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Photo by Oxfam/Guardian / CC BY

Giù le mani dalle streghe


L’accusa è di praticare sanguma. Magia nera, stregoneria. Richiama alla memoria le persecuzioni che hanno avuto luogo tra il XV e il XVIII secolo, anche sotto la spinta del Malleus Maleficarum (forse il più famoso trattato di stregoneria), in Europa e in America, dettate da superstizioni e isterismi di massa. Sono trascorsi più di cinque secoli dalla pubblicazione del trattato ma ancora oggi in Papua Nuova Guinea, proprio come allora, chi viene accusato di praticare la sanguma – in particolare donne e bambini – viene torturato, percosso con sbarre di ferro incandescenti e spesso ucciso.

Solo tra il 2013 e il 2016 si stima siano stati più di 370 gli atti di violenza legati a queste convinzioni, ma il numero potrebbe essere ben più alto poiché gli attacchi avvengono in aree lontane dai centri urbani (la Papua Nuova Guinea è per l’80 per cento rurale). Ecco perché gli autori di tali crudeltà riescono a tacere la violenza subita dalle vittime, non consapevoli dell’ingiustizia che stanno soffrendo.

La stregoneria è una credenza”, racconta Umba Peter, in passato accusatore e torturatore e oggi, pentito, educatore e attivista che lavora per eradicare questa forma di violenza. “Quando qualcuno nella comunità sta male, viene usato come scusa per accusare qualcun altro. Questa persona potrebbe usare la magia nera per far sì che l’altro stia male. Quindi si rivendicano su di loro, li accusano. Uccidono le persone sospettate di praticare magia.”

Tra gli atti di violenza venuti alla luce negli ultimi anni, un breve documentario del Guardian realizzato in collaborazione con Oxfam che lavora sul luogo per aiutare le vittime, riporta quanto accaduto il 7 marzo del 2018 a Rose. La donna è stata accusata prima di aver provocato la morte di una bambina di tre anni, poi, una volta che il villaggio scoprì che la bambina era ancora viva, di averle mangiato il cuore. Per otto ore è stata torturata e bruciata da 15 uomini.Non c’era modo per me di scappare. È stato orribile. Mi hanno portato dove erano già pronti dei pezzi di ferro rovente e mi hanno fatto male.” Rose porta ancora sul suo corpo le profonde cicatrici dell’accusa di sanguma, ed è rimasta sola perché il marito è fuggito subito dopo l’accusa. La bambina che il villaggio credeva essere morta, si è scoperto in seguito, soffriva di epilessia.

Almeno Rose è ancora viva. Al contrario di Kepari Leniata, una donna di 20 anni che nel febbraio 2013 è stata massacrata e arsa viva davanti più di cento persone impietrite, incapaci di fermarne l’assassinio, su una pila di pneumatici vecchi, spazzatura e legno. Morì dopo circa 20 minuti.  Il figlio Jackson Kapo, che quel giorno era tra la folla, assistette alla scena e ricorda che “fu straziante”. Anni dopo anche la figlia più piccola, Justice, subì le stesse accuse e simili torture perché gli abitanti del villaggio in cui viveva temevano avesse ereditato i poteri della madre, venne quindi accusata di aver provocato il mal di pancia di un suo coetaneo e i parenti presso cui era affidata fuggirono per la paura.

Dopo mesi molto difficili e nonostante le profonde cicatrici sul corpo, la bambina è tornata a scuola ed è stata adottata da Kissam, una donna che si è sottratta alla tradizione rifiutando il matrimonio, ha preferito concentrarsi sulla difesa dei diritti di genere e di chi ha subito violenza nel nome della sanguma. Parte integrante dell’accusa è la tortura, come del resto lo è stata nella caccia alle streghe in Europa e negli Stati Uniti dei secoli passati. Tuttavia, a differenza di allora, oggi è più facile tener traccia di questa violenza e combatterla, attraverso la sensibilizzazione e la comunicazione. Stanno nascendo infatti iniziative e gruppi di attivisti, Kissam è una di loro, che tentano di contrastare la cecità delle vecchie superstizioni e di varare le riforme legislative verso il miglioramento dell’assistenza sanitaria, dell’istruzione, dei tassi di occupazione e delle forze dell’ordine.

Non c’era modo per me di scappare. È stato orribile. Mi hanno portato dove erano già pronti dei pezzi di ferro rovente e mi hanno fatto male.

Tra queste iniziative spicca l’associazione Kuswa – Kafe Urban Settlers Women’s Association – che fornisce supporto a chi sopravvive alla violenza oltre che alle autorità locali, dando loro i mezzi per raggiungere le scene del crimine.Kuswa esiste perché in passato le donne non sapevano come accedere a certi servizi. Le donne non hanno il diritto di parlare dei loro problemi”, racconta la fondatrice dell’associazione, Eriko Fuferefa. “Tutte affrontano questo tipo di violenza. Accade sempre, ma nessuno ne parla, nessuno parla dei diritti delle donne. Nessuna di loro sa accedere al sistema giudiziario o sa come accedere all’assistenza sanitaria. Ma quando è nata quest’associazione siamo andati in giro per le comunità a difendere ed educare le donne.

Ed anche educare gli uomini, senza che sia necessario che la tragedia li tocchi da vicini per far loro cambiare prospettiva, come è successo a Umba Peter. Il suo punto di vista è cambiato dopo che un gruppo di uomini ha torturato sua zia. “Quello è stato il punto di svolta. Voglio vedere gli uomini rispettare le donne. Comunità e persone felici, in armonia. Quando cambieremo la mentalità degli uomini, potranno rispettare le donne, potranno considerare gli altri da pari a pari. Se vedranno uguaglianza, credo che la violenza diminuirà.

Al tempo il martirio di Kepari Leniata ebbe una risonanza mediatica molto forte e da allora non si hanno più notizie di atti simili, non si sa se perché non più avvenuti o semplicemente non più resi noti al di fuori dei villaggi. Al tempo le autorità non avevano i mezzi per contrastare questi crimini, anche se forse qualcosa sta cambiando. “Quando in passato veniva segnalato un crimine di questo tipo”, racconta Marie, agente di polizia, “non andavamo subito presso il luogo in cui si era consumata la violenza, perché non avevamo né il mezzo né la benzina per arrivarci.” Oggi invece spiega sempre Marie, la polizia locale lavora in collaborazione con Eriko: “Quando la chiamo e le chiedo aiuto lei arriva qui, ci dà un po’ di soldi per la benzina, un po’ di soldi per i poliziotti. Adesso lavoriamo così, in modo efficace, andiamo subito sulla scena del crimine”.

Quando cambieremo la mentalità degli uomini, potranno rispettare le donne, potranno considerare gli altri da pari a pari.

Un forte segno del cambiamento si è visto nel 2013, in parte in relazione al clamore suscitato dalla morte di Kepari Lenieta: quell’anno è stato abrogato il Sorcery Act del 1971, legge che difendeva gli imputati che commettevano atti di violenza per “fermare” la stregoneria. Redatto per accogliere e riconoscere molte delle credenze culturali del paese, divenne col tempo un mezzo per giustificare la violenza. “La Papua Nuova Guinea ha fatto un passo in avanti nel proteggere le donne dalla violenza abrogando la legge sulla stregoneria, ma diversi, giganteschi, passi indietro che la avvicinano ancora di più alla pena di morte”, ha affermato in merito Isabelle Arradon, ex vicedirettrice di Amnesty International per la zona Asia-Pacifico. “La pena di morte ora sembra applicarsi a un elenco più lungo di crimini, tra cui omicidio, stupro e rapimento legati alla stregoneria”, dichiara Amnesty International a riguardo.

Questi crimini non avvengono solo in Papua Nuova Guinea, ma anche in altri paesi come l’India, dove avvengono persecuzioni anche peggiori. Qui le donne vengono emarginate in villaggi in cui creano una comunità indipendente, con l’unica caratteristica in comune di essere considerate streghe. L’Assam è tra gli stati indiani in cui questa credenza è maggiormente diffusa, e dove di conseguenza si verificano più spesso atti di violenza disumani.

Quasi tutte le aree del pianeta in cui si compiono queste persecuzioni corrispondono a Paesi a basso e medio reddito, in cui un raccolto scarso è imputabile a un cattivo incantesimo e un bambino che piange frequentemente la notte è sicuramente posseduto. La Tanzania è tra gli stati del continente africano dove avvengono più frequentemente omicidi legati alla stregoneria, soprattutto nei confronti di donne anziane, ma si verificano spesso anche in Gambia, Uganda e Sudafrica (qui un rapporto delle vittime di stregoneria dal 2000 al 2019 uccise in Sudafrica).

La strada che porta ad una più capillare emancipazione ed educazione di uomini e donne, in zone rurali come quelle della Papua Nuova Guinea, è ancora molto lunga, ma le prospettive che si intravedono sono incoraggianti. La stessa Kissam, tra gli attivisti che mossero il governo ad abrogare la legge sulla stregoneria sette anni fa, è ottimista nel credere che, con il tempo, la Papua Nuova Guinea chiuderà questo oscuro capitolo della sua storia, proprio come avvenne intorno al 1750 con la fine dell’oscuro capitolo della Storia che vide bruciare moltissime donne.