Qualche settimana fa ha destato una certa preoccupazione la decisione della Commissione Europea di dimezzare la stima di crescita del prodotto interno lordo (Pil) italiano per l’anno 2020, portandola dallo 0,7 per cento previsto in estate allo 0,4 per cento. Il Pil è infatti il parametro più utilizzato per definire il grado di sviluppo e di ricchezza di uno Stato e molte delle politiche messe in atto dai governi dei Paesi economicamente avanzati sono finalizzate a favorirne la crescita.
Ma se il Pil non fosse la misura giusta da tenere in considerazione per stabilire il benessere di uno stato? Se esistesse un parametro migliore?
È di questa opinione l’accademico e saggista inglese Richard Wilkinson, impegnato da oltre quarant’anni nello studio degli effetti delle disuguaglianze sociali. Come spiega all’inizio di una famosa TED talk di qualche anno fa, infatti, prendendo in considerazione diverse misure relative ad aspetti sociali e sanitari di una popolazione (aspettativa di vita, mortalità infantile, mobilità sociale, alfabetizzazione, obesità e altre) si vede chiaramente come queste non siano correlate al reddito interno lordo, un derivato del Pil.
Esiste invece una stretta relazione tra queste misure e un altro fattore: il livello di disuguaglianza nella distribuzione del reddito. Guardando i risultati delle analisi di Wilkinson e colleghi – dove questo aspetto viene rappresentato mediante il rapporto tra il reddito medio del 20 per cento più ricco della popolazione e quello del 20 per cento più povero – si nota infatti come nei Paesi caratterizzati da una maggiore disuguaglianza i problemi sociali siano più diffusi e rilevanti.
“Il benessere medio delle nostre Società non dipende più dal reddito nazionale o dalla crescita economica”, spiega Wilkinson, “sono fattori molto importanti nei Paesi poveri: non nel mondo ricco e sviluppato. Qui contano le differenze esistenti tra noi e dove ci posizioniamo l’uno rispetto all’altro”.
Facciamo degli esempi. Prendendo in considerazione il livello di fiducia di una popolazione – ovvero “la percentuale di cittadini che concorda con il fatto che gli altri siano degni di fiducia” – si nota che nei Paesi con una maggiore disuguaglianza nella distribuzione del reddito, come Portogallo e Stati Uniti, questa può essere addirittura inferiore al 15 per cento, mentre nei contesti più egualitari, come Giappone, Svezia e Norvegia, arriva a raggiungere il 60-65 per cento.
Un altro esempio: il tasso di omicidi. Analizzando i dati relativi agli Stati americani e le province canadesi si vede che in quelli meno egualitari questo parametro può arrivare a oltre 150 uccisioni per milione di abitanti, mentre in quelli con meno differenze di reddito si aggira intorno ai 15. Lo stesso rapporto di 1:10 emerge poi in merito al numero di detenuti: 400 ogni 100.000 abitanti nei contesti meno egualitari, 40 in quelli più egualitari. “I Paesi con maggiori differenze di reddito sono anche quelli con una maggiore tendenza a mantenere la pena di morte”, aggiunge Wilkinson.
Qui contano le differenze esistenti tra noi e dove ci posizioniamo l’uno rispetto all’altro.
Molto significativi sono poi i dati relativi alla salute mentale, al centro dell’ultimo lavoro del ricercatore inglese – “The Inner Level” –, scritto insieme a un’altra protagonista della ricerca mondiale sulle disuguaglianze: Kate Pickett. Prendendo come riferimento la percentuale di cittadini che ha avuto problemi di natura psichiatrica (compresi quelli legati alle dipendenze), infatti, si nota come questa arrivi al 20-25 per cento nei Paesi meno egualitari, mentre in quelli con differenze di reddito minori scende fino all’8 per cento. Fa eccezione l’Italia, con una percentuale di abitanti con problemi psichiatrici molto bassa (8 per cento) a fronte di un alto livello di disuguaglianza nella distribuzione del reddito. Un dato che secondo gli autori potrebbe essere legato alla presenza, nel nostro Paese, di “strette relazioni familiari”.
Wilkinson e Pickett ipotizzano anche dei possibili meccanismi psicosociali sottostanti la relazione tra salute mentale e distribuzione del reddito. Rifacendosi ai lavori di Oliver James, Alain de Botton, Robert Frank e Richard Layard, i due ricercatori sottolineano come nei contesti meno egualitari il concetto di classe sociale acquisti maggiore importanza, favorendo lo sviluppo di disturbi d’ansia legata a fattori come la competizione, l’insicurezza e la preoccupazione del giudizio altrui. Una relazione, questa, che trova riscontro anche a livello fisiologico. Nel 2004, una metanalisi in cui sono stati integrati i risultati di 208 studi ha messo in evidenza come le minacce di tipo socio-valutativo siano quelle che determinano la maggiore produzione di cortisolo, l’ormone dello stress.
Non importa molto come si arriva a una maggiore equità, purché ci si arrivi in qualche modo.
Inevitabilmente, tutti questi risultati hanno delle implicazioni di natura politica. Prendendo in considerazione i due Paesi più egualitari del mondo – Svezia e Giappone –, ad esempio, Wilkinson sottolinea come nonostante entrambi raggiungano ottimi risultati in termini socio-sanitari si tratti in realtà di due contesti estremamente diversi. “Non importa molto come si arriva a una maggiore equità, purché ci si arrivi in qualche modo”, spiega.
Infatti, mentre in Giappone la differenza tra i redditi più alti e quelli più bassi è semplicemente molto ridotta e lo Stato si limita a tassare poco tutta la popolazione, in Svezia questo gap è invece molto elevato ma viene bilanciato con una tassazione fortemente progressiva e uno stato sociale molto forte.
Uno degli aspetti più interessanti di questo tipo di politiche, infine, è che nei Paesi più egualitari non sono soltanto i poveri a stare meglio, ma anche i ricchi. Wilkinson lo dimostra portando ad esempio uno studio che aveva messo a confronto i tassi di mortalità infantile della Svezia con quelli di Inghilterra e Galles. Mentre nel Regno Unito esiste una forte disuguaglianza nella distribuzione del reddito e la mortalità infantile è nettamente superiore nelle classi sociali più povere, in Svezia l’incidenza di decessi infantili è relativamente costante. A dimostrazione dell’universalità dei benefici di una società più egualitaria, tuttavia, in qualsiasi punto della scala gerarchica della società svedese il tasso di mortalità infantile è inferiore rispetto a quello relativo alla fascia di popolazione inglese e gallese più ricca.
Richard Wilkinson sarà uno dei relatori del Convegno “4Words: le parole dell’innovazione in Sanità”, quarta riunione annuale del progetto Forward, in programma a Roma il 30 gennaio 2020.