In estremo oriente sono tutti molto nervosi. La Cina è preoccupata dai dazi americani, senza contare le proteste ancora in corso a Hong Kong; la Corea del Sud teme possibili colpi di testa della Corea del Nord; quest’ultima è inquieta al pensiero che un giorno qualcuno dei suoi potenti vicini si stanchi di lei. Il Giappone, infine, è assillato dalla sua perdita di influenza nella zona.
Tutto questo nervosismo crea confusione e può capitare che qualcuno perda le staffe. È quello che è successo tra Giappone e Corea del Sud – in teoria alleati e partner commerciali strettissimi –, che nell’ultimo mese hanno visto le loro relazioni raffreddarsi drasticamente.
Nell’ultimo mese il Giappone ha imposto dei limiti alle esportazioni verso la Corea del Sud di alcuni materiali essenziali per la produzione di microchip e schermi, di cui è uno dei pochi produttori al mondo. Dal 4 luglio scorso infatti questi elementi per poter essere spediti in Corea del Sud hanno bisogno di un’autorizzazione governativa che potrebbe richiedere fino a 90 giorni di tempo, mettendo a serio rischio l’approvvigionamento di materiali essenziali per il settore dell’industria tecnologica di quest’ultima.
La mossa di Tokyo è un duro colpo all’economia sudcoreana ma potrebbe alla lunga rivelarsi dannosa per il Giappone stesso.
“Nonostante gli sforzi diplomatici del governo non possiamo escludere che la situazione si prolunghi. Dobbiamo prepararci per tutte le possibilità. Dovremo cogliere questa occasione per aumentare l’uso di tecnologie, componentistica e materiali di produzione coreana da parte delle nostre industrie più importanti, in modo da diminuire la loro dipendenza verso paesi stranieri”. Queste le parole del Primo Ministro sudcoreano Moon Jae-In in un incontro con alcuni degli industriali più importanti della Corea del Sud, a poche ore dall’annuncio delle restrizioni decise a Tokyo.
Se la limitazione del commercio rappresenta un problema non indifferente per Seoul, è anche vero che questo la spingerà a trovare nuovi fornitori, cosa che alla lunga potrebbe costituire un danno economico pesante anche per il Paese del Sol Levante.
Nonostante gli sforzi diplomatici del governo non possiamo escludere che la situazione si prolunghi. Dobbiamo prepararci per tutte le possibilità.
Tuttavia, per capire meglio la vicenda, bisogna scavalcare le questioni commerciali e viaggiare più indietro nel tempo. Ufficialmente il Giappone ha imposto le restrizioni per paura che gli elementi arrivassero in Corea del Nord, ma in realtà la decisione di Tokyo è l’ennesima mossa in una disputa con la Corea del Sud che va avanti da decenni.
L’intera vicenda ha inizio più di un secolo fa, nel 1910, quando il Giappone invase la Corea facendone un suo protettorato che durò fino al 1945. Durante quel periodo i giapponesi deportarono centinaia di migliaia di coreani per farli lavorare nelle industrie del loro paese e costrinsero un gran numero di donne coreane a prostituirsi nei bordelli militari del loro esercito.
Nel 1965 il Giappone e la Corea del Sud firmarono un trattato che normalizzò i loro rapporti diplomatici e affrontò anche il problema degli abusi dei giapponesi a danno dei coreani. Il trattato del 1965, oltre alle scuse del governo nipponico, prevedeva lo stanziamento di 300 milioni di dollari come risarcimento (2,4 miliardi di dollari aggiornati a oggi) e di 200 milioni di dollari a titolo di prestiti a basso tasso di interesse. Questi fondi furono poi essenziali per innescare il processo di sviluppo che portò la Corea del Sud a essere uno dei paesi più ricchi del mondo.
Nonostante questo però il governo sudcoreano non si è mai ritenuto pienamente soddisfatto dal comportamento dei giapponesi. Oltre a dubitare della sincerità delle scuse, ha sempre sostenuto che l’accordo riguardasse i due governi ma non i singoli individui che erano ancora liberi di chiedere risarcimenti nei confronti delle aziende che li avevano sfruttati (o verso l’esercito giapponese che le aveva obbligate alla prostituzione).
Questa è stata la radice di ogni incomprensione tra i due paesi, che con il tempo sono proseguite.
L’ultima risale al 2018, quando la Corte suprema della Corea del Sud ha condannato due importanti aziende giapponesi (la Mitsubishi e la Nippon Steel) a pagare circa 200.000 dollari di risarcimento agli eredi di alcuni lavoratori forzati coreani, deportati in Giappone durante la Seconda Guerra Mondiale. Alla decisione il Giappone ha risposto invocando il trattato del 1965 che prevedeva che in caso di dispute diplomatiche si dovesse ricorrere a un arbitrato. La Corea del Sud ha controproposto di istituire un fondo per risarcire le vittime del lavoro forzato e a quel punto il Giappone ha deciso di passare alle vie di fatto e di imporre le restrizioni dei materiali tecnologici.
Gli industriali e le persone di entrambi i Paesi non vogliono rompere i legami economici reciprocamente vantaggiosi tra Giappone e Corea.
Su tutta la vicenda pesa un silenzio inaspettato: quello degli Stati Uniti, in genere sempre solleciti nell’intervenire a dirimere le controversie tra i loro alleati. Pochi giorni dopo l’inizio della crisi diplomatica David Stilwell, capo della diplomazia americana nell’Asia orientale, ha confermato l’atteggiamento cauto degli Stati Uniti. “Nessuna questione potrà essere risolta senza la cooperazione tra i nostri due alleati, Giappone e Corea del Sud. Speriamo che una decisione venga presa presto. Gli Stati Uniti, in quanto amici stretti e alleati di entrambi, faranno quello che possono per far sì che gli sforzi risolvano il problema”.
Nel frattempo la situazione potrebbe peggiorare ulteriormente: il Giappone ha avviato la procedura per rimuover la Corea del Sud dalla lista dei 27 paesi con cui ha delle relazioni commerciali preferenziali. Un’eventuale esclusione porterebbe a una limitazione complessiva del commercio con la Corea del Sud, al di là dei singoli materiali già sottoposti a restrizioni. Per Seoul sarebbe un duro colpo e infatti il ministro del commercio Sung Yun-Mo ha diffidato il Giappone nel proseguire lungo questa strada. “Il Giappone dovrebbe rivedere la decisione di (…) rimuovere la Corea del Sud dalla sua whitelist. Gli industriali e le persone di entrambi i Paesi non vogliono rompere i legami economici reciprocamente vantaggiosi tra Giappone e Corea, che sono durati per più di 60 anni, a causa di questa questione”.
La crisi diplomatica tra Tokyo e Seoul potrebbe dunque degenerare in una guerra commerciale, aumentando l’instabilità complessiva di una regione a cui in questo momento non servono ulteriori tensioni.