×
Photo by kremlin.ru / CC BY

Crisi India – Cina, parole caute dopo lo scontro


Dal 15 giugno c’è una nuova crisi geopolitica internazionale a preoccupare gli osservatori. Uno scontro di confine tra Cina e India che ha lasciato sul campo 20 soldati indiani e presumibilmente anche diversi soldati cinesi, anche se da Pechino non è arrivata alcuna conferma in merito – e probabilmente non arriverà mai.

Il confine che India e Cina condividono è di oltre 3.500 km. Il problema è che non si tratta di un confine che entrambi i paesi riconoscono ufficialmente. È una demarcazione ufficiosa, che corrisponde alle posizioni dei due eserciti alla fine dell’ultima guerra tra India e Cina, nel 1962. Il confine (chiamato spesso Lac, line of actual control) è lo stesso da quasi 60 anni ma entrambi i paesi rivendicano porzioni che sono sotto il controllo dell’altro.

Questo ha portato negli anni a continue frizioni, con sconfinamenti di truppe da entrambe le parti e una massiccia militarizzazione di tutta l’area. La tensione è quindi molto alta da decenni ma i fatti del 15 giugno sono particolarmente gravi perché era da 45 anni che il conflitto a bassa intensità non portava alla morte di qualcuno tra i soldati dei due eserciti.

Della vicenda non ci sono molte testimonianze dirette. Un po’ perché il confine tra i due paesi attraversa alcuni tra i luoghi meno ospitali e popolati dal mondo, a un’altitudine stabilmente superiore ai 4.000 metri. Un po’ perché Cina e India hanno calibrato con molta attenzione le parole con cui hanno commentato l’accaduto.

La Cina era sicuramente quella con meno da perdere. Secondo le ricostruzioni più attendibili sono stati i suoi soldati a oltrepassare il confine e a dare avvio agli scontri, strappando agli indiani una porzione di territorio che è ancora in mano cinese.

Il portavoce del ministero degli esteri cinese Zhao Lijan ha commentato l’accaduto dicendo: “Chiediamo all’India di tenere sotto controllo le sue truppe affinché non attraversino la linea per provocare. Chiediamo anche di non prendere decisioni unilaterali che possano complicare la situazione”. Una dichiarazione così asciutta contiene in realtà tutto il punto di vista della Cina sulla questione. Pechino non ha mai ammesso che gli scontri siano stati causati da un suo sconfinamento in territorio indiano e di conseguenza ha intimato al suo vicino di non lanciarsi in inutili provocazioni. Un tale sfoggio di superiorità è facilmente comprensibile. Oltre alla piccola vittoria del 15 giugno tutti sanno che un conflitto armato tra India e Cina vedrebbe quest’ultima in schiacciante vantaggio.

Voglio assicurare alla nazione che il sacrificio fatto dai nostri soldati non andrà sprecato.

È ovvio che dalla parte indiana la situazione è più complessa. La morte di 20 soldati, la perdita di un pezzo di terreno e l’impossibilità di recuperarlo sono un amaro boccone per qualsiasi governo. Lo sono ancora di più per un governo come quello indiano, che da diversi anni si è buttato nella narrazione di un’India potente e capace di farsi rispettare.

Non è un caso quindi se il primo ministro indiano Narendra Modi (nella foto in alto, insieme a al primo ministro cinese Xi Jinping, nel 2016) abbia aspettato quasi tre giorni dai fatti prima di prendersi la responsabilità di tenere un discorso in pubblico.

“Voglio assicurare alla nazione”, ha detto il primo ministro,che il sacrificio fatto dai nostri soldati non andrà sprecato. Per noi l’integrità dell’India e la nostra sovranità sono le cose più importanti. Nessuno può fermarci dal proteggerle. Nessuno dovrebbe farsi illusioni o avere dubbi su questo argomento”. Un discorso ben più vago rispetto a quello cinese, vago come le possibilità che l’India ha di controbattere allo smacco subito (nonostante stia già infuriando il dibattito sul boicottaggio dei prodotti cinesi).

Un’ulteriore prova della fragilità dell’India è arrivata qualche giorno dopo, sempre a opera di Modi. Il primo ministro in un messaggio televisivo ha infatti sostenuto che “nessuno è entrato nel nostro territorio e nessuna delle nostre posizioni è stata occupata da qualcuno”. In base a quello che sappiamo le cose sono andate molto diversamente, ma è evidente che questa bugia permette al governo indiano di salvare la faccia, facendo finta di non aver perso alcuna porzione di territorio e di non aver quindi nulla da rivendicare nei confronti della Cina.

La situazione delle parti in causa, al di là delle parole criptiche o false della diplomazia è però chiara. Come detto dal ricercatore dell’Università di Oxford Aman Tekkar: “L’India ha fatto capire che vorrebbe il ritorno allo status quo di prima che questo confronto cominciasse. Vorrebbe che i due eserciti tornassero sulle posizioni che occupavano fino ad aprile. La Cina ha detto molto poco, quindi penso sia molto difficile capire cosa hanno in mente. Penso che visto che sono riusciti ad acquistare delle posizioni vorrebbero tenerle. Ovviamente ora che ci sono state delle violenze e delle morti sul confine, sarà molto difficile riuscire a tornare allo status quo”.

Al di là delle questioni contingenti è proprio lo slittamento dello status quo quello che più preoccupa. La perdita di equilibrio nei rapporti tra i due paesi più popolosi al mondo (entrambi dotati di armi nucleari) è forse la questione più allarmante in un quadro geopolitico internazionale che si va facendo sempre più complesso.