“Qui è dove è finito il cosiddetto Califfato”. Con queste parole esordisce Alex Rossi di Sky News nel suo racconto della caduta di Baghouz (qui invece ricostruita in modo suggestivo dal network australiano ABC News, utilizzando foto satellitari ). Rossi è stato probabilmente il primo giornalista a entrare a Baghouz subito dopo la battaglia finale, anzi mentre ancora si sparava per le strade (come è facile verificare guardando il video). “Quelli a cui stiamo assistendo sono gli ultimi istanti dello Stato Islamico”, prosegue.
Malgrado gli annunci trionfalistici come questo apparsi dopo la caduta di Baghouz su quasi tutti i media occidentali – che paiono interessarsi alla campagna militare contro l’organizzazione militare e politica denominata ISIS o Daesh (adattamento dell’acronimo di al-Dawla al-Islamiyya fī ‘Irāq wa l-Shām, DAIISH) solo episodicamente e distrattamente –, la guerra contro la potente organizzazione jihadista non è probabilmente ancora finita.
Perlomeno stando a un filmato di circa 12 minuti pubblicato dall’efficacissimo staff della comunicazione di Daesh (che negli ultimi anni ci ha abituato a video in altissima definizione, con colonna sonora travolgente e martellanti messaggi propagandistici). In questo video si racconta “dal di dentro” il sanguinoso assalto delle Syrian Democratic Forces (Sdf), le milizie curde appoggiate dagli Stati Uniti, al villaggio di Baghouz, in riva al fiume Eufrate e al confine tra Siria e Iraq (nell’immagine in alto, donne e bambini in fuga da Baghouz).
Nel filmato, dopo le scene dell’assedio (durato mesi), con i combattenti dell’Isis che tra rovine e accampamenti di fortuna pregano e si gettano nella mischia impugnando mitra e bombe tra boati, crepitii di spari e urla, appare all’improvviso un mujhaiddin vestito di nero e armato di tutto punto che minaccia “crociati e apostati” di “inondare di fuoco” le nazioni dell’Occidente (sullo schermo intanto scorrono immagini di Trump, Putin e di alcuni leader europei).
Questo teatrale e ben congegnato video propagandistico e le minacce in esso contenute (che potrebbero anche essere una mossa disperata senza alcuna reale pericolosità) non sono tuttavia l’unico fattore a far ritenere tutt’altro che concluso il conflitto. Infatti, malgrado la Casa Bianca dopo la caduta di Baghuz abbia rilasciato una nota ufficiale in cui afferma che il Califfato di Abu Bakr al Baghdadi è stato spazzato via dalla Siria ed è da ritenersi “al 100 per cento eliminato”, i fatti e le opinioni di alcuni esperti sembrano contraddirla.
È vero che non hanno più un esercito vero e proprio, ma la minaccia dell’Isis è ancora viva ed è globale.
Tanto per cominciare, le operazioni militari e i rastrellamenti vanno avanti ed esistono ancora località sotto il controllo del Daesh nella regione, come mostra Syrian Civil War Map che monitora i conflitti in tempo reale. Inoltre, molti studiosi ed esperti in sicurezza ritengono sia troppo presto per cantare vittoria. Per esempio, secondo Alia Brahimi, co-founder di Legatus Global ed ex ricercatore della Oxford University e della London School of Economics, l’Isis non è sconfitto, ma anzi trarrà vantaggio da un futuro caratterizzato da un ritorno alle sue radici di movimento di guerriglia.
Daesh, spiega Brahimi sul Guardian, potrebbe “beneficiare di una nuova narrativa, fondata sulla nostalgia piuttosto che sulla sete di sangue”. E anche delle vittorie dell’estrema destra e dei tentativi falliti in Iraq, in Siria e altrove di offrire alle popolazioni locali un’alternativa più soddisfacente dal punto di vista della giustizia sociale e della legittimazione giuridico-religiosa.
Questo timore, che l’organizzazione jihadista non sia stata sconfitta del tutto, si percepisce chiaramente anche nelle parole di Kino Gabriel, portavoce delle Sdf, al New York Times: “È vero che non hanno più un esercito vero e proprio, ma la minaccia dell’Isis è ancora viva ed è globale”. I servizi segreti militari curdi stimano in qualche migliaio i mujhaiddin sparsi per la Siria e l’Iraq, pronti a riorganizzarsi per scatenare una guerriglia che preoccupa molto i comandanti della coalizione.
Daesh se ne è andato, ma le sue idee sono ancora qui, dentro le persone.
Non è la prima volta poi che si canta vittoria contro l’Isis. Già alla fine del 2017 dopo la presa di Raqqa, considerata allora la capitale de facto del gruppo, il primo ministro iracheno Haider al-Abadi aveva dichiarato sconfitto l’Isis in Iraq. Nei primi mesi dopo l’annuncio del premier iracheno della “de-Isizzazione” del suo paese, tuttavia, sono stati ben 1271 gli attacchi condotti da ex miliziani del Daesh.
E un reportage video del New York Times che mostra la situazione di Raqqa oggi, dopo quasi un anno e mezzo dalla sua liberazione, sembra avvalorare le paure espresse da Alia Brahimi: ancora si lavora all’identificazione delle centinaia di vittime, l’80 per cento della città è ancora in rovine e, mentre oltre diecimila persone sono rientrate nella città, la ricostruzione è ancora molto lenta.
“Le persone non ce la fanno più”, spiega il dottor Mahmoud Hassan, che si occupa del recupero e dei tentativi di identificazione dei corpi trovati nelle fosse comuni. “Daesh se ne è andato, ma le sue idee sono ancora qui, dentro le persone”. La paura è che lo scontento, la mancanza di opportunità, di iniziative per creare lavoro e ricostruire creino terreno fertile per una nuova radicalizzazione.
Sembrerebbero lontani i tempi in cui l’autoproclamato Califfato dell’Iraq e del Levante occupava un territorio vasto come la Gran Bretagna e popolato da 12 milioni di persone armate fino ai denti grazie ai profitti derivanti dal mercato clandestino del petrolio. Eppure Charlie Winter, senior research fellow dell’International Center for the Study of Radicalization del King’s College di Londra è molto chiaro: “C’è una tendenza generalizzata a fare dichiarazioni premature di vittoria sui gruppi jihadisti. Possono essere deboli nel breve termine, ma non esiste nessuna possibilità che siano stati definitivamente sconfitti”.
Qui il video in cui Alex Rossi di Sky News racconta Baghouz subito dopo la battaglia finale. Qui invece il video della parata con cui la Sdf ha celebrato la caduta di Baghouz dopo l’ultima battaglia.