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Photo by Remi Jouan/Wikimedia Commons / CC BY-SA

Il mea culpa di Emmanuel Macron


Il presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron ha rotto un silenzio istituzionale che ormai durava da giorni. Un discorso a reti unificate che il fondatore di En Marche, sempre più in caduta libera nei sondaggi, ha rivolto alla nazione intera nella serata di lunedì 10 dicembre.

Mani distese sul tavolo, sguardo deciso e accorato, il Macron che si presenta alla Francia è un presidente diverso da quello a cui siamo stati abituati fino a oggi. Chiede scusa, è comprensivo e fa appello al cuore dei suoi cittadini. L’aria non è più quella del “saputello” e da “primo della classe” che dalla sua elezione, ormai 18 mesi fa, in molti gli hanno sempre rimproverato. Diverso anche il linguaggio: ben lontano dal Macron burocrate, è semplice e diretto, per un discorso che mira dritto al malumore del Paese e promette sin da subito misure di sostegno.

Il presidente esordisce condannando con fermezza le violenze di queste ultime settimane promettendo che “non beneficeranno di alcuna indulgenza”. Punta il dito contro tutti quegli “irresponsabili politici che hanno come unico progetto lo sconvolgimento della Repubblica”, tracciando in questo modo una linea netta fra la legittimità delle richieste che vengono poste democraticamente e l’aggressività violenta manifestata in molte città francesi: “Non esiste nessuna collera che giustifichi l’attacco a un poliziotto, a un gendarme, o il saccheggiamento di un negozio o un edificio pubblico. Quando la violenza si scatena, la libertà cessa”.

Quella stessa collera, tuttavia, ammette, inizialmente insorta per una tassa, si è poi dimostrata qualcosa di più profondo. Un’indignazione che “ritengo giusta sotto molti aspetti” e che al contempo può rappresentare “una possibilità per tutti noi. Dopo aver riportato degli esempi specifici, dalla madre single con il figlio da accudire che fatica ad arrivare a fine mese ai pensionati che si ritrovano a essere sia genitori che figli e non sanno se ce la faranno, il Presidente della Repubblica parla di “un disagio democratico” che deriva da una certa sordità delle istituzioni “durata 40 anni”. Sordità che lui stesso riconosce ammettendo che “non abbiamo saputo rispondervi”.

Un vero e proprio mea culpa quello del presidente francese, che si assume in prima persona le sue responsabilità arrivando a scusarsi “per aver ferito qualcuno”, sottintendendo anche alcune delle sue uscite infelici. Come quando affermò che in Francia ci sono “quelli che hanno successo e quelli che non sono niente” o quando in maniera molto altezzosa disse che per trovare un lavoro basta “attraversare la strada”.

Macron però non arretra e sottolinea con forza la legittimità della sua posizione che non gli è stata data “da nessun titolo, nessun partito, nessuna cerchia ma mi è data soltanto da voi e da nessun altro”. Chiamando all’unione tutti i cittadini francesi si pone, di fronte a quello che lui decreta essere uno “stato d’urgenza economico e sociale, come il capofila di un grande progetto politico che risolleverà le sorti della Francia.

Al suono del “tutti insieme ce la possiamo fare” il leader europeista propone tre misure immediate e concrete (a partire del primo gennaio 2019) per una Francia che “possa vivere degnamente del proprio lavoro”: aumento di 100 euro del salario minimo, detassazione degli straordinari e annullamento della contribuzione sociale generalizzata (Csg) sulle pensioni inferiori a 2000 euro.

Infine il presidente incalza anche sulle questioni delle “grandi imprese e dei cittadini più fortunati”, deludendo in questo senso i manifestanti che chiedevano il ripristino della Isf (la patrimoniale): “L’imposta sul patrimonio è esistita per quasi 40 anni; vivevamo meglio? I più ricchi lasciavano la Francia e il nostro Paese si indeboliva”. Secondo “Le Monde”, le misure annunciate unite all’annullamento dell’ecotassa sul carburante sospesa la settimana scorsa, potrebbero rendere vane le promesse prese da Parigi con l’Europa riguardanti i conti pubblici. Infatti, il giornale riporta che il deficit a 2,8 per cento nel 2019 appare fuori portata e anche il tetto del 3 per cento  non è più garantito.

Ciò che ora Macron promette, cercando di togliersi di dosso l’etichetta di “presidente dei ricchi” è una riforma profonda dello stato secondo “regole più giuste, più semplici più chiare”. In questa nuova veste di presidente vicino ai suoi cittadini, strizza l’occhio direttamente ai gilet gialli e a tutte quelle persone che non si sentono rappresentate da un partito, aprendosi a nuove forme di inclusività politica con un dibattito che affronti in modo nuovo la questione della rappresentanza: “ la possibilità di vedere meglio le correnti d’opinione nella loro diversità, una legge elettorale più giusta, il far valere la scheda bianca, che siano ammessi a partecipare al dibattito anche i cittadini che non appartengono a dei partiti”. In questo movimento di avvicinamento alla pancia della nazione il presidente francese mantiene saldo il ruolo istituzionale dello Stato.

Per questo motivo, dopo aver ammesso un’eccessiva centralizzazione del potere a Parigi, tanto recriminata dai gilet gialli, il presidente individua nei sindaci gli “interlocutori naturali” delle istanze dei cittadini, definendoli anche “portatori della Repubblica sul territorio”. È proprio a tal proposito che Macron annuncia che incontrerà lui stesso “regione per regione, i sindaci di Francia per costruire le fondamenta del nostro nuovo contratto per la nazione”.

Sul finire il leader europeista sottolinea nuovamente quanto la Francia stia attraversando un “momento storico” che con “il dialogo, il rispetto e l’impegno” di tutta la nazione, in primis quello del corpo governativo, si può riuscire ad affrontare.

I 13 minuti di discorso culminano sul finire in un momento di puro pathos in cui il presidente sembra parlare proprio a cuore dei francesi: “la mia unica preoccupazione siete voi, le mie lotte sono per voi, la nostra unica battaglia è per la Francia. Viva la Repubblica, viva la Francia”.

Sin da subito è scattata l’ironia social riguardante una curiosa coincidenza: il 10 dicembre infatti è l’anniversario dell’inizio del processo che nel 1792, durante la Rivoluzione francese, portò Luigi XVI alla ghigliottina. Senza arrivare alle macabre vicende del terrore, la Francia oggi rimane un paese in continua agitazione, dai gilet gialli alla recente sparatoria a Strasburgo. Macron dovrà lavorare molto per riconquistarsi la fiducia dei cittadini. E le elezioni europee sono alle porte.