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Il carcere negli USA, tra sovraffollamento e voglia di riscatto


Sono cresciuto in un ambiente in cui non c’era denaro nonostante avessimo un tetto. Poi è arrivata la droga nel quartiere, sono finito nel giro e mi sono beccato 10 anni di carcere per una rapina. Quando sono uscito ho cercato di trovare un lavoro, ma il fatto che avessi precedenti ha reso molto difficile trovarlo. E molti, come me, si sono trovati in questa sorta di trappola”.

È la storia di Earlonne Woods, ospite al Festival di Internazionale a Ferrara lo scorso ottobre, detenuto per 20 anni nella prigione di S. Quentin in California. Alla terza condanna, a causa della legge dei Three strike, Earlonne si è ritrovato in carcere a dover scontare un ergastolo. E con lui, si stima, altre 40.000 persone. Una vita segnata, all’apparenza senza possibilità di riscatto, fino all’incontro con Nigel Poor. Nel 2011 Nigel entra nella prigione di S. Quentin come insegnante volontario e decide di creare un podcast: “Mi sono chiesta come raccontare storie ed è arrivata l’idea. Abbiamo iniziato a raccontare la vita del carcere di S. Quentin, poi delle prigioni californiane. Vogliamo raccontare il quotidiano nelle prigioni e cosa significhi viverci. Cerchiamo di evitare di raccontare storie di crimini personali”.

Così è nato Ear hustle, che oggi conta milioni di ascoltatori in tutto il mondo. Nei diversi episodi, gli intervistati raccontano quanto sia difficile trovare il compagno giusto con cui condividere una cella molto piccola, di gente che decide di allevare rane o ragni come veri e propri animali da compagnia, la reclusione in isolamento, ma anche lo straniamento di chi esce dal carcere dopo tanti anni.

Vogliamo raccontare il quotidiano nelle prigioni e cosa significhi viverci.

Come riconoscimento al suo lavoro, Earlonne ha ottenuto una commutazione della pena e la libertà nell’autunno del 2018 e oggi lavora a tempo pieno al podcast, ormai arrivato alla quarta stagione. “Cerco racconti reali che si allontanino dalla finta realtà dipinta negli sceneggiati televisivi. Ad esempio, i suoni delle prigioni diventano le colonne sonore del podcast, come il manganello che sbatte sulle sbarre. Ma sono suoni originali e particolari, non le classiche porte che si chiudono. In questo il podcast è stato innovativo perché ha cambiato il modo di vedere le prigioni”. Anche Nigel è d’accordo: “Cerchiamo sempre di usare una vasta gamma di emozioni: oltre ai momenti tristi, ci sono anche quelli divertenti. In carcere non ci sono solo le emozioni che si pensano, come rabbia e tristezza, e noi stiamo facendo questo podcast anche per sfatare questo mito”.

[Ascolta qui sotto il primo episodio del podcast (qui tutta la serie)]

 

Negli Stati Uniti spesso l’immagine che si ha delle carceri non corrisponde alla realtà. A confermarlo è Shane Bauer, autore di un’inchiesta sulle prigioni statunitensi uscita su Mother Jones e poi diventata un libro, American Prison. Qui Shane racconta la sua esperienza di quattro mesi come secondino in un carcere della Louisiana. “Per un giornalista è estremamente difficile poter avere accesso a un carcere. Il sistema penitenziario cerca di fare in modo che i giornalisti stiano il più lontano possibile, soprattutto nelle carceri gestite da società private. Per questo nel 2014 ho deciso di presentare una domanda di lavoro e, con mia grande sorpresa, è stato molto facile ottenerlo. Mi sembrava di aver fatto richiesta per lavorare in un McDonald’s”.

L’interesse di Shane per le carceri nasce in modo particolare: durante un periodo da giornalista in Siria è stato arrestato e ha trascorso due anni in un carcere iracheno.Una volta che ho iniziato a lavorare in carcere mi sono accorto che la situazione era caotica e pericolosa, girava droga, c’era gente che scappava. Possibile che non si possa fare nulla per contrastare la situazione? Non c’era assistenza sanitaria, un detenuto è morto di cancrena. Questo è il risultato di una carcerazione di massa”.

Quello degli States è il più grande sistema carcerario del mondo – il 25 per cento dei detenuti a livello mondiale si trova lì – ed è uno dei principali problemi sociali del paese; in carcere si trova l’8 per cento della popolazione statunitense, e i due terzi sono immigrati. Secondo Shane Bauer, dunque, raccontare la vita all’interno delle prigioni statunitensi è un’importante chiave di lettura della società e delle sue disuguaglianze. Quali sono per esempio, si chiede Shane, le conseguenze di questo sistema penale sulle donne afroamericane che si trovano a dover tenere unite le famiglie con figli o mariti in carcere? “Molte delle persone in carcere hanno dei figli e non ci sono programmi per permettergli di visitare i genitori”, risponde Nigel. “Bisognerebbe pensare non solo a chi è in carcere, ma anche a chi è rimasto fuori”.

Il sistema penitenziario cerca di fare in modo che i giornalisti stiano il più lontano possibile.

Che ci siano troppe persone in carcere è ormai un dato assodato. Quello che resta da capire è come ridurre questo numero, come affrontare il problema delle carceri private, come punire gli autori di reati violenti, come reinserire le persone nella società. Come permettere ai detenuti di avere una seconda possibilità nella vita. “Il carcere non è un luogo dove una persona può ricostruire sé stessa e la propria vita. I detenuti che ho conosciuto che sono riusciti a cambiare vita hanno sempre ammesso che ce l’hanno fatta perché hanno deciso di prendere in mano la propria vita, impegnandosi a raggiungere un cambiamento. È una decisione profonda e personale, che riguarda unicamente l’individuo. Ed Earlonne è uno di loro: ha scoperto nel mondo dei podcast la via per cambiare la sua vita. Le sue capacità gli hanno fatto vincere uno dei premi più importanti nel mondo dei podcast, con Earl hustle appunto, valendogli una riduzione della pena. Quindi, la collaborazione e la solidarietà tra detenuti è importante, ed è una potenzialità che deve essere incoraggiata e gestita in modo intelligente”.

[Se vuoi sapere come funzioa il mercato delle prigioni private negli Stati Uniti, ecco un articolo de Il Post]

E in Italia qual è la situazione?

In Italia ci sono 189 istituti penitenziari che a fronte di  50.692 posti ospitano 60.971 detenuti. Oltre 10.000 persone in più rispetto ai posti letto ufficialmente disponibili. Questo è il quadro della situazione che emerge dal sito del Ministero della Giustizia, aggiornato al 31 gennaio 2020. Salta all’occhio il problema del sovraffollamento, considerando che questo conteggio non tiene conto delle sezioni chiuse per ristrutturazione. Dei 60.971 detenuti presenti in carcere, 2.697 sono donne e 19.841 sono stranieri. Una situazione molto lontana da come dovrebbe essere, stando alla Costituzione italiana: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte”. Anche l’Associazione Antigone, che in Italia fa da osservatore della situazione carceraria, ha mostrato come la messa in pratica del testo costituzionale sia ancora molto lontana dal vedersi realizzata.

Dall’ultimo Rapporto dell’Associazione Antigone, uscito a fine 2019, emerge come l’aumento dei detenuti sia in costante crescita. Vent’anni fa, alla fine del 1998, i detenuti erano 47.811. Con il nuovo millennio è iniziata la crescita impazzita della carcerazione, senza che ad essa sia corrisposto un parallelo aumento nel numero dei reati commessi. Il picco massimo si è toccato nel 2010, quando a metà anno i detenuti raggiungevano le 68.258 unità (tasso di affollamento ufficiale pari al 153 per cento). Fu quello l’anno della dichiarazione governativa dello stato di emergenza penitenziaria, che vide prendere all’allora governo Berlusconi la decisione della possibile esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori a un anno, portato nel 2011 a un anno e mezzo.

Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

Nel 2013, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia per i trattamenti inumani e degradanti legati al sovraffollamento carcerario. Con le misure prese a seguito della sentenza, i numeri della popolazione detenuta sono cominciati a calare ulteriormente, fino al 31 dicembre del 2015, quando le persone recluse nelle carceri italiane erano 52.164. Dall’inizio del 2016, però, la tendenza si è nuovamente invertita, registrando un continuo aumento del numero dei detenuti.

Spaventa che il nostro paese sia tra i pochi in Europa in cui cresce la popolazione in carcere: le prigioni italiane sono più affollate della media dei paesi europei, con un tasso del 115 per cento a fronte di una media europea del 93 per cento. “Una delle prime cause dell’eccessiva presenza di persone detenute è da ricercare senz’altro nell’inefficace e repressiva legislazione sulle droghe, che rappresenta una delle principali cause di ingresso e permanenza in carcere”, si legge sul Rapporto. Anche la presenza di stranieri nel sistema penitenziario italiano è molto più elevata che nel resto del continente: i non italiani ristretti nelle carceri italiane al 31 gennaio 2018 erano il 33,6 per cento del totale, contro una media europea del 20 per cento. Anche su questo dato ci pensa il Rapporto dell’Associazione Antigone a provare a rispondere: “Ciò è in parte dovuto al fatto che l’Italia è più d’altri un paese di immigrazione, ma in altra e più ampia parte è conseguenza di una legislazione che, ostacolando percorsi di lavoro regolari, spinge nel circuito dell’illegalità un alto numero di persone”.