×

Il Venezuela diviso in due, parla Maduro


Fra poco inizia l’intervista ma prima voglio assicurarmi che il tavolo non traballi. Non sopporto quando i tavoli traballano”.

Criticato per aver dato voce a un dittatore, il giornalista spagnolo Jordi Évole ha incontrato il Presidente del Venezuela Nicolás Maduro. L’intervista, di più di un’ora, è stata ripresa dai media spagnoli e da Venezolana television, la televisione pubblica sostenitrice di Maduro.
Nella sala stampa del Palacio de Miraflores, sede del governo venezuelano, il leader appare a suo agio: mostra di tanto in tanto un minuscolo libro blu che tiene nella tasca della giacca, la Costituzione venezuelana. Quando la cita, la estrae e la mostra al giornalista tenendola fra le mani.

Sembra voler soppesare le parole prima di rispondere.

Per Maduro il Venezuela si trova al centro di una campagna diffamante che dipinge il Paese come una dittatura anche se non lo è. Ogni cosa viene ingigantita dalla stampa e dai social network. “C’è una sovraesposizione di ciò che accade in Venezuela. Pensa Jordi che nessun ragazzo spagnolo sa chi è il presidente del Portogallo ma tutti sanno che io sono il Presidente del Venezuela”.

Il Paese sarebbe quindi vittima di un attacco esterno, che parte dagli Stati Uniti e coinvolge tutta Europa. “L’Occidente ha deciso di distruggerci, noi oggi siamo il mostro, il nemico da battere. L’Occidente ha deciso questo. Dietro a Donald Trump c’è tutta l’Europa praticamente. I nostri avversari sono forti, combattono in maniera sporca, ma credo che noi sappiamo difenderci. Umilmente, come Davide contro Golia”.

Lo scorso 23 gennaio la Casa Bianca è stata la prima a riconoscere Juan Guaidó come nuovo capo del Parlamento dell’opposizione, e quindi come nuovo Presidente, solo qualche settimana dopo il giuramento di Maduro che ha dato inizio al suo secondo mandato. Guaidó è un ingegnere di 35 anni che siede in Parlamento dal 2015 nelle fila di Voluntad Popular, un partito progressista e centrista. Il Paese si ritrova quindi con due Presidenti e due parlamenti: uno fa capo a Nicolas Maduro, l’altro a Guaidò.

La presenza di due assemblee in Venezuela è un fatto recente e voluto dallo stesso Maduro. “Alle elezioni di dicembre 2015 vinse l’opposizione. Provammo a governare anche con loro ma fu impossibile. Tutti questi conflitti portarono a ‘las guarimbasi’, violente proteste che incendiarono il paese tra aprile e luglio 2017, appoggiate dall’ala più estremista dell’opposizione. Allora presi la Costituzione e mi dissi che dovevo trovare una soluzione. E la trovai. Convocai il potere costituente della nazione perché si attivasse un processo politico che portasse la pace nel paese. Convocammo un’elezione libera, aperta e popolare e venne eletta un’assemblea nazionale costituente, che oggi sta operando e che è un potere che ha portato la pace”.

In caso di conflitto il popolo sa dove andare, cosa fare, sa come difendere. Si chiama la guerra di tutto il popolo.

A quale pace si riferisca Maduro non è dato a sapersi. Nell’ultima settimana si sono registrate più di quaranta vittime nelle proteste di strada e il Presidente è costantemente accerchiato dai militari. Poco più di una settimana fa ha intimato i diplomatici statunitensi a lasciare il paese (cambiando idea qualche giorno dopo), e ha tenuto sotto custodia per più di 24 ore tre giornalisti della Efe, l’agenzia stampa spagnola. Per Maduro si tratta di semplici controlli ingigantiti e manipolati dai media, perché in Venezuela è garantita la “piena libertà di espressione”.

Nell’ultima settimana, il Presidente ha mobilitato la popolazione alle armi, con l’organizzazione di 50mila unità popolari di difesa. Si tratta di organizzazioni che si articolarono già nel 2002, dopo il tentativo di colpo di stato contro Hugo Chávez: combattono per difendere il governo nei quartieri delle principali città e si dicono pronti per la rivoluzione bolivariana. Tutti sanno che ricevono finanziamenti dal governo. “Si tratta del popolo organizzato in milizie nei quartieri, nelle fabbriche, nelle università”, dice Maduro.“È un corpo di combattenti che ha accesso al sistema di armamento delle forze nazionali bolivariane e ha un addestramento militare. Siamo arrivati a quasi due milioni di miliziani e miliziane. Si trovano in tutto il territorio nazionale. È un concetto strategico di difesa militare locale. Il popolo è armato, si sta armando dal punto di vista istituzionale e costituzionale. In caso di conflitto il popolo sa dove andare, cosa fare, sa come difendere. Si chiama la guerra di tutto il popolo”.

In un momento in cui Caracas assiste ai primi ammutinamenti di alcuni contingenti della guardia nazionale, armare il popolo sembra la via più sicura per Maduro. “Noi siamo minacciati dalla potenza più grande del mondo. La possibilità di un attacco militare è sul tavolo di Donald Trump. E che deve fare un popolo? Arrendersi? C’è una frase che mi piace dire: Se vuoi la pace preparati a difenderla. Questo è quello che stiamo facendo. Noi non abbandoniamo la nostra patria, dove abbiamo la nostra vita, i nostri antenati, i nostri figli”.

La crisi economica e politica del Venezuela è per Maduro il risultato di un attacco proveniente dall’esterno. Quando si parla di Trump o del Presidente spagnolo Pedro Sanchéz, Maduro cambia espressione e si innervosisce. Per lui l’obiettivo degli Stati Uniti è trattare il Venezuela come il Vietnam, o come l’Iraq e la Libia, paesi divisi al loro interno dopo l’intervento dell’Occidentale: “Chi soffre oggi? Chi è la vittima della conseguenza della distruzione della Libia? L’Europa. Migliaia di migranti, il terrorismo, la frammentazione del tessuto sociale ed economico del nord africa. È stato un grande errore. Chi ha portato alla guerra in Iraq? La coalizione Bush-Aznar. Bisogna ricordarselo”.

Gli Stati Uniti, seguiti da gran parte dei paesi europei (Italia esclusa), hanno espresso dichiarazioni forti contro Maduro, dando il pieno appoggio all’avversario e lanciando un ultimatum al Presidente: elezioni libere subito. Si è assistito a una mobilizzazione totale che ha diviso il mondo in due: tra chi sostiene Maduro o rivendica il principio di “non ingerenza” e tra chi, invece, pensa che Guaidó potrebbe porre fine alla crisi venezuelana destituendo Maduro.

Al di là delle scelte dei singoli stati, colpisce che la Casa Bianca abbia deciso di schierarsi subito e in modo così netto contro Maduro, facendo pressioni sullo stesso esercito, dopo che Trump ha affermato più volte di voler di ritirare le truppe statunitensi da tutto il mondo.

Nel nostro paese c’è un solo Presidente che ha potere economico, politico, militare, istituzionale, di governo.

Se per Maduro Trump non è altro che un pazzo che vuole mettere in ginocchio il Venezuela e uccidere il Presidente, anche Pedro Sánchez non rientra tra le sue simpatie: “Sánchez è un falso, non è stato votato da nessuno e mi dice cosa devo fare. È lui che deve convocare elezioni perché gli spagnoli possano decidere chi è il loro Presidente”. Poi si rivolge alla telecamera puntando il dito come se il Presidente spagnolo fosse lì, davanti a lui. “Ti andrà peggio di Aznar con la guerra in Iraq. Spero non ti macchierai le mani di sangue insieme a Trump in una crisi in Venezuela”.

L’ultimatum lanciato dall’Europa è scaduto lo scorso lunedì, ma di nuove elezioni Maduro non ne vuole sentir parlare. La Costituzione è sacra per il Presidente, così come la volontà popolare che lo scorso maggio ha deciso di riconfermare il suo secondo mandato. Le elezioni, però, furono tutt’altro che trasparenti: solo il 48 per cento dei venezuelani si recò alle urne, e le elezioni si svolsero senza osservatori internazionali. I risultati vennero truccati e alcuni avverarsi dell’opposizione invalidati.

Non ci possono accusare di non aver indetto elezioni: in Venezuela ci sono state 25 elezioni in 20 anni e noi ne abbiamo vinte 23, con diversi margini di consenso. Quello di Juan Guaidó è un colpo di stato perché nessuno può giurare in una piazza pubblica. L’articolo 5 della Costituzione stabilisce che la sovranità è del popolo ed è il popolo a decidere e togliere. (…) È una pagliacciata. Non c’è base costituzionale, legale. Vogliono attivare un governo parallelo per dividere lo stato venezuelano e favorire un intervento straniero che porterà in Venezuela un governo burattinaio. Nel nostro paese c’è un solo Presidente che ha potere economico, politico, militare, istituzionale, di governo. Questo governo parallelo è stato un fallimento dal giorno in cui è nato ed è semplicemente un atto che andrà sgonfiandosi e rimarrà un ricordo”.

Non accetta ultimatum, ma si dichiara pronto al dialogo e al confronto con gli avversari interni. La via diplomatica sembra però difficile visto che tutti chiedono a gran voce le sue dimissioni, mentre lui non ha intenzione di andarsene nemmeno se si prospettasse una guerra civile. Il mandato del popolo deve essere rispettato così come il giuramento sulla Costituzione: Maduro è pronto per continuare con i suoi impegni governativi, che ha sempre disatteso. Sul fronte interno riconosce alcuni errori ma li liquida in breve: quello che il governo non ha fatto è stare più a contatto con la gente, ascoltare le sue necessità. Ma ci tiene a precisare che in Venezuela esiste una politica di prevenzione e assistenza sociale, aiuti per l’impiego dei giovani e continuano ad essere pagate le pensioni ai più anziani.

Eppure, il Venezuela raccontato dai venezuelani è molto diverso da quello visto dagli occhi di Maduro. Ogni giorno, circa trentamila cittadini attraversano i confini del paese carichi di borsoni e valigie: si stima che ad oggi circa tre milioni di venezuelani abbiano lasciato il loro paese.

Non sono disposto a mollare la presa, neanche se ci dovesse essere una guerra civile.

Il tasso di criminalità è elevatissimo e gli episodi violenti sono all’ordine del giorno: molti automobilisti raccontano che non tengono più il finestrino abbassato per paura di furti e violenze anche mentre guidano. Il tasso di inflazione è il più alto al mondo: lo scorso anno cresceva del 3 per cento al giorno e quest’anno è prevista una crescita fino a 10 milioni per cento. I beni di prima necessità e i medicinali sono introvabili: la distribuzioni di questi prodotti è controllata dai militari, così come la gestione di porti, aeroporti, giacimenti di oro, diamanti, alluminio, ferro. Controllano anche il sistema finanziario, l’agricoltura, l’edilizia, le questioni fiscali e il petrolio. Il Venezuela pur essendo proprietario delle più grandi riserve al mondo si trova oggi a dover importare petrolio: la principale compagnia petrolifera, la Petróleos de Venezuela, è diretta da un militare e la produzione ha toccato i minimi storici degli ultimi 70 anni.

Maduro però non ha dubbi. “Noi ce la faremo, te lo giuro sui nostri antenati. Noi combattiamo con le unghie, con le parole, con la verità con la politica. Stiamo difendendo una causa storica, con la forza, con l’amore, con la politica. Difendiamo l’idea di patria. Molti di quelli che se ne sono andati ritornano perché si rendono conto delle condizioni che ci sono negli altri paesi, e tornano amando ancor più il proprio Paese, vedendo le opportunità che ha da offrire. Non sono disposto a mollare la presa, neanche se ci dovesse essere una guerra civile. Perché io non sono un uomo qualsiasi. Io sono sono una persona del popolo, io sono il popolo che governa”.