La Svezia riaprirà l’inchiesta contro Julian Assange che riguarda due casi di presunta violenza sessuale. A dare l’annuncio oggi è stata Eva-Marie Persson, pubblico ministero svedese, in una conferenza stampa. L’accusa era stata fatta cadere nel maggio del 2017. Tuttavia, dopo l’arresto del fondatore di WikiLeaks lo scorso 11 aprile presso l’ambasciata dell’Ecuador a Londra, il legale di una delle due donne ha fatto pressioni per la riapertura dell’inchiesta.
“C’è ancora la possibilità di sospettare che Assange abbia commesso uno stupro”, ha dichiarato Persson. “La mia decisione è che è necessario sottoporre Assange a un nuovo interrogatorio”. Julian Assange si è detto molto sorpreso da questa decisione.
Proprio per sfuggire al mandato di arresto internazionale emesso nel 2010 dalla magistratura della Svezia che lo accusa di stupro “per aver rifiutato di usare il profilattico durante i rapporti sessuali (pur consenzienti) con due donne”, e all’estradizione concordata dalla Corte Suprema britannica nel 2012, il whistleblower si era rifugiato presso l’ambasciata ecuadoregna (qui sotto lo storico discorso fatto dal balcone dell’ambasciata nell’agosto di quell’anno).
Julian è rimasto confinato dentro questa nuova insolita residenza londinese per ben sette anni. E ancora uno contava di restarci, consapevole che, se entro il 2020 la Svezia non otterrà l’estradizione, le accuse cadranno in prescrizione.
In seguito al suo arresto, Assange è stato condannato a 50 settimane di carcere per aver infranto le condizioni della sua cauzione e ora si trova nel carcere di Belmarsh. Da qui si sta opponendo con tutte le forze alla richiesta di estradizione presentata dagli Stati Uniti contro di lui per “complicità in pirateria informatica”. Da ora i suoi avvocati dovranno difenderlo anche da una possibile estradizione in Svezia, anche se il whistleblower vede quella degli Stati Uniti – forse a ragione – come la prospettiva più pericolosa.
Se la richiesta di estradizione degli Usa fosse accettata, per lui si prospetterebbe una condanna a molti anni di carcere: Julian Assange e WikiLeaks sono responsabili della più grande violazione di dati nella storia militare degli Stati Uniti. Nel 2010 hanno resi pubblici circa 470.000 documenti militari classificati riguardanti le guerre in Afghanistan e Iraq, e successivamente un’ulteriore tranche di circa 250.000 documenti diplomatici statunitensi segreti (qui la dichiarazione rilasciata al tempo).
La fonte di WikiLeaks era un analista dell’Intelligence statunitense a Baghdad, Bradley Manning che ha scaricato il materiale e lo ha salvato in compact disc etichettati in modo da apparire cd di musica di Lady Gaga. Manning è stato condannato a 35 anni e graziato dopo sette, nel maggio del 2017, dall’allora Presidente Barack Obama. Da allora si è sottoposto ad un trattamento ormonale finalizzato al cambiamento di sesso diventando Chelsea Manning e ha intrapreso la carriera politica, ma questa è un’altra storia.
È invece parte di questa storia il recente nuovo arresto di Chelsea Manning dopo che si è riuftata di testimoniare riguardo WikiLeaks davanti al Grand Jury. Manning è stata rilasciata giovedì dopo aver trascorso 62 giorni in carcere e ieri ha rilasciato la sua prima intervista dopo l’arresto alla Cnn: “Questa amministrazione vuole chiaramente inseguire i giornalisti”, ha dichiarato.
Dell’ascesa e della caduta di Julian Assange si è occupato in una puntata da non perdere la rubrica in podcast “Today in Focus” del quotidiano britannico The Guardian, condotto da India Rakusen. In questo episodio, Esther Addley e Julian Borger – entrambi apprezzati ed esperti giornalisti del Guardian, quotidiano che sin dall’inizio è stato il referente principale per Assange – raccontano la storia di un teenager australiano appassionato di informatica che diventa una delle figure più importanti e controverse dell’informazione mondiale.
Era evidente che Assange aveva avuto accesso a materiale molto interessante.
I due reporter ripercorrono il clamore incredibile suscitato dalle rivelazioni di WikiLeaks, le accuse di tradimento e di terrorismo, la trasformazione di Julian Assange in icona, superstar di Internet, Robin Hood del web. “C’era una relazione particolare tra WikiLeaks e il Guardian, stabilita da Nick Davies – ex repoter del Guardian – che aveva deciso di trovare e questo personaggio chiamato Julian Assange e capire se ci fosse un modo per WikiLeaks e il Guardian di lavorare insieme”, ricorda Adley. “Era evidente che Assange aveva avuto accesso a materiale molto interessante”, spiega. “Un vero e proprio mondo inesplorato per il giornalismo contemporaneo”.
Poi la scabrosa vicenda svedese, le accuse di stupro che hanno diviso come sempre accade l’opinione pubblica tra innocentisti (che ritenevano si trattasse di una vendetta e di un complotto) e colpevolisti (che puntavano il dito sui comportamenti da rockstar trasgressiva di Assange, convinti che la fama gli avesse dato alla testa). Vicenda che Assange dapprima ha deciso di affrontare costituendosi alla polizia britannica ma alla quale – dopo una breve detenzione e l’uscita di carcere sotto cauzione – si è sottratto con un clamoroso coup de théâtre bussando alla porta dell’ambasciata dell’Ecuador travestito da fattorino e chiedendo asilo politico.
Non lo sapeva ancora, ma quell’edificio nel centro di Londra sarebbe diventato la sua casa per anni, un luogo assediato dai reporter e visitato di tanto in tanto da celebrità assortite che si recavano da Assange come in pellegrinaggio, per manifestargli la loro solidarietà, per finire sulle prime pagine o magari solo per curiosità. Un luogo da cui l’attivista ha trasmesso persino un format televisivo per il canale Russia Today, “The World Tomorrow”.
In questi sette anni il lavoro di WikiLeaks non si è fermato, e Assange è anzi entrato a gamba tesa nella campagna presidenziale Usa pubblicando email private dello staff di Hillary Clinton ed è stato persino accusato di aver passato alla Russia documenti riservati.
Sarà una lunga battaglia e lui ha bisogno del nostro sostegno.
La battaglia legale di Julian Assange contro l’estradizione si preannuncia molto lunga e la prossima tappa è il 30 maggio, data della prossima udienza a Londra. Nell’attesa, registriamo le parole della sua compagna Pamela Anderson, ex star del telefilm “Baywatch” e icona sexy degli anni ’90. L’attrice si è recata a visitare in prigione Assange e all’uscita ha rilasciato una appassionata dichiarazione alla stampa definendo ingiusto e inumano il trattamento inflitto dalla giustizia britannica a Julian e chiedendo con le lacrime agli occhi aiuto all’opinione pubblica: “Sarà una lunga battaglia e lui ha bisogno del nostro sostegno. Ha sacrificato troppo per farci conoscere la verità, ora dobbiamo salvargli la vita, di questo si tratta”.
Qui il link alla puntata del podcast del Guardian,Today in Focus, dedicata a Julian Assange e WikiLeaks.