“Non dimenticherò mai la prima volta che mi assalì, una notte di novembre nella sua Seicento gialla targata Bilbao. Mi sono ritrovata con questo signore sopra di me: mi infilò le dita nelle mie parti intime, la lingua in bocca. Ricordo la sensazione di paura, di panico. Fu eterno. Non sapevo cosa stava succedendo, non sapevo nulla della sessualità. Io ero cattolica, mi fidavo dei sacerdoti”.
Teresa Conde ha 52 anni e lavora come professoressa. Nel 2007, dopo 25 anni di silenzio ha trovato il coraggio di raccontare ai suoi genitori quello che le era successo da bambina. Ha impiegato altri 11 anni per metterlo nero su bianco e raccontare anche al quotidiano spagnolo El País gli abusi subiti quando era ancora bambina, da parte di un religioso della scuola “Trinitarios” di Salamanca. Ha dovuto affrontare una vita in terapia, durante la quale pensava al suicidio “tutti i giorni della mia vita”, per superare il trauma che ora ha reso pubblico. Domingo Ciorda, questo è il nome del frate che nel 1980, a 45 anni, ha abusato di Teresa Conde per più di due anni. Lei ne aveva 14 la prima volta.
All’epoca, frate Domingo Ciorda oltre ad essere il direttore della scuola “Trinitarios”, era anche un amico di famiglia. Approfittò della situazione chiedendo ai genitori di Teresa di permetterle di lavorare come segretaria nel suo ufficio, luogo in cui, più volte, sono avvenute le aggressioni. “Quando arrivavo, fuori dall’orario scolastico, aveva già la camicia sbottonata. Lì succedeva di tutto. Mi fece di tutto ma non c’è mai stato un rapporto completo, non c’è mai stata penetrazione, perché per lui, quello, era peccato. Io sopportavo tutto come potevo. Avvenne come una dissociazione in me: quello che succedeva al mio corpo e alla mia mente era come se stesse succedendo a un’altra persona. Tornavo a casa e continuavo con la mia vita, anche se faticavo molto a dormire”.
Questi rapporti finirono quando Teresa si fidanzò e si trasferì in un’altra città. Fu proprio in quel momento, a 19 anni, che iniziò la terapia psichiatrica. “Volevo morire” confessa Teresa.
Come lei, molte altre persone hanno trovato il coraggio di parlare. Decine di uomini e donne di età diverse hanno contattato El País per denunciare gli abusi sofferti quando erano ancora minorenni. Come riportato dal quotidiano, i giudici registrano ad oggi 33 condanne aperte a sacerdoti per abuso sessuale ai danni di 80 minori d’età. La situazione, però, sembra avere entità maggiore. Parte dei casi trattati dalla magistratura sono stati resi pubblici dalle vittime dopo aver già denunciato i fatti al tribunale ecclesiastico. Davanti al silenzio della Chiesa, però, in molti hanno deciso di ricorrere alla giustizia.
La teoria della Chiesa cattolica davanti ai casi di pedofilia è questa: la roba sporca si deve lavare in casa.
L’omertà dell’istruzione ecclesiastica spagnola si è vista anche nel momento in cui i giornalisti si sono rivolte alle singole diocesi per ottenere maggiori informazione sui casi di molestie. La Conferenza episcopale e la stragrande maggioranza di più di settanta diocesi consultate nell’ambito dell’inchiesta non hanno fornito alcuna informazione sulle denunce per pedofilia ricevute in questi anni. Solo 18 di queste hanno risposto alla chiamata: cinque hanno affermato di non aver ricevuto alcuna denuncia, altre quattro hanno ammesso un caso di molestie. Cinquanta di queste non hanno mai risposto.
I casi di pedofilia riguardano l’intera Chiesa cattolica. Ogni anno si registrano tra i 400 e i 500 casi di abusi ai danni di minori, ma vi è sempre un certo numero di vittime che decide di non denunciare. Sebbene non si conosca l’entità del fenomeno paese per paese, alcuni stati hanno già fatto degli sforzi per arginare il problema, tra questi, la Germania. La conferenza episcopale tedesca, infatti, ha indagato sui casi di pedofilia all’interno delle diocesi, registrando 3.677 casi negli ultimi 70 anni. Al contrario, in Spagna un tentativo di fare chiarezza sui casi di molestie non è mai avvenuto. Le autorità ecclesiastiche non hanno mai preteso dalle singole diocesi di rendere conto del loro operato e di rispondere alle accuse.
Per rispondere alle polemiche che avevano investito il papato di Benedetto XVI in seguito ai casi di pedofilia verificatisi nella Chiesa d’Irlanda, erano state approvate alcune norme, adottate anche alla Conferenza Episcopale Spagnola, che invitavano le vittime a denunciare i casi di abuso alle autorità giudiziarie e obbligavano le diocesi a notificare alle stesse eventuali denunce per abuso. Dal 2010 ad oggi solo due diocesi – Ciudad Real e Castellón – si sono rivolte alla polizia.
In molti casi, inoltre, è la stessa vittima a denunciare gli abusi all’autorità ecclesiastica – dalla quale normalmente non riceve alcuna risposta – senza poi rivolgersi alla polizia.
“La prima reazione della Chiesa è la paura dello scandalo. La teoria della Chiesa cattolica davanti ai casi di pedofilia è questa: la roba sporca si deve lavare in casa” afferma una delle vittime intervistate dal quotidiano spagnolo. Sono emerse infatti numerose regitrazioni delle conversazioni tra vittime e sacerdoti o vescovi, nelle quali questi ultimi hanno tentato di dissuadere le vittime a sporgere denuncia pubblicamente. Meglio risolvere il caso internamente, quindi. Ma le conseguenze sono nettamente differenti. Mentre il codice penale prevede pene che vanno dalle sanzioni economiche, con relativi indennizzi per le vittime (tra i 1200 fino ai 70mila euro), al carcere (fino a 21 anni), la giustizia ecclesiastica riserva ai sacerdoti un trattamento molto più clemente. Il codice canonico, infatti, prevede solo la privazione del titolo di parroco per un certo periodo di tempo: solo nei casi più gravi è prevista l’espulsione dal clero.
Dalla Chiesa non ho ricevuto alcuna risposta, l’indifferenza più assoluta.
I genitori di Teresa Conde, prima di rivolgersi alla polizia, hanno raccontato il caso a uno dei responsabili dell’ordine dei Trinitarios, Daniel García. “Hanno riconosciuto quello che è successo e si sono scusati, ma solo con i miei genitori. Mi hanno chiamata una volta dicendomi che il prete che mi aveva molestata se la passava peggio di me. Solo dopo averlo denunciato mi ha chiamata, un giorno, ma solo perché l’hanno obbligato. Mi ha detto che si ricordava di me tutti i giorni della sua vita e che aveva dei ricordi meravigliosi. Non ha mai fatto riferimento a quello che è successo e non si è mai dimostrato pentito. Nessuno è mai scusato: né lui, né l’ordine. Dalla Chiesa non ho ricevuto alcuna risposta, l’indifferenza più assoluta. Hanno sempre avuto paura che potessi parlare e raccontare tutto”.
Molti erano a conoscenza della fama di Domingo Ciorda, il frate abusatore. La comunità sapeva cosa stava facendo, perché oltre a Teresa, il frate ha abusato anche di altri minori. “Nel convento tutti sapevano. Lui scherzava, si fingeva finto progressista, dimostrava che quello che faceva era tutto normale, che lui era il più moderno, che la Chiesa non comprendeva la sessualità”.
Teresa ha deciso di raccontare pubblicamente le molestie subite per evitare che capitino altri casi di questo tipo. “Mi sento responsabile e colpevole ogni volta che leggo che a un altro bambino o bambina è capitata la stessa cosa”, confessa. “La Chiesa lo nasconderà sempre, lo negherà sempre. Prima vittimizza chi ci violenta e poi l’istituzione”. Parlarne è utile, dice, per “superare la sensazione di schifo, di colpa, di aggressività che si prova (…) La Chiesa deve chiederci scusa, deve riconoscere pubblicamente gli abusi, deve essere capace di pulire quello sporco che ha in sé, anche se credo sia difficile perché tutti quelli che ho conosciuto hanno tentato di giustificare i colpevoli. Credo che la Chiesa copra sistematicamente migliaia di casi del genere”.
Domingo Ciorda è morto nel 2016 in un incidente d’auto. El País riporta integralmente il suo necrologio pubblicato nella pagina web dei “Trinitarios” a pochi giorni dalla sua morte: “Fu nostro fratello Domingo, per molti anni formatore sempre vicino, disponibile e molto umano. Aveva il dono speciale di creare fiducia attorno a sé. È sempre stato un fratello amato e di profonda fede. I suoi passi a Salamanca, a Roma e a Cerfroid hanno lasciato traccia”. Anche nella vita di Teresa Conde.