La Cambogia dell’enigmatico e spietato leader Pol Pot, tra 1975 e 1979, è stata teatro di un progetto di ingegneria sociale di massa che non ha eguali nella storia. Il regime iper-comunista dei Khmer Rossi ha attuato un sistematico sterminio degli oppositori – e questa non è una novità – ma anche di tutti i cittadini che non fossero sottoproletari.
La lotta di classe realizzata con il genocidio, questo il mostruoso esperimento sociale portato avanti da Pol Pot. L’incubo iniziò il 17 aprile 1975, con l’occupazione della capitale cambogiana Phnom Penh. Sokphal Din, ospite del programma della BBC “Witness History”, allora era soltanto un adolescente. Ecco il suo racconto di quella terribile giornata e dei mesi successivi.
“Era peggio di un inferno. Era peggio. Non potete immaginare, nessuno può immaginare”, ricorda Din.
Tutto però nasce dal colpo di stato militare appoggiato dagli Stati Uniti che il 18 marzo 1970 depone dal trono di Cambogia il Re Norodom Sihanouk e porta al potere il generale Lon Nol (la trasmissione Rai “Correva l’anno” ha dedicato a queste vicende una puntata). Questo colpo di mano scatena una sanguinosa guerra civile che terminerà cinque anni più tardi con la sconfitta delle forze governative, il ritiro degli Stati Uniti e la conquista del Paese da parte dei guerriglieri Khmer Rossi guidati da Pol Pot.
Ma quello che segue non è la pace, tutt’altro: dal 1975 al 1979 la Cambogia precipita in un orrore senza fine: in nome di una sorta di comunismo “mistico” (gli stessi dirigenti dei Khmer Rossi presero da subito le distanze dal canone marxista-leninista, secondo loro del tutto inadeguato alla cultura locale). Il Paese asiatico diviene un enorme campo di sterminio. L’idea di Pol Pot è chiara: andare molto oltre le esperienze dell’Unione Sovietica e della Cina e realizzare compiutamente e con la forza un ideale egalitario assoluto.
Era peggio di un inferno. Era peggio. Non potete immaginare, nessuno può immaginare.
Così, partendo da basi che affondano le loro radici nel solco della grande tradizione libertaria europea e guardando come modello alla Rivoluzione Francese (quasi tutta l’elite khmer aveva studiato in Francia sia dal punto di vista accademico che politico), ci si spinge – una volta conquistato il potere grazie allo sfaldamento del regime corrotto nato dalle ceneri del colonialismo francese in Indocina – alle più estreme e paradossali conseguenze. Come, per esempio, negare la libertà individuale a tal punto da vietare l’utilizzo della prima persona singolare, abolire la scuola, considerare gli esseri umani come mera forza lavoro senza nessun diritto.
“Chiunque avesse ricevuto un’educazione formale veniva giustiziato”, racconta Din. “Medici, avvocati, banchieri…E se indossavi gli occhiali pensavo che tu avessi ricevuto un’educazione superiore”.
Ma la Cambogia di Pol Pot (personaggio dalla biografia piena di misteri) è passata alla storia non solo per essere stata l’ennesimo incubo totalitario del XX secolo, ma anche e soprattutto per una scelta politica assolutamente agghiacciante nella sua linearità: considerando il modello-città troppo legato a filo doppio con la tradizione borghese e ostacolo invalicabile per il controllo della popolazione, Pol Pot semplicemente abolì le città. Milioni di persone furono obbligate con la forza a un esodo biblico. Abbandonate le proprie case, il proprio lavoro e i propri beni, tutti gli abitanti delle città furono deportati nelle campagne.
“Ricordo bene quella mattina, perchè eravamo in cucina a fare colazione. Ho sentito bussare alla porta e ho visto due soldati. Entrambi hanno mi hanno puntato contro le loro armi e hanno gridato dicendo ‘Esci di casa adesso o ti sparo’”.
Chiunque avesse ricevuto un’educazione formale veniva giustiziato.
I cambogiani dovettero adattarsi a vivere senza medicinali, energia elettrica, acqua potabile, costretti a lavorare duramente senza alcuna remunerazione se non il poco cibo necessario alla sopravvivenza. Lo stesso destino di Sokphal Din, che racconta di essere stato deportato in una risaia dove era costretto a lavorare duramente tutto il giorno per avere in cambio solo un pugno di riso.
Vietato il dissenso, punite con la morte le rimostranze, i cambogiani furono falciati da fame, epidemie, stenti, torture, stragi, fino a che la ruota della storia girò e nel 1979, 40 anni fa, un nuovo regime (corrotto, violento, ma meno visionario) legato al Vietnam del Nord si installò a Phnom Penh.
Pol Pot però non uscì affatto di scena: dalla fitta giungla cambogiana guidò la guerriglia per un altro ventennio, fino alla morte occorsa nel 1998. Subito dopo, i Khmer Rossi hanno negoziato una tregua con il governo cambogiano e dichiarato la fine di una delle guerre civili più lunghe e sanguinose della storia. Per chi volesse approfondire, numerosi saggi e romanzi sono stati dedicati alla storia della Cambogia e di Pol Pot.
Qui il racconto di Sokphal Din alla BBC.