Le proteste di Hong Kong stanno cambiando. Nate per contrastare una singola legge – l’accordo di estradizione con la Cina – si sono radicalizzate fino a diventate una lotta a tutto campo per l’autonomia della città-stato, senza esclusione dell’uso della forza da parte dei manifestanti. In parallelo sono diventati più rigidi anche i metodi di chi si oppone alle proteste: l’amministrazione di Hong Kong e, dietro questa, la Cina.
Le giornate tra il 31 agosto e il primo settembre sono state il tredicesimo weekend consecutivo di proteste e forse quello che ha segnato un punto di non ritorno nei rapporti tra i manifestanti e le autorità.
Che le proteste dei giorni scorsi non sarebbero state come le altre si era capito dalla mossa della polizia di Hong Kong all’inizio della settimana: messa al bando della manifestazione prevista nel weekend e arresto di alcuni importanti leader del movimento. In particolare giovedì 29 agosto sono stati arrestati Joshua Wong (leader nel 2014 del “movimento degli ombrelli”) e Agnes Chow, accusati di aver organizzato alcune proteste non autorizzate lo scorso 21 giungo . I due sono stati rilasciati poche ore dopo su cauzione, ma il loro arresto è stato da molti interpretato come un messaggio intimidatorio verso i manifestanti.
Continueremo la nostra lotta, non importa se ci arresteranno e se ci metteranno sotto accusa.
Né Wong né Chow hanno ritrattato sulla necessità di continuare con la protesta. “Noi non ci arrenderemo. Chiedo urgentemente alla comunità internazionale di mandare un chiaro messaggio al presidente Xi [Jinping]: mandare truppe o istituire una legislazione d’emergenza non è un modo per risolvere la questione. Non importa se vieteranno la manifestazione, non importa se mi arresteranno: la gente verrà comunque [a protestare] a Hong Kong, ci saranno un sacco di persone per le strade. Continueremo la nostra lotta, non importa se ci arresteranno e se ci metteranno sotto accusa”, ha detto Wong al momento del rilascio. Parole simili sono arrivate da Chow: “Noi persone di Hong Kong non ci arrenderemo e non ci faremo intimidire da questo terrore bianco e da questa ingiustizia. Continueremo a combattere per la democrazia”.
Le proteste del weekend hanno confermato le previsioni dei giorni precedenti: decine di migliaia di persone vi hanno preso parte, e in molti casi i manifestanti sono passati alle vie di fatto. L’aeroporto di Hong Kong è stato occupato per la seconda volta in poche settimane e il treno che lo collegava al centro della città è stato bloccato . Contro la polizia sono state lanciate bombe molotov e alcune stazioni della metropolitana sono state occupate e vandalizzate. Una è stata allagata.
Le forze dell’ordine hanno risposto con la stessa moneta. Nelle ultime ore i poliziotti hanno usato contro i manifestanti cannoni ad acqua (anche mischiata a vernice per marcare e poter identificare i manifestanti dopo le manifestazioni) e proiettili di gomma, e in molti casi hanno caricato la folla : il caso più eclatante è avvenuto in una stazione della metropolitana occupata dai protestanti che è stata presa d’assalto e sgomberata con la forza dalla polizia.
Dietro le quinte anche la strategia di Pechino nei confronti dell’instabile regione autonoma si sta irrigidendo. Continuano i proclami minacciosi nei confronti dei manifestanti ma si intensificano anche i movimenti delle truppe ai confini di Hong Kong. La Cina si trova a fronteggiare un movimento che non dà cenni di perdere intensità e al quale, per la natura autoritaria del governo di Pechino, non può fare concessioni. Se è chiaro che un intervento armato all’interno dei confini della regione autonoma di Hong Kong sarebbe un duro colpo alla reputazione internazionale della Cina è altrettanto vero che mano a mano che le proteste si fanno più violente e intense a Pechino rimangono sempre meno opzioni per uscire dalla crisi.
Le persone sono per le strade perché vogliono protestare contro la violenza sistematica e la tirannia del governo.
Il weekend nel frattempo è passato ma la tensione rimane ancora alta. Il 2 settembre è stato indetto uno sciopero generale degli studenti in concomitanza all’inizio dell’anno scolastico. Migliaia di ragazzi vi hanno aderito per poter proseguire le proteste, mentre le stazioni della metropolitana sono sotto stretto controllo della polizia.
Uno dei ragazzi che ha rifiutato di presentarsi a scuola spiega le ragioni degli studenti, a volto coperto, come moltissimi dei manifestanti in queste proteste (dove l’anonimato è stata una delle armi più forti contro la repressione dell’autorità) le ragioni degli studenti: “Penso ci saranno ancora conflitti a Hong Kong. Penso che sia il governo, e non i manifestanti, a dover prendere l’iniziativa e porre fine alla situazione attuale. Le persone sono per le strade perché vogliono protestare contro la violenza sistematica e la tirannia del governo”.