Il 9 aprile scorso, in piena pandemia Covid-19 e sullo sfondo di forti tensioni sociali, il presidente della Repubblica del Cile, Sebastian Pinera, ha approvato la proposta per l’aggiornamento delle Ndc, Nationally Determined Contributions. Questo è il documento che ogni stato aderente all’accordo di Parigi dovrebbe redigere entro la fine di quest’anno con l’intento di determinare l’impegno volontario per scongiurare l’aumento delle temperature globali oltre i 2°C.
Il Cile si impegnerebbe, quindi, ad azzerare le emissioni nette di anidride carbonica entro il 2050. Oltre a questo, si impegna anche a ridurre le emissioni annue del 70 per cento entro il 2030, e quelle derivanti dalla deforestazione del 25 per cento. Un obiettivo che porta il Cile ad essere il primo stato situato nelle due Americhe a prendersi un impegno così ambizioso e difficile da raggiungere.
A raccontarlo è Marcelo Mena, ex-ministro all’ambiente del Cile, durante una delle interviste della serie “Ricostruire meglio”, un ciclo di interviste TED con alcuni dei leader globali su temi come clima, salute e tecnologia. Mena è attualmente impegnato nella lotta contro il cambiamento climatico, con un piano che prevede di rivoluzionare l’economia cilena, portando al contempo le emissioni nette di carbonio a zero e riducendo anche il divario tra ricchi e poveri nel Paese.
Raggiungere la carbon neutrality, l’azzeramento delle emissioni di diossido di carbonio, in un’economia così dipendente da quelle stesse emissioni come quella cilena, non è certo semplice. Ma l’ex-ministro Mena è molto fiducioso, come spiega alla reporter Whitney Pennington Rodgers .
“Il Cile ha una visione ambiziosa in termini di mitigazione perché ne abbiamo visto il grande vantaggio economico. Siamo stati testimoni di ciò che il settore delle energie rinnovabili è stato in grado di fare per gli investimenti, per ridurre i costi energetici”.
Da qualche anno, infatti, il Cile è diventato uno dei mercati delle energie rinnovabili più importanti e fiorenti di tutta l’America Latina. Secondo GlobalData, il Cile, nel periodo che va dal 2000 al 2018, avrebbe avuto un tasso di crescita del mercato delle rinnovabili del 31,5 per cento. E, a quanto pare, nemmeno i disordini iniziati alla fine del 2019 e culminati con lo spostamento della COP 25, la conferenza sul clima delle Nazioni Unite, da Santiago a Madrid, in Spagna, sarebbero riusciti a far fuggire gli investitori.
Lo conferma, ad esempio, l’annuncio dello scorso dicembre in cui il produttore di energie rinnovabili spagnolo Acciona ha dichiarato che nel 2020 costruirà due grandi impianti per le rinnovabili, uno per l’energia eolica e uno per quella solare.
Tra i prossimi obiettivi del Cile non c’è solo quello di diventare “inevitabilmente al 100 per cento rinnovabile”, ma anche quello di trasformare completamente l’economia industriale del Paese che, come già detto, è molto dipendente dalle emissioni di carbonio. In passato, tuttavia, il paese sudamericano non è sempre stato così tanto ambizioso in termini di ambiente.
“Nel 2011- 2010, c’è stata una discussione sull’energia con le persone al tempo responsabili del settore, secondo i quali l’unico modo per risolvere i nostri problemi energetici sarebbe stato attraverso il carbone e l’energia idroelettrica nella Patagonia”, ricorda Mena. Solo dieci anni fa dunque, l’intenzione non era quella di abbandonare le fonti di energia più tradizionali, ma di ampliarle con grandi progetti idroelettrici e con centrali elettriche a carbone.
Questo intestardimento del governo ha però portato a forti disordini pubblici e proteste che hanno fermato la costruzione di una serie di centrali elettriche che avrebbero prodotto 6000MW. Per esempio, nel 2014 hanno portato allo stop del controverso progetto HidroAysén, che con le previste cinque centrali elettriche avrebbe messo in pericolo moltissime zone protette nella Patagonia cilena.
Se non avessimo preso misure per ridurre l’inquinamento atmosferico, come abbiamo fatto in Cile negli ultimi 20 anni, il numero di morti per Covid sarebbe stato cinque volte maggiore.
Uno dei motori delle proteste, queste come quelle del 2019, è stato il fatto che questo modello economico richiede il sacrificio di molti per il bene di pochi. In Cile “si trovano grandi centrali elettriche a carbone in molti centri abitati… Coloro che vivono vicino a una centrale hanno un tasso di mortalità doppio rispetto a chi abita in altre zone”, spiega l’ex ministro all’ambiente. Questa è l’evidente conseguenza di una società e un’economia iniqua, fondata sullo sfruttamento della forza lavoro e dell’ambiente; un modello che il Cile ha compreso essere insostenibile sia per i propri abitanti che per la salvaguardia del territorio e delle risorse naturali.
E l’emergenza coronavirus non ha fatto altro che amplificare questa consapevolezza, mostrando l’importanza delle misure prese negli anni passati e ancora più di quelle ancora da prendere. Mena cita uno studio della Harvard University che ha mostrato che i tassi di mortalità più elevata dovuti al SarsCov2 si riscontrano prevalentemente nelle città più inquinate e che è stato la base per alcuni studi condotti indipendentemente dal suo centro di ricerca, il Centro de Acción Climática della Pontificia Universidad Católica de Valparaíso. “Se non avessimo preso misure per ridurre l’inquinamento atmosferico, come abbiamo fatto in Cile negli ultimi 20 anni, il numero di morti per Covid sarebbe stato cinque volte maggiore. Abbiamo avuto circa 800 persone morte direttamente a causa della Covid-19, ma questo numero sarebbe stato molto più elevato se non avessimo preso questi provvedimenti”.
Ma non è solo questione di Covid-19: ambiente e salute sono strettamente collegati; è ormai consolidato, per esempio, il legame tra inquinamento e diverse malattie cardiovascolari e respiratorie. I cileni sembrano averlo capito ed è anche per questo che si stanno organizzando per cambiare il proprio paese e salvaguardare le risorse naturali.
Certo, il modello cileno e gli strumenti previsti dal paese sudamericano per affrontare la trasformazione di una società da dipendente dai combustibili fossili a una completamente green non sono immediatamente esportabili e applicabili indiscriminatamente ovunque. La tassa sulle emissioni ad esempio, potrebbe funzionare in Cile, ma non in Venezuela, o addirittura in Italia.
Tuttavia c’è una lezione che si può imparare dal Cile, ed è che un progetto tanto ambizioso può essere raggiunto solo grazie ad una forte e trasparente collaborazione tra le parti in causa: governo, cittadini e politici uniti e in costante dialogo per un obiettivo ritenuto da molti impossibile, la salvaguardia di un Paese, di un popolo, di un pianeta e tutti i suoi abitanti.