Le violente proteste dello scorso weekend a Hong Kong cominciano ad avere le prime conseguenze. Tra queste la più inaspettata è il ritorno sulla scena pubblica del Capo esecutivo di Hong Kong, Carrie Lam, una figura che sembrava essere stata estromessa dalla partita e della quale si erano perse le tracce. Lam ha annunciato nel pomeriggio del 4 settembre che il progetto di legge per stringere un accordo di estradizione tra Cina e Hong Kong – che era stato il caso che aveva scatenato le proteste – è definitivamente caduto e non sarà più riproposto dal governo dell’isola.
“Il governo ritirerà formalmente il disegno di legge [sull’estradizione] al fine di placare completamente le preoccupazioni dei cittadini”: queste le parole di Lam in un video rivolto alla cittadinanza di Hong Kong dove prova a rilanciare un processo di dialogo con i manifestanti.
L’abbandono del progetto sull’estradizione accoglie solo una delle cinque rivendicazioni dei manifestanti. Le altre quattro sono: la richiesta di istituire una commissione di inchiesta sull’operato della polizia, di non considerare le proteste legalmente come delle rivolte, la fine dei processi nei confronti dei manifestanti arrestati e l’istituzione di un autentico suffragio universale nella città-stato non sono state accolte.
Lam ha proposto degli altri punti dal quale far partire i negoziati: “Il governo supporterà un’indagine dell’IPCC (un organo che vigila sulla correttezza dell’operato della polizia), […] a partire da questo mese io e i miei principali collaboratori ci apriremo alla comunità per instaurare un dialogo diretto, […] inviterò i leader della società, professionisti e accademici a esaminare e analizzare i problemi radicati nella nostra società, in modo da poter consigliare il governo nel trovare delle soluzioni”. Proposte vaghe, che in effetti hanno già ricevuto risposte negative dal movimento di protesta.
Carrie Lam era già tornata all’attenzione del pubblico il 2 settembre, quando la registrazione di un suo discorso fatto durante un incontro privato era stato diffuso. Durante la conversazione Lam sosteneva che “Se avessi una scelta, la prima cosa che farei sarebbe andarmene, dopo aver chiesto umilmente scusa” . Secondo molti osservatori queste parole implicavano che Pechino le avesse impedito di dimettersi, cosa che lei avrebbe preferito fare se ne avesse avuto la possibilità.
Lam ha successivamente affermato in una conferenza stampa di “non aver mai offerto le dimissioni al governo della Repubblica Popolare Cinese. Non ci ho mai nemmeno pensato. La scelta di non dimettermi è interamente mia”.
Si tratta evidentemente di una confutazione debole, come debole rimane la posizione del Capo esecutivo di Hong Kong all’interno dell’intera vicenda, schiacciata tra le proteste sempre più radicali dei cittadini che dovrebbe rappresentare e la gestione autoritaria della questione da parte di Pechino.