L’epidema di Covid-19 ha apparentemente congelato la questione dei rapporti tra la Cina e Hong Kong, portando a uno stallo la contesa sull’autonomia della piccola città stato semi-autonoma.
In realtà sotto la superficie apparentemente calma la situazione ha continuato a evolvere e, per alcuni versi, a farlo ancora più velocemente che in passato.
La notizia che ha fatto capire che la partita per il futuro di Hong Kong era di nuovo aperta è del 28 maggio scorso, quando l’Assemblea Nazionale del Popolo (l’istituzione più simile a un parlamento della Repubblica Popolare Cinese) ha approvato una risoluzione che porterà all’adozione di una legge sulla sicurezza nazionale per Hong Kong.
Il testo finale della legge verrà approntato nelle prossime settimane, ma a parere di tutti gli osservatori – e nonostante le smentite di Pechino – si tratta di una mossa drastica per restringere le libertà di Hong Kong, criminalizzando i movimenti di protesta che da anni la percorrono e che negli ultimi mesi prima dell’inizio della pandemia si erano fatti sempre più forti.
Va tenuto a mente infatti che le dure proteste del 2019 avevano come obiettivo il ritiro di una proposta di legge sull’estradizione tra Cina e Hong Kong che era in discussione nel Comitato legislativo della città. Se fosse stata approvata sarebbe stata un passo ulteriore verso il controllo della Cina su Hong Kong, ma sarebbe avvenuto con un atto deciso dalla città stessa (sebbene sotto pressione delle autorità della Repubblica Popolare). La risoluzione dell’Assemblea Nazionale del Popolo è invece un’imposizione che arriva su Hong Kong da Pechino e quindi una violazione ancora più grave dell’autonomia della città stato.
Com’era prevedibile la notizia ha dato il via a grandi proteste a Hong Kong, mentre molti dei leader del movimento democratico hongkongese hanno fatto dichiarazioni molte critiche nei confronti della decisione di Pechino.
Tra questi c’è stata anche Emily Lau, storica militante del Partito Democratico hongkongese che ha tracciato un quadro preoccupante del possibile futuro della sua città. “Stiamo aspettando i dettagli della legge ma se sarà molto severa, come la legge sulla sicurezza nazionale della Cina, vi posso assicurare che non solo i normali cittadini di Hong Kong ma anche gli uomini d’affari – che erano così preoccupati dalla proposta di estradizione dell’anno scorso – saranno ancora più spaventati”, ha dichiarato. “Se ci sarà una legge di sicurezza nazionale ampia come quella della Cina sapete cosa succederà per le persone che verranno condannate? Spariranno per anni, senza accesso alle famiglie e agli avvocati, verranno torturate e quando finalmente ci sarà un processo nessuno vi sarà ammesso. (…) Questa è una situazione di assenza della legge e se ci verrà imposta pensate che la comunità economica internazionale vorrà ancora fare affari qui? E che gli hongkongesi potranno vivere come prima?”
La tensione è aumentata ancora nei giorni scorsi, fino ad arrivare al 4 giugno, quando le autorità di Hong Kong hanno adottato due nuovi provvedimenti che hanno scaldato ulteriormente gli animi. Il primo è stato una legge che proibisce le offese all’inno cinese. Il secondo un divieto per i cittadini di partecipare all’annuale manifestazione in ricordo delle vittime di Piazza Tienanmen (avvenuta il 4 giugno 1989), una delle ricorrenze più care agli abitanti della città. Il divieto è stato giustificato con la paura del contagio di Covid-19, ma è chiaro il tentativo di assestare un altro colpo al movimento democratico di Hong Kong. Tutte queste novità hanno avuto ripercussioni ben al di fuori dei confini della Cina.
Se ci sarà una legge di sicurezza nazionale ampia come quella della Cina sapete cosa succederà per le persone che verranno condannate?
Oltre agli Stati Uniti, che vedono il pretesto per colpire la Cina nel contesto della guerra commerciale che sta riguardando i due stati (portando anche a una piccata risposta in merito da parte di Carrie Lam, il capo esecutivo di Hong Kong) anche il Regno Unito si è mosso in questo complesso scenario.
Dominic Raab, ministro degli esteri inglese, ha infatti fatto sapere che “se la Cina proseguirà con la sua proposta di legge ci organizzeremo per permettere ai cittadini di Hong Kong di venire nel Regno Unito senza l’attuale limite di sei mesi (…) progettando anche un percorso per ottenere la cittadinanza britannica. Penso che anche a questo punto la Cina possa tornare sulle sue decisioni ma se così non fosse il Regno Unito non guarderà dall’altra parte per quanto riguarda le persone di Hong Kong”.
L’intromissione del Regno Unito nella questione di Hong Kong (in virtù dei suoi vincoli con la città che fu una colonia inglese fino al 1997) ha portato a una secca risposta da parte della Cina.
“Il Regno Unito non ha né la sovranità, né il controllo, né la supervisione di Hong Kong dopo la sua restituzione. Quindi non ha alcuna autorità di fare dichiarazioni irresponsabili sulle questioni di Hong Kong né di interferire negli affari interni della Cina”, ha commentato Zhao Lijian, il portavoce del ministro degli esteri cinese.
La partita per l’autonomia di Hong Kong è quindi ricominciata a tutti gli effetti, con un’intensità che fa pensare che la situazione da qui in poi evolverà molto più rapidamente che in passato. Portandoci a sapere, forse in tempi molto ristretti, se Hong Kong riuscirà a preservare il sistema democratico per cui sta così duramente lottando.