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Photo by Nithi Anand / CC BY

Educazione + salute = crescita economica


Le politiche mirate a costruire capitale umano sono tra gli investimenti più intelligenti che una nazione possa fare per una crescita economica inclusiva e a lungo termine”. Non suonano particolarmente rivelatrici le parole pronunciate da Jim Yong Kim, presidente della Banca Mondiale, per presentare il nuovo ma molto atteso Human Capital Index (Indice di Capitale Umano). Eppure sono indicative di un netto cambio di direzione che la Banca Mondiale ha messo in atto da qualche anno a questa parte: dai prestiti destinati a investimenti e infrastrutture a quelli mirati a migliorare educazione e salute della popolazione.

Definiamo innanzitutto il capitale umano. Una spiegazione abbastanza chiara si trova nel Goalkeepers Report (di cui abbiamo parlato qui): “La somma totale della salute, dell’educazione e delle capacità di una popolazione”. “In linea generale i leader politici preferiscono investire in capitali fisici”, prosegue il rapporto. “Quando costruiscono un pezzo di infrastruttura, l’impatto è immediato e tangibile. Invece, quando investono per vaccinare ed educare i bambini l’impatto, da un punto di vista economico, arriva decenni dopo ed è anche più difficile da vedere. Ma i fatti parlano chiaro: il capitale umano è un prerequisito per lo sviluppo economico. I dati mostrano che differenze nei livelli di educazione e salute sono sufficienti per giustificare fino al 30 per cento della differenza di Pil pro capite tra diverse nazioni”.

Bisogna dunque promuovere investimenti in questi ambiti e l’indice, presentato in occasione degli Annual meetings che ogni autunno la Banca Mondiale organizza insieme al Fondo Monetario Internazionale, ha proprio questo obiettivo. Stilando ogni anno una classifica basata sugli outcome di ogni nazione (non sulla quantità di fondi investiti) in educazione e assistenza sanitaria, darà l’opportunità a media e società civile di chiedere conto ai governi delle nazioni che non si piazzano in buone posizione dei mancati investimenti.

Le politiche mirate a costruire capitale umano sono tra gli investimenti più intelligenti che una nazione possa fare.

Lo Human Capital Index, parte del più ampio progetto della Banca Mondiale Human Capital Project, prende in considerazione cinque indicatori che ricerche globali hanno collegato direttamente alla produttività. Due sono legati all’educazione (scolarizzazione e qualità dell’apprendimento) e tre all’ambito della salute (sopravvivenza infantile, crescita sana, e sopravvivenza da adulti). Sulla base di questi valori assegna a ogni Paese un punteggio tra 0 e 1.

La relazione tra questi investimenti e la crescita economica è evidente”, spiega Kim sottolineandone l’importanza soprattutto in un mondo come quello di oggi dove “la tecnologia sta cambiando il tipo di competenze necessarie per i nuovi lavori che stanno emergendo. È una potente misura di quella che è la produttività di una generazione rispetto a quella che potrebbe essere”.

A posizionarsi meglio sono state soprattutto le nazioni asiatiche. Singapore è prima con un punteggio di 0,88 grazie all’alta considerazione in cui è stato tenuto il suo sistema di assistenza sanitaria universale, i risultati dei test scolastici e i dati sull’aspettativa di vita. Nella top 5 anche Corea del Sud, Giappone, Hong Kong e Finlandia. Il Regno Unito è 15 dietro ad Austria, Slovenia e Repubblica Ceca, ma prima della Francia (22°) e degli Stati Uniti (27°). L’Italia ha riportato un punteggio pari a 0,77 che le permette di guadagnare la posizione numero 19.

In fondo all’elenco le nazioni Africane che occupano gli ultimi 20 posti dell’indice: ultimo assoluto il Chad, preceduto da Sud Sudan, Niger, Mali, Liberia e Nigeria. Andrebbe forse però preso in considerazione il fatto che queste sono anche tutte zone di conflitto, come riporta l’Atlante delle Guerre e dei Conflitti nel Mondo. Tuttavia, secondo il rapporto, queste nazioni avrebbero fallito nel garantire che milioni di bambini avessero buona alimentazione, assistenza sanitaria ed educazione nei loro primi anni di vita.

La relazione tra questi investimenti e la crescita economica è evidente.

Secondo il presidente, anche le nazioni più povere al mondo possono mettere in atto misure per migliorare le probabilità di vita, rigettando in questo modo le osservazioni di chi gli faceva notare, non sempre a torto, che molte di queste nazioni non hanno e non hanno avuto i mezzi per implementare riforme mirate.

Per le persone più povere il capitale umano è spesso l’unico capitale che hanno. È un fattore fondamentale per una crescita economica sostenibile e inclusiva, ma gli investimenti in educazione e salute non hanno ottenuto l’attenzione che meritanoTroppe nazioni africane dicono di star lavorando sodo per diventare più ricche e che dopo spenderanno in salute ed educazione”, ha commentato duramente. “Noi stiamo dicendo loro di concentrarsi ora su queste aree”.

La presentazione dell’indice non ha mancato di creare immediatamente una forte polarizzazione tra critici accaniti ed entusiasti sostenitori. Secondo questi ultimi, il nuovo indice potrebbe riscrivere la relazione tra paesi in via di sviluppo e istituzioni finanziarie internazionali che storicamente non hanno mai valorizzato il capitale umano come un fattore di crescita economica.

La prima differenza (con altri indici, ndr) è che arriva dalla Banca Mondiale ed è diretta ai ministri delle finanze. E i ministri delle finanze sono proprio una compagine che ha sopravvaluto l’importanza delle infrastrutture economiche e sottovalutato il benessere dei proprio cittadini” ha commentato, Kevin Watkins, CEO of Save the Children UK in un’intervista a margine dei meetings.

Tuttavia non sono poche né completamente infondate le preoccupazioni espresse da chi fa notare come con questo nuovo indice, la Banca Mondiale inquadra le persone non come portatrici di diritti ma solo nei termini del loro contributo economico futuro. Inoltre l’indice non fa distinzioni all’interno di una nazione, rischiando di sottostimare potenziali problemi di ineguaglianza e disparità interne: in una nazione può piazzarsi in cima alla classifica, e allo stesso tempo una buona parte dei suoi cittadini può rimanere abbandonata.

Educazione non vuol dire solo preparare al mercato del lavoro, ma contribuire a creare un mondo pacifico ed equo.

Tre le preoccupazioni espresse da David Edwards, direttore generale di Education International, che seppur relative all’aspetto educativo della questione possono facilmente essere traslate a quello dell’assistenza sanitaria.

La principale è che questo indice si concentra su educazione e salute in quanto fattori di produttività e non come diritti umani inalienabili. “Con l’articolo 26 della Dichiarazione dei diritti umani ognuno ottiene il diritto a un’educazione e, con l’adozione dei Sustainable Development Goals, i governi del mondo si sono impegnati a garantire un‘educazione inclusiva e di qualità per tutti”, scrive in un blog post. “Educazione”, prosegue, “non vuol dire solo preparare al mercato del lavoro, ma contribuire a creare un mondo pacifico ed equo. Specialmente in un momento come questo in cui nazionalismi, razzismo e xenofobia stanno minando la democrazia nel mondo”.

La seconda preoccupazione riguarda la crescente frammentazione dei dati relativi all’educazione. “Mettendo da parte se il fatto che misurare la qualità dell’apprendimento globalmente adoperando gli stessi parametri sia desiderabile, è chiaro che duplicare questo sforzo è uno spreco di risorse”. Infine, Edwards teme che, per come è strutturato, lo Human Capital Index possa promuovere misure non mirate a migliorare la qualità dell’educazione, ma a migliorare le performance nei test standardizzati adoperati dalla BM per il suo ranking.