“Le frontiere si pensavano scomparse e invece non è così”. In pochi anni si è passati dall’idea di “villaggio globale” a un mondo in cui le frontiere tornano a farsi sentire e vedere: simboli di vecchie e nuove rivalità, elementi essenziali per garantire la sopravvivenza dello Stato. Questa è la verità che emerge dalla conversazione tra Fabio Geda e Carlos Spottorno durante la presentazione della graphic novel La Crepa (Add Editore) al centro culturale Polo del ‘900, a Torino.
D’altra parte, chi avrebbe potuto raccontare la fisionomia dell’atlante di oggi meglio dello scrittore torinese e del fotografo spagnolo, coautore del volume, insieme al giornalista spagnolo Guillermo Abril? Quello di Spottorno e di Abril, vincitori del World Press Photo, è stato infatti un viaggio lungo le frontiere d’Europa, iniziato nel 2014, che ha toccato diverse tappe: Melilla, Lampedusa, il Mediterraneo, Bulgaria, Grecia.
Partendo dal concetto di frontiera come elemento elemento che genera esclusione e discriminazione, Spottorno riporta alcuni episodi emblematici che aiutano a delineare la mappa del presente. “Ci sono situazioni molto diverse. Per esempio, nella frontiera Marocco-Melilla si nota molta differenza economica. Vedi la gente vivere nei boschi, sotto il vento e la pioggia, dormendo sopra i sassi, senza coperte, senza nessun aiuto. C’è gente che passa mesi e anni così. È una situazione orribilmente stabile”.
“Nei Balcani, invece, la situazione era altrettanto orribile ma forse un po’ meno: c’era la Croce Rossa, c’erano volontari, associazioni. C’erano esercito e polizia, c’erano giornalisti. C’era del movimento”, prosegue il fotografo.“Ma anche lì sembrava di vedere delle immagini tratte da un film: cinquemila persone che camminano per i campi, bambini con lo zainetto in spalla, tutti in massa verso la Germania. È una cosa da non credere”.
Cinquemila persone che percorrevano la rotta balcanica; quella che dal Medio Oriente portava all’Europa centrale. Un tragitto che formalmente non è più percorribile da Marzo 2016, quando i paesi europei hanno chiuso le proprie frontiere impedendo ai migranti di proseguire il loro percorso verso il Vecchio Continente. Una chiusura decisa da un accordo tra Unione Europea e Turchia, con il quale quest’ultima si sarebbe impegnata a interrompere il passaggio dei migranti dalle coste turche alle isole greche.
Quando vedi questo barcone in mezzo al mare ti rendi conto di quanto sia fragile.
Si parla in questo caso di delocalizzazione dei diritti e di “esternazionalizzazione” delle frontiere che, come sottolinea Geda, “significa far fare il lavoro sporco agli altri. Esattamente quello che l’UE ha chiesto di fare alla Turchia con i siriani, e quello che ora sta chiedendo di fare alla Libia”.
L’espansione delle frontiere in Europa è un discorso più che mai attuale. Secondo Spottorno, in Europa ci sono tre forze fondamentali. La prima è rappresentata da quelli che credono che l’Europa sarebbe migliore se lo Stato nazione perdesse un po’ di potere cedendo una parte della sovranità a un’Unione Europea che funzioni bene, meglio di oggi. In secondo luogo c’è chi crede che bisogna suddividere i paesi in regioni, creando la cosiddetta Europa delle regioni, come nel caso catalano o della Brexit: ognuno con la sua moneta, con le sue regole. Infine, poi, ci sono gli identitari, dei quali si parla troppo poco, e che Spottorno identifica nei “bianchi cristiani europei che hanno quest’idea della lotta per la sopravvivenza del bianco europeo”. A tal proposito il fotografo ricorda il caso di Anders Breivik, il terrorista norvegese che nel 2011 uccise ben 77 persone durante il seminario estivo del Partito Laburista norvegese: erano progressisti, favorevoli a garantire maggiori diritti ai rifugiati, e per questo colpevoli “della decontrazione della cultura norvegese causata dall’immigrazione musulmana”.
Spottorno racconta anche la sua esperienza a bordo di una nave della Marina Militare italiana, coinvolta nell’operazione Mare Nostrum, attuata subito dopo il naufragio di Lampedusa. “Di solito i militari non parlano o ti fanno vedere solo quello che vogliono loro. Nel caso di Lampedusa i militari si sentivano sotto pressione, perché era un momento difficile, l’Italia era il paese cuscinetto della Germania. In quel caso i militari hanno voluto far vedere questo a tutto il mondo e ci hanno lasciato salire a bordo della nave”.
Il fotografo ricorda anche il momento in cui, insieme al collega Abril, ha potuto vedere da vicino l’azione di salvataggio della Marina. “Eravamo sulla nave e abbiamo visto questo barcone in mezzo al mare. E il mare è molto grande. Sembra un’ovvietà ma quando vedi questo barcone in mezzo al mare ti rendi conto di quanto sia fragile. E vedi le persone stanche, impaurite, spaesate. È stata una cosa che ci ha aperto gli occhi”.