Con il capo avvolto nel suo turbante color sabbia, Emma Bonino è intervenuta lo scorso 25 luglio in Senato mentre si discuteva la conversione in legge del decreto 84/2018, che dispone la cessione a titolo gratuito, al governo libico, di 12 unità navali italiane. Il fine del provvedimento è di «incrementare la capacità operativa della Guardia costiera del Ministero della difesa e degli organi per la sicurezza costiera del Ministero dell’Interno libici nelle attività di controllo e di sicurezza per il contrasto dell’immigrazione illegale e della tratta di esseri umani».
Per la leader di +Europa questa legge altro non è che una continuazione delle decisioni e delle politiche adottate in passato, dal 2008 in poi.
Durante il suo discorso, la Bonino ha criticato le scelte del governo sulla gestione dei flussi migratori nel Mediterraneo, denunciando la continuità di certe politiche che vanno interrotte e ripensate. “Noi non stiamo collaborando con il Governo al-Sarraj, perché questo non esiste. Non si può collaborare con un’entità che non controlla nulla. Sapete perfettamente che la Libia è fatta di due stati, tre parlamenti e centinaia di milizie che controllano il territorio, le une contro le altre. Voi state continuando a rafforzare le milizie che si spartiranno il controllo delle motovedette – senza salvare nessuno – così come si spartiscono tutti gli altri traffici illeciti, dal petrolio alla droga, che pare non interessino a nessuno”.
Le convenzioni internazionali non parlano di porti sicuri ma di posti sicuri e la Libia non lo è.
Nella Libia post-Gheddafi l’unificazione socio politica del paese non è mai avvenuta, anzi. Lo stato è sempre più disgregato nei suoi regionalismi e tribalismi, acuiti anche dal ruolo degli attori internazionali che hanno appoggiato i diversi gruppi interni con l’intento di ottenere influenza all’interno del paese.
Ad oggi la Libia è gestita da centinaia di milizie, alleate in due coalizioni principali: la prima, quella del Governo di Accordo Nazionale guidato dal Presidente Fayez al-Sarraj, con sede a Tripoli, riconosciuto dall’Onu come il solo governo legittimo in Libia. La seconda è quella del feldmaresciallo Khalifa Haftar, leader del governo cirenaico di Tobruk.
Le alleanze tra le milizie sono poco stabili e fortemente mutevoli; nonostante questo, esse giocano un ruolo importante nel processo di industrializzazione e di controllo dei traffici illeciti, quello degli esseri umani in primis. La gestione dei traffici, infatti, permette loro di espandere la loro influenza sul territorio.
“Voi credete davvero di poter prosciugare l’oceano con un secchio?”, prosegue Emma Bonino.“Io credo che la lotta ai trafficanti può avvenire solo con l’apertura di canali legali di ingresso controllati. Le convenzioni internazionali non parlano di porti sicuri ma di posti sicuri e la Libia non lo è. Ce lo dicono la Corte Europea dei Diritti Umani, la Commissione Europea. Non ci vanno i diplomatici, non ci vanno gli ambasciatori, salvo il nostro, e la Farnesina sconsiglia di andarci. Anche il vicepremier di Sarraj se ne è andato l’altro giorno da Tripoli per problemi di sicurezza”.
I migranti soccorsi in acque internazionali nel Mediterraneo non devono quindi essere riportati in Libia ma in un porto sicuro, come prevede il diritto internazionale e marittimo. Gli attivisti di Medici Senza Frontiere (Msf) sono i primi ad affermare che la Libia non può essere considerata una soluzione accettabile per prevenire gli arrivi in Europa. E l’Italia, con le sue politiche, sta di nuovo mettendo in atto il respingimento dei migranti – questa volta però delegandolo alla guardia costiera libica – rispediti in un paese in cui rischiano di subire trattamenti disumani e degradanti.
Voi sapete come me che queste persone sfuggono dalla miseria e dalla fame, alla ricerca di una possibilità di vita migliore.
Reportage, inchieste, fotografie: le testimonianze di centinaia di profughi rimandati in Libia sono ormai sotto gli occhi di tutti. Raccontano di stupri, violenze, sfruttamenti, torture. Chi non ha la fortuna di arrivare a destinazione, viene rinchiuso in centri di detenzione sovraffollati, senza acqua corrente, privi di un sistema di areazione adatto. Un unico bagno per seicento o mille persone. Bambini spesso senza un genitore o un accompagnatore, anziani, disabili, malati e donne incinte. Non esistono sistemi di registrazione formale, quindi non si conosce esattamente il numero di detenuti, la loro identità e cosa gli accade una volta entrati.
“Voi sapete come me che non c’è pacchia che tenga. Voi sapete come me che non sono in crociera. Voi sapete come me che non ci sono i taxi del mare. Voi sapete come me che queste persone sfuggono dalla miseria e dalla fame, alla ricerca di una possibilità di vita migliore. E non mi raccontate di centri eccellenti. Ce n’è uno dell’ Unhca (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) in costruzione con 160 posti. Solo 9 o 10 sono visitabili dall’Unhcr. Tutti gli altri, centinaia di centri, non sono visitabili da nessuno. Sono luoghi di tortura, di stupro, di violenza”. Alcuni di questi centri sono stati ricavati da vecchi magazzini: a Tripoli avevano usato anche i magazzini dello zoo per detenere i migranti.
Oltre alle condizioni dei centri di detenzione, il problema riguarda anche la condotta violenta dei guardacoste libici verso i migranti da soccorrere.
Basti ricordare l’episodio della nave dell’Ong tedesca Sea-Watch, impegnata, lo scorso 6 novembre, nel soccorso di un barcone di migranti a largo delle coste libiche. In quell’occasione 50 persone hanno perso la vita sotto gli occhi dei soccorritori e dei libici, impegnati a filmare con il telefono i migranti in mare e a lanciare patate ai volontari della Ong – ostacolando il loro intervento – mentre i migranti affogavano sotto ai loro occhi. Tra loro anche un bambino di due anni, il cui corpo è stato recupero da Gennaro Giudetti, uno dei volontari italiani a bordo della nave tedesca, testimone diretto dell’accaduto.
“Il vostro lontano dagli occhi lontano dal cuore, testimoniato dall’espulsione anche delle navi delle Ong, fomenta questa schizofrenia totale”, tuona Emma Bonino.“Pensate alla sofferenza di queste persone, che hanno come unico demerito il fatto di avere il colore della pelle diverso dal nostro. Ma ricordate che hanno il sangue rosso come tutti noi, hanno figli come tutti voi. Se verso queste persone, oltre al diniego, ci risparmiassimo gli insulti, ci faremmo un favore (…) La mobilità è globale e non la fermerete di certo voi”.
Gli insulti qualificano chi li fa non chi li riceve.
In aula non sono mancati i commenti e le urla provenienti dalle fila dell’opposizione, presa in causa dalle affermazioni della Bonino. “Io so che in quest’aula tutto mi è ostile. Ma contavo sulla vostra personale cortesia democratica. Non è possibile che le pochissime voci che sono in disaccordo debbano ricevere minacce, insulti e mancanza di rispetto anche in quest’aula. E vi ricordo che non siete alla curva sud. Siete nell’aula più alta delle istituzioni democratiche di questo paese. Voi dovete dare l’esempio di compostezza istituzionale, di rispetto per le opinioni diverse. Trattenete gli insulti perché, come ha detto qualcuno più importante di me, «gli insulti qualificano chi li fa non chi li riceve»”.
Qui l’intervento della senatrice Emma Bonino.