Nel 2017 sono aumentate “sia nella stampa sia nell’informazione di prima serata le notizie relative ai flussi migratori e alla criminalità. Al centro dell’agenda dei telegiornali (con il 41 per cento) il racconto dei flussi migratori: quasi 1 notizia su 2 è dedicata alla gestione degli arrivi nel Mediterraneo centrale”. A dirlo è il rapporto del 2017 dell’Associazione Carta di Roma relativo alla comunicazione della migrazione nei media italiani. “La seconda voce in agenda”, prosegue il rapporto, è quella della criminalità e della sicurezza (con il 34 per cento): “in questa dimensione si suggerisce un nesso tra l’appartenenza etnica o di status e l’azione criminale”.
Questo tipo di informazione parziale e in diversi casi distorta impedisce di vedere il fenomeno della migrazione, per quello che è, un fenomeno strutturale di lungo periodo in grado di creare opportunità sia per i paesi di origine sia per quelli di destinazione.
Eppure la Carta di Roma, un protocollo deontologico concernente richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti recepito nel Testo unico dei doveri del giornalista, obbliga i giornalisti ad “adottare termini giuridicamente appropriati”, a “evitare la diffusione di informazioni imprecise, sommarie o distorte riguardo a richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti” e a “interpellare, quando ciò sia possibile, esperti ed organizzazioni specializzate in materia, per poter fornire al pubblico l’informazione in un contesto chiaro e completo, che guardi anche alle cause dei fenomeni”.
“Il ruolo del giornalismo, del giornalista dovrebbe essere quello di essere chiaro, oggettivo e rispettare la verità sostanziale dei fatti”, spiega Sabika Sha Povia di Associazione Carta di Roma, intervistata da Salute Internazionale in occasione del workshop “Migration: turning challenges into opportunities”, tenutosi a Roma il 13 marzo 2018.
Le persone si sono sentite legittimate a porter compiere determinate azioni razziste o violente.
“Oltre al problema delle fake news, abbiamo un problema reale di notizie assenti dal racconto mediatico, tra queste proprio la voce dei migranti per esempio nei servizi sull’immigrazione, solo nel 7 per cento di quelli in televisione c’è la voce di un migrante però almeno in un terzo compare un politico”, per i migranti insomma sono sempre altri a parlare e non sentiamo mai la loro versione dei fatti. Assenti dalla narrativa mediatica sono anche i paesi di origine: “Forse nel 5 per cento dei servizi si parlava di questa cosa”, continua Sabika. Secondo la giornalista la mancanza di questo tipo di informazioni non permette di costruire un contesto nel quale inserire le notizie: “Innanzitutto parliamo di perché stanno venendo qui che cosa sta succedendo prima, e quel passo indietro non lo fa quasi nessuno”.
Fa l’esempio di un titolo di giornale: “Quattro persone fermate, un pakistano in possesso di hashish”. “Quando poi si leggeva il resto dell’articolo c’era scritto”, racconta Sabika, “‘Sono state fermate quattro persone: un pakistano e tre italiani che erano in possesso di hashish’. Il titolo non è falso, perché è vero che il pakistano era in possesso di hashish, ma parziale, era solo una delle quattro persone, gli altri tre erano italiani. Anche questo tipo di informazione, che non è completa, in qualche modo poi va a infrangere quello che è il codice deontologico della Carta”.
“Abbiamo visto, specie post Macerata, un innalzamento dei toni, allarmistici all’interno dei giornali, dei quotidiani e dei telegiornali di tutta Italia (…) La parola paura che ti viene sbattuta in faccia, parlare di ‘emergenza’, ‘crisi’, ‘allarme’, ‘pericolo’ ha creato un senso di ansia diffuso”, conclude Povia. “Ha fatto sì che le persone si sono sentite legittimate a porter compiere determinate azioni razziste o violente”.