Tutti possiamo fare qualcosa per il clima, ma possiamo farlo tutti allo stesso modo? Ilhan Omar, cresciuta in Somalia prima di immigrare negli Stati Uniti come rifugiata e poi diventata, oggi, deputata democratica e rappresentante del Minnesota al Congresso, pensa che la risposta sia “No”. Lei, che ha toccato con mano le conseguenze della siccità e le connessioni profonde tra cambiamento climatico e “aspetti sociali” pensa che prendere in considerazione il cambiamento climatico tout-court sia una prospettiva parziale sulla questione: bisogna anche guardare a chi il cambiamento lo può fare.
“Sto esortando i miei colleghi a cogliere questa opportunità non solo per avere dei punti di discussione, ma per costruire un disegno di legge reale, per permetterci d’avere un dibattito vero a riguardo”, ha detto recentemente la rappresentante democratica alla Radio Pubblica del Minnesota.
Io sono sempre, o quasi sempre, l’unica persone di colore nella stanza.
Ma non è l’unica in famiglia ad aver fatto sua la battaglia per il clima. Sua figlia Isra Hirsi, 16 anni, è co-fondatrice di U.S Youth Climate Strike – un movimento di giovanissimi studenti che, proprio come quello lanciato da Greta Thunberg in Europa, chiede una maggior attenzione e azione dei politici nei confronti del cambiamento climatico invitando gli studenti allo sciopero. Isra ha poi anche un obiettivo personale, in linea con la visione della madre, quello di “cambiare la maniera in cui è visto l’attivismo per il clima, oggi”.
“Le persone che hanno il mio aspetto, che hanno un reddito basso, o sono le più influenzate da questo problema non sono ascoltate, non sono rappresentate in questi movimenti (per il clima, ndr)”, dice in un’intervista ad Al Jazeera Plus, in cui parla, appunto di giustizia ambientale e rappresentazione. Quello che Isra vuole far notare è che le persone che subiscono maggiormente il cambiamento climatico sono anche quelle che hanno meno voce in capitolo, in particolare le persone di colore.
“Come donna nera musulmana è importante per me che sia inclusa intersezionalità in questa lotta”, spiega nella sua presentazione sul sito del movimento. In questo contesto, intersezionalità si può tradurre con l’aggiungere altre lenti attraverso cui guardare il problema, come quelle del razzismo e della diversità; non scindere tutte queste questioni, come anche quella del sessismo e di altri tipi di discriminazioni, in tante piccole battaglie ma farne una sola. Si potrebbe cominciare, per esempio, con l’avere una maggiore diversità tra i rappresentanti dei movimenti contro cambiamento climatico: “Io sono sempre, o quasi sempre, l’unica persone di colore nella stanza”, racconta Isra.
In effetti, secondo lo State of diversity in environmental organisations (2014, 2018), tra i rappresentanti delle associazioni ambientali solo il 22 per cento sono persone di colore, mentre il 73 per cento sono bianche; anche nelle Ong solo il 12 per cento sono di colore.
“Il razzismo ambientale è un vero problema”, continua la giovanissima.“Il movimento per il clima è ancora prevalentemente bianco, come si può cambiare questo discorso? Certo avere donne di colore nei ruoli di leadership è una maniera per affrontare il problema”.
Il gesto richiesto dalla giovane attivista da parte di chi ha più privilegi in questo senso è uno “step back”. “Step back non vuol dire abbandonare o disassociarsi da un gruppo”, spiega. “Vuol dire lasciare agli altri il ruolo di leader, perché sono in grado di assumerlo. È molto importante adoperare i propri privilegi non per educare le persone ma per dare loro le riscorse per educarsi da soli. E anche aiutarli a ottenere il necessario per condurre una vita sostenibile”.
Solo perché non tu non devi farci i conti, non significa che non dovresti preoccuparti.
Il discorso introdotto dalla giovanissima attivista non vuole essere una polemica a coronamento di un’altra polemica. Isra non fa una somma del problema ambientale, quello del razzismo, quello delle ineguaglianze sociali. La lente del razzismo ambientale e dell’intersezionalità dovrebbe essere in realtà uno strumento per andare più a fondo, fino al cuore del problema. Questo “step back” da lei auspicato, si potrebbe ergere a filosofia di un movimento come questo che, in primo luogo mira al rispetto e all’ osservazione dell’ambiente che lo circonda e della comunità umana e sociale che lo abita. “Ci sono così tanti giovani in tutto il mondo che saranno influenzati (dal cambiamento climatico, ndr). E solo perché non tu non devi farci i conti, non significa che non dovresti preoccuparti”.
Per Isra centrale è la trasformazione in realtà del Green New Deal: il programma socioeconomico issato a bandiera dalla sinistra del partito democratico, che mira a unire il focus sull’ambiente e quello sulla diseguaglianza. Il punto saliente del piano sarebbe: arrivare al 100 per cento di utilizzo di energia di fonti rinnovabili in 10 anni, con degli investimenti pro-ambiente che dovrebbero comportare anche la creazione di nuovi posti di lavoro qualificati, destinati alle comunità svantaggiate.
Di sfondo a queste nuovo grande obiettivo si staglierebbe, di conseguenza, un nuovo contratto sociale che comporterebbe l’assistenza sanitaria universale, un salario minimo più elevato e la lotta ai monopoli. Le stime della somma di decollo del piano non sono precise, ma si aggirerebbe intorno ai mille miliardi.