L’attività dell’organizzazione terroristica jihadista sunnita Boko Haram si differenzia in un punto essenziale da quella di altri gruppi estremisti islamici. Boko Haram (il gruppo in realtà si chiama Jamāʿat Ahl al-Sunna li-daʿwa wa l-Jihād, ovvero Gruppo della Gente della Sunna per la propaganda religiosa e per il Jihad, ma nella città nigeriana di Maiduguri, dove si è formato, è stato presto ribattezzato con il nome con cui è conosciuto in tutto il mondo, che letteralmente significa «l’istruzione occidentale è proibita») vuole instaurare la Shari’a e fondare un califfato in Africa e a tal scopo organizza attentati, fa propaganda, e fin qui nessuna sorpresa. La peculiarità dell’organizzazione terroristica nigeriana è il sistematico ricorso al rapimento di giovani donne. L’episodio più drammatico in tal senso è avvenuto nel 2014, quando i militanti islamici hanno rapito quasi 300 studentesse da una scuola della cittadina di Chibok.
Nei mesi successivi circa 50 di queste ragazze sono riuscite a fuggire e altre 100 sono state liberate nel 2017 dopo il pagamento di un riscatto di quasi 4 milioni di dollari da parte del governo nigeriano. Quale inferno hanno attraversato (o purtroppo stanno ancora attraversando) le tante ragazze, schiavizzate e brutalizzate dai militanti di Boko Haram in una remota foresta, terrorizzate, minacciate di morte e lontane dalle loro famiglie? Lo raccontano Ya Kaka e Hauwa, fuggite entrambe in circostanze rocambolesche e drammatiche dalla prigionia.
Ya Kaka aveva 15 anni quando è stata rapita, Hauwa 14. Sono state portate negli Stati Uniti da una organizzazione no profit chiamata Too Young to Wed che protegge le ragazzine dei Paesi in via di sviluppo costrette a matrimoni indesiderati e le aiuta a studiare e a rifarsi una vita.
“Vivevo nel villaggio di Bama allora, studiavo e non avevo problemi, ma poi Boko Haram ha effettuato un raid. Mi hanno strappato da casa con un fratellino di 6 anni e una sorellina di 5: ancora oggi non so che fine abbiano fatto, non li ho più rivisti. Mi hanno condotto nella foresta, e lì sono rimasta per molto tempo”, ricorda Yu Kaka in un’intervista con la giornalista Judy Woodruff per la rubrica “News Hour” dell’emittente PBS (Public Broadcasting Service), un’azienda no-profit statunitense di radiodiffusione pubblica.“Il mio primo ‘marito’ tra i militanti era proprio uno dei miei rapitori: per prima cosa mi ha violentato, poi mi ha mandato in giro nuda per il campo e mi ha fatto violentare da altri suoi compagni. Quando sono tornata mi ha anche frustato per la mia assenza, anche se sapeva benissimo dove ero. Questa era la mia vita di tutti i giorni”.
“Ho partorito un bambino prima di riuscire a fuggire assieme ad alcune altre compagne di prigionia. Non pensavo che ce l’avrei mai fatta, eravamo nel profondo della foresta nigeriana senza indicazioni per raggiungere le città. Siamo partite di notte, mentre le guardie dormivano e abbiamo camminato per giorni, finché non siamo giunte nei pressi di Maiduguri. Una camionetta di militari ci ha raccolte per la strada e ci ha condotte al campo profughi di Dalori”.
La vita al campo tuttavia non è stata facile come Yu Kaka aveva sperato: “C’era tantissima gente e persino mangiare era un problema, a volte digiunavo per giorni e così anche il mio bambino. Sì, c’erano operatori di organizzazioni umanitarie che distribuivano cibo, ma non riuscivo quasi mai a procurarmelo, finiva prima che venisse il mio turno”, racconta la giovane.“Un altro problema era che nel pomeriggio, quando gli operatori delle Ong internazionali lasciavano il campo, i soldati venivano a cercare noi ragazze più giovani e ci chiedevano di fare sesso: era meglio accettare, ci dicevano, o sarebbe stato peggio per noi. Ero passata insomma dalla padella alla brace e così decisi di andare in un’altra comunità. Qui purtroppo mio figlio si è ammalato, non c’erano medicine e il bambino è morto. È così che ho perso mio figlio”.
Ci sono migliaia di altre ragazze che non hanno voce e sono prigioniere nella foresta
“Vivevo anch’io a Bama con i miei genitori e anch’io non avevo particolari problemi”, racconta invece Hauwa, la cui testimonianza è non meno drammatica. “Poi sono arrivati i guerriglieri di Boko Haram. Il terzo giorno del loro attacco un amico d’infanzia di mio fratello maggiore, che era un membro del gruppo terroristico, li ha condotti a casa mia in cerca di mio fratello. Non lo hanno trovato, ma quell’uomo in compenso ha annunciato che mi avrebbe presa, portata nella foresta e sposata. Mio padre ha provato a protestare e gli hanno tagliato la gola davanti a me, anche la mia matrigna ha fatto la stessa fine. Poi mi hanno portato via.”
Come Yu Kaka, anche lei è rimasta incinta durante la prigionia. Ed era incinta quando è riuscita a scappare, mentre i suoi rapitori si trovavano in moschea: “Era la cosa migliore da fare, ero incinta, ero una ragazzina e non c’era per me nessuna assistenza, avevo tanta paura di morire durante il parto in quella foresta sperduta. Ho vagato per sette giorni tra gli alberi, finché non mi sono imbattuta in una anziana donna che ha visto in che condizioni ero e mi ha ospitata nella sua capanna. Dopo due giorni ho partorito una bambina e dopo qualche altro giorno mi sono sentita abbastanza forte da ripartire. Avevo paura che gli uomini di Boko Haram mi trovassero, avrebbero ucciso sia me, sia mia figlia sia l’anziana che mi aveva soccorso”. La bambina pero è morta dopo tre giorni, prima che Hauwa riuscisse ad arrivare in città.
“Quando ho raggiunto Maiduguri non conoscevo nessuno, sono stata ospitata in una comunità ma nessuno mi voleva, mi disprezzavano e mi chiamavano ‘l’ex sposa di Boko Haram’. Avevo un solo vestito e se volevo lavarlo dovevo spogliarmi nuda, lavarlo e aspettare nuda nascosta da qualche parte che il vestito si asciugasse.
La vita di Huawa è cambiata quando ha incontrato l’organizzazione Too Young to Wed che l’ha aiutata e l’ha iscritta a una delle migliori scuole private della Nigeria. “Il mio status allora è cambiato, sono diventata addirittura popolare, con troppa attenzione su di me. Allora ho cambiato zona, sono andata a vivere in una cittadina dove nessuno conosce il mio passato. Sono davvero grata a Too Young to Wed e al governo statunitense per il loro aiuto, ma ci sono migliaia di altre ragazze che non hanno voce e sono prigioniere nella foresta. Nessuno parla di loro. Bisogna salvarle. Bisogna mandarle a scuola. Bisogna salvare la mia generazione”.