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Photo by TechCrunch / CC BY

Mark Zuckerberg faccia a faccia con il Congresso


Mentre un centinaio di sagome cartonate di Mark Zuckerberg con indosso una maglietta con la scritta fix Fakebook facevano la loro comparsa nei giardini di Capitol Hill a Washington, l’originale affrontava la sua audizione davanti al Congresso. Per ben due giorni Zuckerberg ha risposto alle domande, prima quelle dei rappresentanti del Senato (martedì) e poi della Camera (mercoledì).

Ci siamo sempre concentrati su a quanto di buono può portare la connessione tra le persone. Con la crescita di Facebook, persone di tutto il mondo hanno avuto a disposizione uno nuovo potente strumento per stare in contatto con chi amano, per far sentire le loro voci, per costruire comunità e business. Solo recentemente abbiamo visto i movimenti #metoo e la ‘March for Our Lives’ organizzati, almeno in parte, su Facebook”, ha sottolineato il Ceo di Facebook nella sua dichiarazione di apertura. “Ma è chiaro che non abbiamo fatto abbastanza per proteggere questi strumenti dall’essere usati per fare del male (…) È stato un grande errore. Mi dispiace. Io ho creato Facebook, l’ho gestito, ed è mia la responsabilità di quello che è successo”.

Una lucida presa di coscienza, quella del numero uno di Menlo Park, che ha anticipato le domande di deputati e senatori, ammettendo di essere consapevole dei propri sbagli. “Non basta solo tenere in contatto le persone, dobbiamo assicurarci che queste connessioni siano positive. Non basta solo dare voce alle persone, dobbiamo essere sicuri che non la usino per ferire le altre o per diffondere notizie false. Non basta solo dare alle persone il controllo delle loro informazioni, noi dobbiamo garantire che gli sviluppatori ai quali vengono affidate le stiano proteggendo. In generale abbiamo la responsabilità non solo di creare strumenti, ma di assicurarci che questi vengano usati a fin di bene”.

Mark Zuckerberg, visibilmente teso, ha saputo ben gestire le due audizioni (al Senato meglio che alla Camera) e rispondere prontamente alle domande, anche se fin troppo spesso è ricorso alla formula, “il mio team le fornirà le risposte il prima possibile”. Si è trovato in difficoltà però davanti a domande specifiche, per esempio: Perché Facebook non ha avvisato gli utenti coinvolti nel caso Cambridge Analytica già nel 2015, dopo aver scoperto che Aleksandr Kogan aveva condiviso i dati della sua app con la società britannica?

In quel momento, ha replicato Zuck, avevano bannato i profili dei responsabili e avevano chiesto alla società di cancellare tutti i dati, certificando di averlo fatto. Per loro, quindi, la questione era chiusa. L’aver tenuto all’oscuro gli utenti coinvolti è stato però uno dei grandi errori di Facebook in questa vicenda.

Questo il punto su cui ha insistito anche il democratico Richard Durbin che ha esordito chiedendogli se volesse condividere pubblicamente il nome dell’albergo in cui aveva trascorso la notte. Al “no” imbarazzato e quasi incredulo di Zuckerberg, Durbin ha continuato chiedendo se volesse condividere il nome delle persone con cui si era scambiato messaggi nell’ultima settimana. “No. Non penso che sceglierei di fornire queste informazioni”, ha risposto Mark. “Penso che si stia parlando proprio di questo. Del diritto alla privacy. Dei limiti del diritto alla privacy e a quante di queste informazioni vengono diffuse in America con il solo scopo di mettere in comunicazione le persone nel mondo”, ha affermato Corbin.

Ad oggi, i dati di 87 milioni di utenti sono in possesso di Cambridge Analytica; tra questi, anche quelli di Mark Zuckerberg, che non ha saputo rispondere neanche a chi gli chiedeva quante altre app, come quella di Kogan, avevano ottenuto e ceduto i dati degli utenti: “Ci vorranno molti mesi per indagare le app che hanno preso i dati da Facebook”, ha ammesso.

Io ho creato Facebook, l’ho gestito, ed è mia la responsabilità di quello che è successo

Sulle interferenze russe nelle elezioni presidenziali del 2016, il Ceo si è detto pentito di essere stato lento nel capire quello che stava accadendo e ha assicurato che ora è una delle priorità dell’azienda. Entro la fine dell’anno 20mila persone si occuperanno solo della sicurezza e della revisione dei contenuti del social. Zuckerberg ha anche confermato che Facebook sta cooperando con Robert Mueller, ex direttore dell’FBI, incaricato di investigare sul caso russo, ma ha sottolineato il carattere confidenziale del lavoro. “Una volta scoperta l’interferenza russa nelle elezioni, questa è stata la nostra priorità (…) Già nelle elezioni dello scorso anno in India, Brasile, Messico, Pakistan e molte altre, abbiamo utilizzato nuovi strumenti per rilevare eventuali interferenze”.

I parlamentari hanno voluto risposte anche su altre questioni spinose come gli hate speech, la violazione della privacy, l’accesso ai dati, l’incomprensibilità dei termini di servizio a discapito della trasparenza, le differenze tra le diverse piattaforme, il monopolio e la concorrenza. Tema, quest’ultimo, affrontato da Lindesy Graham con la domanda: “Se io compro una Ford e non funziona bene o non mi piace posso comprare una Chevrolet. Ma se io sono deluso da Facebook, qual è il prodotto equivalente che posso utilizzare? (…) Non crede di avere un monopolio?” Messo alle strette, Mark ha semplicemente risposto “Certamente a me non sembra così”.

Alla Camera, invece, incalzato sul tema dei gruppi che manifestano odio e razzismo, Zuckerberg ha spiegato che, contro la propaganda terroristica, gli strumenti usati da Facebook funzionano bene e i profili sono bannati automaticamente. Più difficile nel caso di hate speech, perché è molto più difficile individuare e interpretare le manifestazioni d’odio e di razzismo. Non meno spinoso, il problema della vendita illegale di stupefacenti attraverso la piattaforma. In questo caso Facebook, oltre a permettere un’attività illegale, ne sarebbe anche complice. Zuckerberg ha spiegato che è quasi impossibile trovare questi post tra milioni e milioni di pubblicazioni ogni giorno, anche con i 20mila nuovi addetti. Per questo sta sviluppando dei nuovi strumenti dotati di intelligenza artificiale capaci di segnalare ed evitare la propagazione di questi contenuti.

Ciò che è emerso chiaramente alla fine delle audizioni è la necessità di una regolamentazione che, come osservato anche da uno dei senatori in aula, non può essere affidata alla sola impresa ma deve essere adottata dal Congresso stesso. Zuckerberg per primo si dice favorevole ad una regolamentazione, che considera inevitabile, facendo riferimento al Gdpr (General Data Protection Regulation) dell’Unione Europea come possibile modello da usare in tutto il mondo, perché“consente agli utenti di essere sempre in controllo dei dati che condividono con le aziende, di cosa viene fatto con quei dati ed eventualmente di cancellarli”.

Nonostante qualche incertezza e diverse risposte non date, Mark Zuckerberg è uscito praticamente illeso dalla maratona di domande. Un figura meno bella l’hanno fatta invece molti dei parlamentari. In più occasioni, infatti, è sembrato che i membri del Congresso non conoscessero minimamente il social o ne avessero un’idea molto confusa, tanto che il numero uno di Facebook ha dovuto chiedere spesso di ripetere le domande o di chiarirle. C’è chi gli ha chiesto come pensa di sostenere un modello di business nel quale gli utenti non pagano per avere il servizio (“Senatore, abbiamo la pubblicità” la risposta, ovvia, del Ceo), chi voleva sapere se Facebook offre gli stessi servizi di Twitter e, infine, chi ha posto la domanda delle domande: “Lei, Mr. Zuckerberg, si considera troppo potente?”.