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Photo by Continentaleurope / CC BY-SA

Daphne Caruana Galizia: una storia maltese, una storia europea


Chi tace e chi piega la testa muore ogni volta che lo fa, chi parla e chi cammina a testa alta muore una volta sola”. Questa frase di Giovanni Falcone è quella scelta da Jason Azzopardi per descrivere chi era Daphne Caruana Galizia, la giornalista maltese assassinata con un’autobomba il 16 ottobre 2017, quale sia stato il senso del suo lavoro e cosa si deve imparare dalla sua morte. “Noi dobbiamo essere gente dello Stato. Daphne aveva un altissimo senso dello stato”.

L’occasione per Azzopardi, avvocato della famiglia della reporter, è la presentazione, al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia, del documentario “Daphne – Esecuzione di una giornalista”, realizzato da Carlo Bonini e Giuliano Foschini de La Repubblica, entrambi presenti sul palco insieme all’avvocato e a Mario Calabresi.

Daphne era una forza della natura, unica, irripetibile. Con il suo coraggio, la sua determinazione di non guardare in faccia a nessuno, ha stabilito degli standard professionali, etici, mai visti nel mio paese ”, racconta.

È stata uccisa quando era più vulnerabile nella sua vita.

Aveva 53 anni Caruana Galizia, quando è stata uccisa. Nel 2017 era stata la prima a denunciare il coinvolgimento dei politici maltesi Konrad Mizzi e Keith Schembri nei traffici descritti nei Panama Papers, l’investigazione per cui l’International Consortium of Investigative Journalists ha vinto il premio Pulitzer nel 2017.

Di denunce contro la corruzione dei membri del governo dell’isola europea, forse non della stessa portata internazionale ma della medesima serietà dei Panama Papers, Daphne ne ha lanciate a centinaia dal suo blog, “Running Commentary. Nella sua vita, ha ricordato il figlio Paul in un discorso all’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) solo pochi mesi dopo l’attentato, Daphne aveva ricevuto “innumerevoli minacce di morte, attacchi incendiari, 57 denunce”. Aveva anche il conto in banca congelato ormai da mesi.

Proprio mentre andava in banca per risolvere quest’ultimo problema è stata fatta saltare in aria, in una Peugeot 108 presa in affitto. “È stata uccisa quando era più vulnerabile nella sua vita, quando era praticamente isolata (…) e chi l’ha uccisa questo lo sapeva”, racconta Azzopardi.

Daphne era una persona molto prudente”, prosegue l’avvocato. “Non lo faceva per la pubblicità, lo faceva perché aveva il senso dello Stato, che credo sia qualcosa di cui abbiamo bisogno tutti noi, ovunque viviamo. Perchè se domani vogliamo un’Europa migliore di quella che abbiamo, la libertà di espressione del giornalista è fondamentale, indispensabile. Ma il momento in cui l’abbiamo e la diamo per scontata, è il momento in cui la perdiamo”.

Il modo migliore per onorare la memoria di un giornalista che non c’è più, che è stato ridotto al silenzio”, tiene a sottolineare Bonini, “è quello di proseguire il suo lavoro, di mostrare a chi ha ordinato la sua morte che si può fermare un giornalista ma non si può fermare la ricerca della verità”. In particolare, il lavoro di Daphne viene e verrà continuato da ben 18 testate giornalistiche – tra cui anche La Repubblica – che si sono riunite per creare il “Daphne Project”, un progetto editoriale condiviso che ha lo scopo di portare a termine le inchieste della giornalista maltese.

Quando muore un giornalista il problema non è la morte di un giornalista, il problema della morte di un giornalista è che la collettività perde un pezzettino della sua libertà (…) noi questa sera, in queste settimane, in questi mesi non abbiamo raccontato una storia che riguarda Malta, una piccola isola abitata da 400mila anime”, prosegue Bonini. “Daphne è una storia europea è una storia che ci riguarda, così come Malta è un caso che riguarda l’Europa. Il destino di Malta non è il destino di un’isola è il destino di un pezzo della nostra vita (…) questo racconta la fine di Daphne”.

L’omicidio di Daphne è una storia che ci riguarda direttamente.

Che non sia solo una storia maltese è un particolare che ci tiene a ribadire anche Giuliano Foschini. Foschini aveva conosciuto la giornalista nel maggio del 2017: “Tu (Mario Calbaresi, ndr) mi avevi mandato a Malta per tutt’altro: dovevamo seguire un signore che è capo di gabinetto della sindaca di Roma, che aveva delle società a Malta”, ricorda. “Chiacchierando, tre persone consecutivamente mi parlarono di questa giornalista maltese che aveva le chiavi per spiegare tutto quello che accadeva a Malta”.

L’omicidio di Daphne, come la storia di Malta, è una storia che ci riguarda direttamente. I soldi della criminalità organizzata italiana sono in moltissime delle società che hanno sede in quel Paese. La storia maltese ci riguarda direttamente perché è in tutte le indagini di corruzione. Ho citato prima la vicenda Marra, ma ne potrei citare altre quattro o cinque. Ci sono società maltesi che garantiscono l’anonimato attraverso le quali circola il denaro delle tangenti, della nostra corruzione, della corruzione del nostro Paese”, conclude il giornalista.

Parlare di Daphne significa parlare di giornalismo, ma parlare di Malta significa parlare dell’Italia e di tutto il resto dell’Europa”.