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Le “parole ostili”: così cambia il linguaggio della politica


Dal “Vaffa day” in poi abbiamo iniziato ad abituarci all’idea che alla politica corrisponda un linguaggio sempre più scurrile, in cui insulti e offese di ogni genere sono all’ordine del giorno. A pensarci bene, tuttavia, fino a poco tempo fa non era così. Durante la seconda edizione di Parole O_Stili dedicata alla politica, Giovanni Diamanti, political strategist e cofondatore dell’agenzia Quorum, descrive il panorama della comunicazione politica oggi.

Diamanti fa subito notare come “le parole ostili storicamente siano molto lontane da quella che è la storia della comunicazione e del linguaggio politico di questo paese”. Tant’è vero che gli esponenti dei partiti venivano tacciati di parlare una lingua per lo più incomprensibile: il politichese. Un linguaggio estremamente tecnico e di difficile comprensione che rappresenta ciò che c’è di più lontano dal linguaggio comune della gente: “Le parole ostili sono invece esattamente l’opposto, quindi mi sono interrogato sul perché si è arrivati a questo cambiamento?”.

Il punto di partenza della sua indagine è il rapporto redatto da Demos & Pi sulla fiducia degli italiani nelle istituzioni negli ultimi quindici anni. Dal grafico mostrato durante l’intervento, che comprende partiti, Parlamento, Unione Europea e Presidente della Repubblica, è ben evidente come dal 2005 a oggi la fiducia nelle istituzioni sia notevolmente calata. Non sorprende che i partiti già nel 2005 godessero di un bassissimo tasso di fiducia che nel tempo, spiega Diamanti, è andato a contagiare anche le altre istituzioni a causa della “mancanza di risposte strutturali della politica a questa sfiducia”.

Tale sentimento di disillusione ha generato nei cittadini “rabbia, delusione e distanza”. Tre parole chiave che da diversi anni a questa parte ricorrono spesso e i cui effetti si possono toccare con mano. È a questo punto, secondo Diamanti, che la politica ha iniziato ad avere una reazione nel tentativo di intercettare quella rabbia trasformandola in consenso elettorale. Le parole e il linguaggio sono state il perno sul quale si è svolta questa “rivoluzione”:  “V-day (…) il termine coglione, utilizzato dall’allora Presidente del Consiglio uscente utilizzato nel 2006 per descrivere gli elettori di centrosinistra, ‘meglio fascista che frocio”” e così via. Un linguaggio che inizia a prendere piede più o meno nel 2006. Tanto che già nel 2009, come riporta l’analista politico, uno dei manifesti di Pierferdinando Casini per le elezioni europee, raffigurava una colomba con lo slogan “Smettetela di litigare”.

Questa nuova tipologia di linguaggio prende definitivamente piede quando la politica si sposta dalla TV e dai giornali verso i social network:Nel nostro Paese ci sono due svolte nella comunicazione politica. La prima è nel ’94, con l’arrivo di Silvio Berlusoni si passa a un linguaggio più diretto e più semplice che coincide non a caso con un utilizzo nuovo della televisione in politica (…). Le parole ostili coincidono in politica con l’avvento dei social media, i quali richiedono brevità, semplicità e incisività e non pongono un argine a questa rabbia che i cittadini provano nei confronti della politica”.

Le inevitabili conseguenze di questo nuovo modo di comunicare congiunto ai nuovi “luoghi del dibattito” politico e alla rabbia dei cittadini sono illustrate con esempi noti, alcuni dei quali passati alle cronache per lo scalpore che hanno provocato. “La ricerca dell’interazione a tutti i costi che porta Beppe Grillo a lanciare un assist abbastanza evidente a chi vuole insultare la presidente della Camera Boldrini”.“Cosa succederebbe se ti trovassi la Bodrini in macchina”, era il post pubblicato dal leader del Movimento 5 Stelle su Facebook il 31 Gennaio 2014.

Giovanni Diamanti continua riportando un tweet di Maurizio Gasparri, ormai diventato famoso per le sue attività social, in cui scriveva “Fa piacere mandare a fare … gli inglesi, boriosi e coglioni”. Un chiaro esempio di “assenza totale di responsivness, di sensibilità del politico che non si rende più conto di rappresentare l’istituzione ma utilizza il linguaggio che i cittadini più semplici e arrabbiati utilizzano sulla stessa piattaforma”, spiega l’analista. Un’ulteriore conseguenza è una sorta di effetto“cane che si morde la coda: Salvini che attacca duramente Saviano, il quale risponde con parole altrettanto dure e poi Salvini che a sua volta risponde indignato per le parole di Saviano”.

Il linguaggio ostile riesce effettivamente a creare consenso elettorale? A tal proposito Diamanti riporta uno studio riguardante l’efficacia dei frame negativi e delle iniziative volte a suscitare paura negli elettori. In sintesi si può dire che l’influenza di questi due fattori è “moderata per quello che riguarda suscitare interesse in una campagna elettorale e un po’ inferiore per quello che riguarda spostare le intenzioni di voto”. La situazione cambia radicalmente quando si passa ai frame positivi, in particolar modo a quelli che sono volti a suscitare entusiasmo, i quali hanno un’efficacia maggiore in entrambi i campi.

Quello che penso è che quando il sentimento prevalente è un sentimento di rabbia e sfiducia allora i frame negativi possono essere utili ed efficaci a catalizzare l’attenzione e nel breve termine a creare consenso. Nel lungo termine però sono i frame positivi che possono spostare le intenzioni di voto e possono generare consenso attraverso l’entusiasmo”.

Questo spiegherebbe secondo Diamanti, quella sorta di controtendenza che sta prendendo il linguaggio politico utilizzato da Salvini. Da un po’ di tempo a questa parte sono entrate a far parte del vocabolario social del Ministro degli Interni diverse espressioni che non appartengono strettamente alla persona che siamo abituati a conoscere: “con il sorriso, vi voglio bene amici, grazie, la rivoluzione del buonsenso, ho bisogno della vostra fiducia”.

Insomma, questione di lungimiranza e strategia politica di cui Diamanti è profondamente convinto: “Tra venti trent’anni noi ci ricorderemo e citeremo come un caso di scuola i frame positivi e di speranza di Obama e invece parleremo dei frame negativi di Donald Trump come di una parentesi, come di un periodo un po’ buio della comunicazione politica”.

L’intervento di Giovanni Diamanti è al minuto 1:17:34 del video qui sotto, parte del Panel
“La comunicazione nell’era della platform politics: polarizzazioni o ponti?”.