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Paesi Baschi: l’Eta non esiste più


Eta (Euskadi Ta Askatasuna, letteralmente Paese Basco e libertà), l’organizzazione terroristica basco-nazionalista e separatista, si è sciolta definitivamente il 3 maggio scorso. Nata nel 1958 come associazione studentesca clandestina per sostenere l’indipendenza dei baschi, negli anni Sessanta si è accostata alla lotta armata lasciandosi alle spalle più di 800 vittime.

Tra i protagonisti principali del processo di pace che ha portato alla dissoluzione di Eta c’è José Luis Rodriguez Zapatero, ex-presidente del governo spagnolo ed ex segretario del partito socialista (Psoe). In un’intervista a El Intermedio, Zapatero ricorda gli sforzi del suo governo nella negoziazione con la banda criminale e la tensione di quegli anni. Proprio alla fine del suo secondo mandato, infatti, il 20 ottobre 2011, Eta ha ufficialmente rinunciato alla lotta armata.

Nel suo recente comunicato Eta ha detto che tutto questo non sarebbe mai dovuto accadere. Non si sono però scusati bene per quello che hanno fatto. Non ci sarà più il terrorismo di Eta, ma dovrà esserci memoria perché la democrazia spagnola ha attraversato una prova molto dura, che le ha permesso di comprendere la superiorità del dialogo sulla violenza”.

La democrazia spagnola ha attraversato una prova molto dura.

Zapatero è stato sempre il principale sostenitore della mediazione e del dialogo con l’organizzazione basca. Per questo è stato aspramente criticato non solo dai suoi avversari politici ma anche da alcune famiglie delle vittime. “Posso capire (queste critiche), ma la responsabilità del governo è diversa. Ricordo bene una delle prime vittime che ho conosciuto, poco dopo la mia elezione a segretario del Psoe. Era Eduardo Madina (ex politico socialista spagnolo, ndr). Sono andato a trovarlo in ospedale, gli avevano già amputato una gamba e lui era a letto. Ci siamo abbracciati e mi ha detto: ‘Bisogna dialogare, bisogna negoziare’. Aveva appena perso una gamba e quasi perso la vita. Quest’incontro mi ha segnato enormemente”.

Una lunga negoziazione, quella con Eta, che ha portato il governo a discutere direttamente e indirettamente con il partito socialista basco, all’epoca presieduto da Jesús Eguiguren, con Batasuna, partito indipendentista basco considerato il braccio politico di Eta, guidato da Arnaldo Otegi, e con alcuni membri della banda. “Tutto è iniziato con Eguiguren e Otegi. Questa è la verità dei fatti. Soprattutto con Eguiguren. Lui si è giocato tanto, ha sofferto molto, personalmente. Credo che questo paese gli debba rendere omaggio”. Eguiguren ha avuto, infatti, un ruolo chiave nelle relazioni tra il presidente del governo e Batasuna che decretarono l’inizio del cosiddetto processo di pace. Un percorso per nulla facile perché Eta era un gruppo ben organizzato la cui cupola cambiava di volta in volta, e con lei gli obiettivi. Un’organizzazione forte, difficile da raggiungere anche dagli stessi membri di Batasuna.

Nella sua intervista, Zapatero sottolinea come queste negoziazioni avevano una grande componente politica ma tutto avveniva nel contesto di un’organizzazione criminale. “Parlavamo dei prigionieri politici, della sicurezza dello Stato. L’importante per noi era far durare il dialogo il più possibile perché in questo modo si guadagnava tempo senza violenza, senza terrorismo. Contemporaneamente si generava una progressiva perdita di appoggio sociale da parte dei baschi a questi metodi di violenza”.

L’importante per noi era far durare il dialogo il più possibile

Le condizioni erano chiare: una tregua dalla lotta armata per permettere il dialogo, possibile solo se Eta avesse smesso di uccidere. Un patto, tuttavia, disatteso con l’attentato al Terminal 4 dell’aeroporto “Adolfo Suárez” di Madrid nel Dicembre 2006. Solo pochi giorni prima Zapatero si era dichiarato ottimista, sostenendo che le cose stavano migliorando di giorno in giorno e che ogni anno sarebbe stato migliore. Ma i fatti lo smentirono presto. Saltò la tregua, saltarono le trattative.

Il dialogo si interruppe per un certo tempo ma riprese grazie a delle mediazioni che Zapatero non rivela, ma che definisce “non spagnole”. “Grazie a questi contatti indiretti noi sapevamo bene quello che succedeva internamente a ETA e che tutto cambiava molto in base a chi dirigeva la banda. In questo modo abbiamo anche avvertito i primi sintomi della loro volontà di abbandonare la lotta armata”.

Nonostante la tensione e le aspre critiche, Zapatero non ha mai rinunciato alla via del dialogo e ricorda con emozione quel 20 ottobre 2011 quando, a due mesi dalla fine della sua legislatura, Eta dichiarò l’abbandono definitivo della lotta armata: “Sapevo che l’avrebbero dichiarato quel giorno ma fino a quando non vedi quei 2 minuti e 20 secondi in cui gli incappucciati comunicano la fine definitiva non rimani tranquillo. In quel momento mi sono emozionato”.

Zapatero racconta i momenti salienti del processo di pace ma non rivela tutti i protagonisti e gli eventi che hanno portato, a distanza di sette anni, allo scioglimento definitivo di Eta. Per l’ex presidente molte cose sono successe, ma passeranno anni perché vengano raccontate.

Oggi ricordo le vittime, l’assurdità della violenza e del terrore. Questo purtroppo non si può riparare in nessun modo. Ma possiamo dire di avercela fatta con un processo di profonda rieducazione per dimostrare la grandezza della democrazia, integrando quelli che sono stati i suoi massimi nemici. Qui sta la superiorità della democrazia”.

Qui tutta l’intervista.