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Photo by Martin Grondin / CC BY-SA

“Non è questo ciò che siamo”, il contro-discorso di Joe Kennedy sullo Stato dell’Unione


Durante l’elogio funebre del fratello John Fitzgerald, Robert Francis Kennedy disse: Ci sono quelli che guardano alle cose come sono, e si chiedono perché. Io sogno le cose che non sono mai state, e mi chiedo perché no”. Una mentalità progressista ereditata dal nipote Joe Kennedy III, membro della Camera dei Rappresentati, incaricato dal Partito Democratico di tenere il tradizionale contro-discorso sullo Stato dell’Unione, in risposta a quello pronunciato dal Presidente degli Stati Uniti di fronte al Congresso. Alla fine del primo anno di amministrazione Trump, tuttavia, il giovane Kennedy si ritrova a dover parlare soprattutto della storia del paese, più che del suo futuro, in un continuo andirivieni tra passato e presente che ha l’obiettivo di risvegliare il senso di identità dei cittadini americani e di metterlo in contrapposizione alle politiche del tycoon.

Non a caso, il suo discorso si apre con un riferimento alla città ospitante: Fall River, Massachusetts. Un’orgogliosa città americana, costruita da immigrati”, dice, abitata da persone forti, che lottano le une per le altre”. È il primo accenno del trentasettenne democratico al cosiddetto american spirit, nonché l’inizio di una serie di affondi impliciti a Donald Trump, il cui nome – in un esercizio di dialettica di stampo obamiano – non viene mai pronunciato. Più esplicito, invece, il riferimento ai primi dodici mesi dell’attuale amministrazione: In molti hanno passato  l’ultimo anno in ansia, arrabbiati e spaventati”, dice Kennedy. Abbiamo tutti sentito la voce di quei cittadini che si sono sentiti  dimenticati e abbandonati”.

Quello descritto dal nipote di RFK è un paese disorientato, confuso, che fatica a riconoscere se stesso. L’economia che premia le multinazionali e condanna i più deboli, la guerra alla protezione ambientale, il progressivo smembramento dei diritti civili, le sparatorie nelle scuole e ai concerti, le marce dei suprematisti bianchi: tutti elementi che stridono con l’ideale del sogno americano. Kennedy li elenca piano, con un misto di rabbia e raccoglimento, soppesando i silenzi tra una parola e l’altra. A prescindere dal credo politico – sentenzia – tutto questo non è giusto. Non è questo ciò che siamo”. Una presa di posizione che suona come una sfida al rivale repubblicano; proprio Trump, infatti, ha lanciato un appello all’unità nel suo primo discorso sullo Stato dell’Unione.

L’invito alla coesione del Presidente, sembra suggerire Kennedy,  è un inganno: un trucco per nascondere le disuguaglianze. Il democratico prende allora le distanze, e lo fa con un repentino passaggio dalla prima alla terza persona: dal noi” del sogno americano, al loro” dell’amministrazione. Stanno trasformando la vita in un gioco a somma zero, dove, affinché qualcuno possa vincere, un altro deve perdere”. Bambini malati contro figli di immigrati, comunità rurali contro grandi città, trasgender contro tossicodipendenti: Siamo bombardati da situazione false in cui bisogna scegliere uno piuttosto di un altro”, dice, ritornando alla prima persona.Qui, stasera, vi porto la risposta dei democratici: noi scegliamo entrambi, noi lottiamo per entrambi”. Il pubblico applaude, qualcuno si alza in piedi. Per un attimo, il nipote ricorda il nonno all’annuncio della morte di Martin Luther King, quando concluse: Solidarietà per coloro che soffrono, giustizia per tutti, bianchi e neri”.

Anche Kennedy sembra pensarci: Questa è la nostra storia”, dice dopo aver elencato alcune delle proposte politiche del suo partito, dal salario di sussistenza all’educazione accessibile, dai trattati commerciali più equi all’idea di un sistema sanitario compassionevole. E poi, spingendosi indietro nel tempo fino alla Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti: Tutti gli uomini sono stati creati uguali”. Il collegamento con il presente arriva, in questo caso, con il riferimento ai Dreamers, i circa 800.000 immigrati illegali entrati nel paese da bambini a cui Trump vuole negare la cittadinanza. Il democratico li include nella sua narrazione, rivolgendosi loro in lingua spagnola: Siete parte della nostra storia, combatteremo per voi e non vi daremo le spalle”.

Solo alla fine del suo discorso, infatti, Kennedy si permette di volgere lo sguardo al futuro. Lo fa parlando direttamente all’America, a partire dalle sue sfide e battaglie più recenti: gli uragani, il movimento “Me too”, le missioni umanitarie, le manifestazioni di piazza. La bambina che a New York, in occasione della Women’s March 2018, mostrava orgogliosa un cartello con scritto Costruisci un muro e la mia generazione lo abbatterà”. I bulli – dice il giovane membro della Camera dei Rappresentanti – possono dare un pugno, lasciare un segno, ma non sono mai riusciti, in tutta la storia degli Stati Uniti, a pareggiare lo spirito e la forza di un popolo unito in difesa del suo futuro”. Un popolo la cui forza, conclude Kennedy, sta nella capacità di prendersi cura dei più deboli, di essere solidale, di non lasciare indietro nessuno: Questa è la misura del nostro carattere. Questo è ciò che siamo: di molti, uno”.