La 31esima edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino si è aperta con la lectio magistralis di Javier Cercas, scrittore e giornalista spagnolo, con un segno particolare: è un europeista estremista. Cercas ha parlato di Europa come pochi hanno fatto finora.
“Il problema è che non so bene cosa sia l’Europa. Ma qualcosa la so. So che per molta gente, soprattutto per molti giovani, l’Europa si identifica con l’Unione Europea. Ed oggi l’UE si identifica, nel peggiore dei casi, con un’unione sgranata e improbabile di paesi con tanto passato e scarso futuro. Nel migliore dei casi con un ente sovranazionale freddo, astratto e distante, la cui capitale si trova in un posto freddo e distante chiamato Bruxelles, che non si sa bene a cosa serva tranne che a dare lavoro a un mucchio di grigi burocrati e far sì che i politici populisti di tutto il continente gli diano la colpa di tutto ciò che di male accade nei nostri paesi”.
Cercas ripercorre il passato di un’Europa bistrattata ma tanto desiderata. Ha ricordato che per secoli l’Europa è stata motivo di speranza per gli spagnoli del XVII secolo, costretti in un paese povero, isolato e incolto a causa del dogmatismo oscurantista. Già dal XVIII secolo le cose sono cambiate: l’Europa veniva vista come una premessa di modernità, di prosperità e libertà e Cercas stesso, insieme ai suoi antenati, è cresciuto con un’idea di Europa come speranza a cui guardare per uscire dal franchismo.
L’unica identità europea verosimile è la sua diversità.
Solo un decennio fa, l’Europa unita sembrava sembrava essere la grande potenza mondiale del XXI secolo, l’unica competitor del dominio nord americano e cinese. Cercas cita il politologo britannico Mark Leonard e il sociologo americano Jeremy Riffkin, che in passato avevano sostenuto l’idea di un’Europa unita vincente. Ma cos’è successo in così poco tempo? La risposta è sotto gli occhi di tutti. “La crisi economica più profonda che l’Europa abbia sofferto dal 1929. Una crisi che non ha scatenato una guerra mondiale ma un terremoto politico, provocando la resurrezione dei peggiori demoni europei, a cominciare dal nazionalismo, che è il demone della discordia e della disunione”.
Quello che è in ballo non è il solo destino dell’Europa ma la sua fisionomia. Perché se condividere lingua, tradizioni, patria non basta per avere una stessa identità può l’Europa avere un’identità unica e condivisa? “L’identità individuale è una finzione, dentro di noi vi è un dramma ingente. Le identità collettive, a cominciare da quelle di Italia, Spagna, Germania, non sono altro che invenzioni collettive indotte o imposte da poteri statali che sanno molto bene che la prima cosa da fare per governare il presente e il futuro è governare il passato. Costruire una narrazione del passato in grado di legittimare un presente comune e preparare un futuro egualmente comune. In realtà l’unica identità europea verosimile è la sua diversità. Un’identità contraddittoria, originata da vecchi paesi con lingue e culture diverse che decidono di unirsi sulla base di valori come la concordia, il benessere, libertà dei suoi cittadini”.
Per Cercas, l’Europa non ha mai smesso di essere quello che era stato per lui da ragazzino: l’unica utopia ragionevole che gli europei abbiano mai realizzato. “Di utopie politiche atroci, cioè paradisi teorici trasformati in inferni pratici ne abbiamo inventati a mansalva, ma di utopie politiche ragionevoli, che io sappia, solo questa. L’Europa unita”.
Perché nonostante il primo sport europeo sia sempre stato non il calcio ma la guerra, il progetto europeo è nato per porre fine a queste carneficine, perché nulla di simile potesse ripetersi. Conflitti fomentati dalla resurrezione del nazionalismo, che “non è un’ideologia politica ma è una fede. Dopotutto la nazione fu il sostituto di Dio come il fondamento politico dello Stato e liberarsene in Europa sarà tanto difficile come lo è stato liberarsi di Dio”.
Perché nonostante l’Europa sia stata in passato il centro del mondo ora non lo è più. E questo è dovuto alla sua disunione: alla mancanza di politiche fiscali e culturali comuni, alla mancanza di un’opinione pubblica europea e ad un deficit democratico delle nazioni aderenti. “Questo è uno dei problemi principali che impedisce che quello che inizialmente è iniziato come progetto elitario, ideato e diretto da un’avanguardia illuminata, si trasformi in ciò che deve essere. Un progetto popolare, direttamente sostenuto e protagonizzato dalla cittadinanza”.
Perché uno dei problemi principali delle nostre democrazie risiede nei poteri economici delle grandi multinazionali che finiscono per imporre le loro norme ai paesi in cui risiedono. Un’Europa davvero unita rappresenta forse l’unica possibilità per arginare questo potere.
L’eroismo della ragione è l’impulso originario della nascita dell’Europa.
La grande sfida dell’Europa consiste quindi nel conciliare diversità culturale, la vera ricchezza europea, e unità politica, fondamentale per prevenire odi etnici e rivendicazioni nazionalistiche, che costituiscono le più grandi minacce per il nostro continente. E pluribus unum: l’Europa deve essere politicamente una e culturalmente plurale.
“Quest’utopia non si è ancora realizzata ma forse è meglio cosi. Perché le utopie sono come le democrazie, la democrazia perfetta non esiste, è una dittatura, è una finta democrazia. Ciò che caratterizza una democrazia non è il fatto che sia perfetta ma che sia infinitamente perfettibile, che si possa sempre migliorare. Un’utopia portata alla realtà è finta perché ognuno di noi ha interessi e desideri diversi: ciò che per noi è un paradiso per l’altro è inferno. Un’utopia vera non fornisce una stessa felicità a quelli che la abitano, ma quella che permette ad ognuno di cercare la propria felicità a proprio modo”.
A fronte di un’egemonia traballante, come quella statunitense, che sta rinunciando alla propria influenza, Cercas si augura che a prendere il posto degli States non sia la Cina, ma l’Europa. “Se così non fosse staremmo mettendo a rischio un modo di vita privilegiato che stiamo vivendo e che molti danno ingenuamente per scontato. Questo non sorge spontaneo ma è il risultato del sudore e del sangue dei nostri antenati europei. Un’audacia straordinaria che chiamo eroismo della ragione e che ha eretto la società più pacifica, più libera, più solida si sempre. Non si tratta di trionfalismo ma di riconoscere un’evidenza storica. L’eroismo della ragione è l’impulso originario della nascita dell’Europa”.
Qui il video con l’intervento di Javier Cercas, che comincia al minuto 1:02:036