissione di Radio 24 Melog, cronache meridiane.
Le prime parole di Grasso spiegano le motivazioni per le quali non sia intervenuto immediatamente al dibattito pubblico riguardante la sentenza della Cassazione ripercorrendo in breve alcune sue vicende personali legate alla figura di Totò Riina: “Mi sono trattenuto dall’intervenire sul tema perché ho delle ragioni personali con Riina: lui aveva progettato un attentato nei miei confronti. Dopo Falcone e Borsellino, e accantonati gli attentati contro i politici, Riina aveva detto a Brusca: ‘Ci vorrebbe un altro colpettino’ per riavviare una trattativa che probabilmente languiva e quel ‘colpettino’ ero io. Poi, per l’arresto di Riina, per il sistema di sicurezza di una banca vicina che avrebbe potuto interferire sull’elettronica dei telecomandi e per il cambio di strategia che si spostò dagli attentati dalle persone ai monumenti l’attentato contro di me non ci fu. E nel corso delle indagini uscì fuori anche che era stato progettato il sequestro di mio figlio. Se ne sarebbe dovuto occupare Brusca e un altro esponente della mafia locale“.
Sottolinea, il presidente del Senato, come tale sentenza abbia toccato molto le sensibilità della popolazione che è intervenuta nel dibattito pubblico, definendola come una reazione positiva a un tema sempre attuale. Da uomo di stato rimarca poi che, per quanto la figura di Riina evochi sentimenti mostruosi, è la legge l’unico metro con cui poter affrontare la questione: “Io penso che la sentenza della Cassazione non abbia voluto scarcerare Riina ma da un punto di vista tecnico, abbia richiesto un’ulteriore motivazione da parte dei giudici del tribunale di sorveglianza. E quindi io, che ho sempre portato come medaglia dello Stato Italiano la possibilità di combattere questi fenomeni criminali con la legge, ho piena fiducia nel fatto che sicuramente i giudici di Bologna riusciranno a motivare l’attuale pericolosità di Riina ma anche l’umanità con cui viene trattato in carcere: nel miglior polo specialistico che abbiamo, appunto a Parma”.
Grasso continua ribadendo la pericolosità di Totò Riina, che alla luce delle regole che si conoscono su Cosa Nostra, ne rimane ancora il capo indiscusso. L’ex magistrato individua infine l’unica alternativa al carcere duro prevista dalla nostra legislazione: “La legge può dare la possibilità di interrompere il regime del 41 bis collaborando, quindi Riina potrebbe ottenere la cessazione delle misure facendoci sapere chi erano queste persone importanti che lo hanno contattato prima di fare le stragi, potremmo sapere tante cose che purtroppo ancora non sappiamo”.
Al di là di qualsiasi reazione emotiva, le parole di Pietro Grasso ricordano che viviamo in uno stato di diritto in cui è la legge a decidere che cosa sia giusto e che cosa no. Se la legge è davvero uguale per tutti, anche un boss mafioso con 18 ergastoli sulle spalle ha diritto ad una carcerazione dignitosa. La Cassazione ha chiesto al Tribunale di Bologna di specificare meglio le motivazioni del rigetto delle richieste dei legali di Riina, proprio perché questi non possano appellarsi a nulla. Ha emesso questa sentenza per dimostrare a tutti che nel trattare uno dei peggiori criminali della storia recente del nostro paese, lo Stato Italiano non si concede né carenze, né contraddizioni.
Qui potete trovare l’intervista integrale.