Immaginate un paese con una grande storia alle spalle trattato da quaranta anni come un appestato sulla scena internazionale. Un paese stritolato dalle sanzioni economiche e con un’economia vicino al collasso. Una nazione con grandi ambizioni da potenza regionale che ha appena subito uno smacco durissimo con l’uccisione del suo generale più importante da parte del nemico storico. Un paese attraversato da continue proteste, puntualmente represse con violenza e, ultimamente, dall’epidemia di un nuovo virus.Questo paese esiste, si chiama Iran e il 21 febbraio i suoi cittadini sono stati chiamati a votare per il Parlamento.
Intendiamoci, l’Iran non è certo un paese democratico – è alla posizione numero 151 su 167 del Democracy Index– ma le elezioni sono comunque un passaggio importante nella sua vita pubblica.
Al vertice del potere iraniano si trova la Guida Suprema, scelto tra i più alti rappresentanti del clero sciita; ruolo ricoperto dal 1989 dall’ayatollah Ali Khamanei (nella foto in alto). La Guida Suprema controlla il Consiglio dei Guardiani, il potente organo che decide chi può partecipare o meno alla vita politica iraniana. Oltre alla Guida Suprema e al Consiglio dei Guardiani vi sono poi il Presidente e il Parlamento, che seppur sotto il controllo dei religiosi sono pur sempre eletti a suffragio universale (anche femminile).
Prima delle elezione dello scorso 21 febbraio il Parlamento iraniano era controllato da una coalizione di riformisti e conservatori moderati, e anche il Presidente Hassan Rouhani era espressione della stessa alleanza. È grazie a questo blocco se l’Iran negli scorsi anni aveva fatto degli importanti passi di distensione nei confronti della comunità internazionale, a partire dallo storico accordo sul nucleare del 2015. Le ultime elezioni sono state un banco di prova dei risultati ottenuti da tutto lo schieramento.
Alla vigilia del voto l’analista politico dell’Università di Singapore Tan Feng Qin ha riassunto così lo scenario politico: “la situazione da cui veniamo in Iran è quella di un Parlamento formato da una coalizione di riformisti e conservatori moderati i cui risultati sono stati fiacchi. L’economia non è migliorata e gli iraniani sono frustrati dalla mancanza di progressi sulle questioni politiche ed economiche. Ci si aspetta che l’affluenza degli elettori sia bassa, anche perché il Consiglio dei Guardiani ha impedito la partecipazione della vasta maggioranza dei candidati riformisti più conosciuti. Da una parte ci sono quindi persone deluse dallo stato dall’economia e dall’altro ci sono i sostenitori dei riformisti che potrebbero boicottare le elezioni in segno di protesta per l’operato del Consiglio dei Guardiani”.
Le previsioni si sono avverate: l’affluenza è stata solo del 42,5 per cento, e dei 290 seggi del Parlamento 191 sono andati ai conservatori radicali e solo 16 ai riformisti. L’esito del voto è stato quindi determinato dalle debolezze dei due schieramenti iraniani. Da una parte i progressisti al governo che hanno accumulato una serie di pesanti sconfitte: il fallimento dell’accordo sul nucleare (unilateralmente affondato da Donald Trump), la stagnazione dell’economia, l’uccisione del generale Qasem Soleimani all’inizio del 2020. Dall’altra i conservatori radicali, che tramite l’azione del Consiglio dei Guardiani, hanno escluso un gran numero di candidati riformisti, togliendo credibilità alle elezioni e spingendo gli elettori riformisti all’astensione. I Guardiani sono stati particolarmente intransigenti, tanto da escludere oltre 7000 candidati dalle elezioni, alcuni dei quali erano addirittura parlamentari uscenti.
Il Parlamento dovrebbe riflettere la voce del popolo e la voce del popolo è varia.
Uno di questi, Mahamod Sadeghi, ha commentato così la sua esclusione: “non è stata una sorpresa per me, considerano il mondo in cui il Consiglio dei Guardiani prende le sue decisioni. Non mi hanno fornito delle prove soddisfacenti, [si sono limitati] ad alcuni commenti [sulla mia presenza] nei media e sui miei tweet”. “Le interferenze del Consiglio dei Guardiani”, ha proesguito Sadeghi “hanno danneggiato la sua posizione e la sua reputazione e a differenza di quello che dicono l’hanno fatto per l’interesse dell’establishment. Il Parlamento dovrebbe riflettere la voce del popolo e la voce del popolo è varia. Dovrebbero lasciare diverse opinioni essere presenti e questo porterebbe a un Parlamento dinamico e darebbe al popolo speranza”.
Alle molte accuse di questo tipo ha risposto Abbas Ali Kadkhodee, il portavoce del Consiglio dei Guardiani, con una dichiarazione che dà l’idea dell’arbitrio che regna in tutta la questione: “un candidato deve avere una buona reputazione ed essere fedele alla costituzione. Non si tratta di questioni che possono essere provate davanti a un giudice. Il Consiglio dei Guardiani deve semplicemente verificare se [i candidati] sono fedeli alla costituzione o meno”.
Al di là della distribuzione del vero potere – che era e rimane nelle mani della Guida Suprema – queste elezioni mostrano un Iran debole e diviso, senza una chiara idea della direzione da seguire: se la linea dei riformisti è fallita sotto il peso degli insuccessi non sembra che i conservatori radicali abbiano molto più margine di manovra rispetto a chi li ha preceduti.