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Non basta essere donne, bisogna essere femministe


Il 2 ottobre 1976 i movimenti femministi romani (il Movimento femminista di via Pompeo Magno, il collettivo di via Pomponazzi e alcune donne del Partito radicale di Torre Argentina) occupano palazzo Nardini, un immobile del quattrocento vicino a via del Governo Vecchio, dietro piazza Navona, dando vita alla Casa Internazionale delle Donne di Roma.

Quasi dieci anni dopo, nel 1987, arriva lo sfratto che porta all’occupazione della parte seicentesca di Via della Lungara, 19, e alla rivendicazione della prevista destinazione e dà inizio a una lunga trattativa con il Comune per il restauro e la consegna dell’edificio all’associazionismo femminile.  Nel 1992, finalmente, grazie al sostegno del Coordinamento donne elette del Comune di Roma il Progetto Casa Internazionale delle donne è elencato tra le opere di Roma Capitale e approvato dal Comune stesso.

Quel giorno la Casa Internazionale delle Donne diventa un organismo autonomo, libero e autofinanziato, con e per le donne. E da allora la Casa è stata un punto di riferimento per migliaia di donne. Un centro di autoaiuto per la conoscenza del proprio corpo e della salute riproduttiva, di informazione e consultazione su aborto e altre questioni legali. Un centro di ascolto per le donne vittime di violenza, un asilo e un luogo di cultura al femminile.

Sicuramente un percorso non semplice né lineare, ma che tutt’oggi è simbolo di una battaglia iniziata con coraggio e determinazione dalle migliaia di donne che dal 1968 – anno in cui la seconda ondata di femminismo arrivò in Italia – sono state protagoniste di mobilitazioni e immensi sit-in. Migliaia di donne che necessitavano un luogo per continuare a ideare e progettare insieme i loro sogni di libertà.

Quella di allora è una battaglia non ancora conclusa e che vede al suo interno anche la Casa stessa che però, dal 2001 a oggi, ha accumulato con il Comune un debito di circa 900mila euro di affitto non pagato e ora rischia di chiudere.

L’accordo originario stipulato nel 1992 con il Comune di Roma, infatti, prevedeva che tutte le spese, sia quelle ordinarie sia quelle straordinarie o di restauro fossero a carico dell’associazione, che doveva corrispondere anche un affitto al Comune. Tutto questo con un debito pregresso di 150mila euro. Con l’amministrazione di Ignazio Marino (2013-2015) era stato raggiunto un accordo per la cancellazione del debito. In cambio il Comune aveva chiesto servizi gratuiti in ambito sociale che sono stati messi in piedi e portati avanti dalle responsabili della Casa. La nuova giunta capitolina ha deciso di ignorare questo accordo e ha bloccato le trattative con un’improvvisa richiesta di saldare i debiti.

Le donne della Casa si sono immediatamente mobilitate per risolvere la questione, progettando e organizzando una campagna di sensibilizzazione sotto l’hasthag #lacasasiamotutte, che ha avuto grande risonanza, e una raccolta fondi per saldare il debito e risolvere quanto prima il problema. Una raccolta tutt’oggi aperta. 

Non basta essere donne, bisogna essere femministe.

Non ci sottraiamo al piano economico però riteniamo che non sia possibile una soluzione se non accettando un confronto anche di carattere politico. Questo è un progetto che da quarant’anni è condiviso con il Comune di Roma, che ha una storia nell’individuazione del palazzo stesso, in cui erano recluse le donne cosiddette ‘devianti’. Allora che il Comune di Roma decide di cambiare segno a questo complesso affidandolo alle donne non è una cosa qualsiasi, è una scelta culturale e politica di grandissimo significato”.

Queste le parole di Francesca Koch, presidente della Casa Internazionale delle Donne, dopo la mozione presentata il 17 maggio dai consiglieri del Movimento 5 stelle e approvata dall’assemblea capitolina e a poche ore dall’incontro decisivo in Campidoglio.

La presidentessa prosegue con un invito rivolto alla Sindaca di Roma: “Non basta essere donne, bisogna essere femministe. Questo la Sindaca per il momento non l’ha dimostrato. [… ] Abbiamo detto ‘vieni, è anche casa tua’, perché la Casa delle Donne ovviamente è anche la casa della Sindaca. Noi vorremo avere un cenno di risposta da parte sua, che naturalmente coincide con un’assunzione di responsabilità. Vuol dire battere un colpo e dire: ‘io ci sono e sono la Sindaca”.

Ed ecco che, durante l’intervista di Maria Latella a Virginia Raggi per SkyTG24, arriva la risposta tanto attesa: “La Casa delle Donne è un luogo nel quale storicamente le donne hanno deciso di stabilire il loro quartier generale. Il Comune di Roma, in qualche modo, ha concesso loro un immobile, per altro molto prestigioso, e ha sempre praticato degli sconti importanti. Sconti però in linea esattamente con quello che avviene per tante altre associazioni, che si battono per i diritti e le tutele magari delle persone più fragili, delle persone più svantaggiate”.

Lo sconto a cui Virginia Raggi fa riferimento è il cosiddetto “canone ricognitorio”: una riduzione del 20 per cento rispetto al prezzo di mercato riservato alle associazioni che svolgono attività a favore della società e delle altre persone. “Ci sta, è giustissimo, secondo me, che il Comune faccia qualcosa per sostenere queste associazioni”. Le quali, a suo dire, pur faticando molto riescono a sanare le spese, a differenza della Casa Internazionale delle Donne che, sottolinea “continua a non voler pagare neanche quella piccola quota, che peraltro è stata ulteriormente scontata”.

La mozione sulla Casa e il rischio di chiusura suscitarono, soprattutto durante i mesi di maggio e giugno, una straordinaria solidarietà a livello nazionale e internazionale. Iniziative e mobilitazioni per raccogliere fondi furono organizzate da parte di piccole e grandi realtà, insieme a una raccolta firme che vide, in poche settimane, il raggiungimento di 80.000 firme.

Non si deve pensare che perché siamo donne allora abbiamo diritto di scavalcare le leggi, o comunque scavalcare regole che ci siamo date.

Concludendo la risposta alla domanda di Latella, Raggi fa riferimento proprio a quelle firme, simbolo delle tante persone che credono nell’attività della Casa delle Donne e quindi, secondo il parere della Sindaca, c’era una possibile soluzione al problema del debito. “Per iniziare a ripagare questo debito ho suggerito loro di chiedere un piccolissimo contributo a ciascun sottoscrittore: 10euro a sottoscrittore. All’epoca il debito ammontava a circa 800.000 euro, lo avrebbero ripagato. Io, come cittadina, avrei versato la mia quota e come me lo avrebbero fatto alcuni assessori, alcuni consiglieri. Sostanzialmente mi hanno riso in faccia. Allora, io questo dico: noi abbiamo lottato per avere gli stessi diritti, non per avere privilegi. Per me il femminismo è quello, non è altro, non si deve pensare che perché siamo donne allora abbiamo diritto di scavalcare le leggi, o comunque scavalcare regole che ci siamo date.”

Stupite dalle affermazioni della Sindaca Raggi, le donne della Casa Internazionale hanno risposto con un aggiornamento inserito nel loro sito ufficiale dal titolo autoesplicativo “Le fake news della Sindaca Raggi”:

Dobbiamo ritenere che le citazioni non corrispondano al suo pensiero, come non corrisponde a verità il rifiuto di pagare il canone, che stiamo invece pagando secondo le nostre possibilità. La Sindaca sa bene, infatti, che noi abbiamo proposto da tempo un’ipotesi di transazione; siamo pronte a pagare un importo ragionevole, anche per il passato (…). Abbiamo sempre sostenuto che la valutazione del nostro debito dovesse anche tener conto del valore economico per la città che noi abbiamo prodotto negli anni con le nostre iniziative culturali e sociali, con i servizi offerti, con la manutenzione e l’apertura alla cittadinanza dello stabile affidatoci.”

Qui l’intervista di Maria Latella a Virginia Raggi per SkyTG24

Subito sotto, invece, l’intervento di Francesca Koch.