Fuori il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, ed eulogie assegnate agli ex George W. Bush e Barack Obama: il primo lo ha sconfitto alle primarie repubblicane del 2000 e l’altro alle presidenziali del 2008. È stato un bello scherzo quello combinato da John McCain con le disposizioni per il suo funerale.
“È un singolare e prezioso onore che qualcuno come John, mentre è ancora in vita, ti chieda di alzarti e parlare per lui dopo la sua morte”, ha cominciato Obama, che ricorda come sia stato inizialmente sorpreso dalla richiesta di McCain. Una richiesta che però, spiega l’ex Potus, è anche emblematica delle qualità principali del suo autore. “Per cominciare, a John piaceva essere imprevedibile, persino un po’ controcorrente. Non aveva alcun interesse a conformarsi con una versione preconfezionata di ciò che un senatore dovrebbe essere e non voleva un memoriale che sarebbe stato preconfezionato”, sottolinea. “Ha mostrato (questa richiesta, ndr) la sua irriverenza, il suo senso dell’umorismo, una vena maliziosa. Dopotutto, quale modo migliore per ottenere un’ultima risata che far dire a George e a me qualcosa di bello su di lui davanti a tutta la Nazione. Soprattutto, ha mostrato una grandezza di spirito, una capacità di superare le differenze del passato alla ricerca di un terreno comune”.
Leit motiv dell’eulogia di Barak Obama è, infatti, il rispetto delle differenze dimostrato da McCain e la sua capacità di adoperarle per crescere: “In effetti, in superficie, John e io non potevamo essere più diversi. Siamo di generazioni diverse. Io vengo da una famiglia in pezzi e non ho mai conosciuto mio padre. John era il rampollo di una delle famiglie militari più illustri d’America. Io sono noto per mantenere la calma, John…non così tanto. Eravamo rappresentanti di diverse tradizioni politiche americane e, durante tutta la mia presidenza, John non ha mai esitato a comunicarmi quando pensava che io stessi facendo un errore, cosa che secondo i suoi calcoli avveniva circa una volta al giorno. Nonostante tutte le nostre differenze, nonostante tutte le discussioni, non ho mai cercato di nascondere, e penso che John l’abbia riconosciuta, l’ammirazione di vecchia data che avevo per lui”.
Non abbiamo mai dubitato della sincerità dell’altro o del patriottismo dell’altro o del fatto che, alla fine dei conti, facevamo parte della stessa squadra.
È un rapporto molto stretto e confidenziale quello tra Obama e McCain, quello tra due persone consapevoli sì delle distanze ma anche dei valori e dei principi condivisi da entrambi. “Ogni tanto nel corso della mia presidenza, John veniva alla Casa Bianca e stavamo semplicemente seduti a parlare nello Studio Ovale, solo noi due. Parlavamo di politica e parlavamo di famiglia e parlavamo dello stato della nostra politica. I nostri disaccordi non sparivano durante queste conversazioni private. Quelli erano reali ed erano profondi. Ma ci siamo goduti il tempo che abbiamo condiviso lontani dai riflettori (…) Non abbiamo mai dubitato della sincerità dell’altro o del patriottismo dell’altro o del fatto che, alla fine dei conti, facevamo parte della stessa squadra”, ricorda Obama.
L’attenta scelta di ricordi e di parole di Obama, che non tradisce la sua consueta e impeccabile retorica, nasconde una serie di duri attacchi a Trump, pur senza mai nominare il Presidente.
Per lo più gli attacchi sono indiretti, scagliati elogiando il pensiero e le azioni di McCain. Come quando ricorda che: “John ha creduto nella discussione onesta e ha sentito altre opinioni. Ha capito che se prendiamo l’abitudine di piegare la verità per adattarla alla convenienza politica o all’ortodossia del partito, la nostra democrazia non funzionerà. Ecco perché, a volte, era disposto ad abbandonare il proprio partito, di tanto in tanto attraversava il corridoio della riforma delle finanze pubbliche e della riforma dell’immigrazione. Ecco perché ha sostenuto una stampa libera e indipendente come vitale per il nostro dibattito democratico”. Oppure quando sottolinea che: “Non ho mai visto John trattare nessuno in modo diverso a causa della loro razza, religione o genere”.
Ci sono alcune cose più grandi della festa o dell’ambizione o del denaro, della fama o del potere.
Altri attacchi invece sono più mirati, quasi espliciti: “Gran parte della nostra politica, della nostra vita pubblica, del nostro discorso pubblico può sembrare piccola e meschina, il traffico di bombe, insulti e finte polemiche, di un’indignazione costruita ad arte. È una politica che finge di essere coraggiosa e dura, ma in realtà nasce dalla paura. John ci ha chiesto di essere più grandi di così. Ci ha chiesto di essere migliori di così”.
Ad ascoltare Obama, si potrebbe dire che la vita stessa (anche nella morte) dell’ex Senatore dell’Arizona sia un’antitesi perfetta della politica di Trump, anche se teoricamente i due sono rappresentanti dello stesso partito. Del resto McCain è stato da molti considerato, e in tal modo si è spesso comportato, un politico indipendente.
“Questo è forse il modo in cui lo onoriamo meglio, riconoscendo che ci sono alcune cose più grandi della festa o dell’ambizione o del denaro, della fama o del potere. Che ci sono alcune cose per cui vale la pena rischiare tutto: principi che sono eterni, verità che rimangono”, conclude Obama. “Al suo meglio, John ci ha mostrato cosa significa. Per questo, siamo tutti profondamente in debito con lui. Che Dio benedica John McCain. Che Dio benedica questo paese, che lui ha servito così bene”.
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