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Photo by Sinn Féin / CC BY

La Brexit si gioca sul confine irlandese


Sono 499 i chilometri da fare per percorrere l’intero confine che divide l’Irlanda del nord, con capitale Belfast, e l’Irlanda del Sud con capitale Dublino. Proprio questo confine tra le due Irlande è uno dei nodi più importanti da sciogliere nella Brexit, come ha dichiarato la premier Theresa May lo scorso febbraio, in occasione di una conferenza stampa. Dopo la nuova bocciatura di ieri da parte del Parlamento britannico dell’accordo per l’uscita dall’Unione Europea (con 391 no e 242 sì), la situazione sembra complicarsi ancora di più.

Le ultime dichiarazioni sembrano sostenere che anche nel caso di un’uscita senza accordo – eventualità su cui il Parlamento è chiamato a votare oggi – non saranno implementati nuovi controlli su merci e beni. Eppure questa questione, come quella dei dazi, a cui è strettamente legata, è ancora tutta da risolvere.

Qualsiasi confine che passa attraverso fabbriche, campi, villaggi, che divide strade e sentieri e che viene attraversato da migliaia di persone ogni giorno rappresenta una sfida nel caso Brexit. Ma la sfida è ancor più grande se oltre ai fattori geografici pensiamo alla storia complicata dell’Irlanda del nord, alle diverse tradizioni e identità che caratterizzano la sua comunità, al lungo percorso verso la pace che i nord irlandesi hanno percorso”, aveva detto Theresa May a Febbraio.

Dalla fine degli anni Sessanta, per quasi trent’anni l’Irlanda del Nord è stata palcoscenico di durissimi scontri tra i cattolici, favorevoli all’unione dell’Irlanda, e i gruppi protestanti, che volevano invece restare nel Regno Unito. Oltre 3600 persone morirono durante i Troubles, cioè le violenze, le aggressioni e gli attentati – come la famosa strage del Bloody Sunday – che scandirono una guerra civile a bassa intensità che sembrava inarrestabile. Solo nel 1998 si mise fine a questi scontri con gli “Accordi del Venerdì Santo”, che stabilivano la permanenza dell’Irlanda del nord nel Regno Unito e cancellavano le pretese di sovranità del governo britannico su tutta l’isola.

Da quel giorno del confine è rimasto solo un brutto ricordo, testimoniato da quel che rimane dei tanti valichi di frontiera tra le due Irlande. Vicino a uno di questi c’è una scavatrice gialla, diventata monumento in memoria delle comunità che hanno tenuto aperte le strade durante i Troubles. L’hanno chiamata “border buster”. Venne acquistata con una colletta dagli abitanti del luogo per opporre resistenza all’esercito britannico che chiudeva o danneggiava sistematicamente le strade secondarie che attraversavano il confine – percorse abitualmente dai cittadini per andare a lavoro, in chiesa o per fare la spesa – per incanalare il traffico lungo i posti di blocco.

Avevo dodici anni quando iniziarono i Troubles e 41 quando venne raggiunto l’accordo di Belfast. Per tutta la mia età adulta, l’Irlanda del nord è stata una questione politica centrale. La collaborazione tra unionisti e nazionalisti, il lavoro che è stato fatto insieme in questi anni e i continui progressi sono stati importanti per la storia di quest’isola”, aveva continuato la premier inglese. “Da quando sono diventata Primo Ministro, sostenere e proteggere questi progressi è stata una mia priorità (…). So che molti di voi sono preoccupati per la bocciatura degli accordi sulla Brexit, ma io mi impegno a far sì che l’uscita dall’Unione non provochi la creazione di un confine fisico tra Irlanda del Nord e Irlanda”.

La bocciaura dell’accordo, la prima di Gennaio e quella di ieri sera, viene vista vista dagli irlandesi come una minaccia del ritorno di un confine fisico tra i due paesi, che limita la circolazione con continui controlli alla frontiera. Per evitare questa ipotesi, è previsto il cosiddetto “backstop”, una clausola che eviterebbe l’istituzione di un confine fisico tra le due Irlande. Backstop è un termine preso in prestito dal baseball, e indica la rete di protezione alle spalle del ricevitore. Si tratta di una protezione che permette di tenere la palla in campo ed evitare che esca, magari sulla faccia degli spettatori. Nel caso della Brexit vale lo stesso: si tratta di una soluzione d’emergenza per evitare non solo ricadute a livello economico – le prime conseguenze di un irrigidimento del confine – ma anche per evitare tensioni politiche ormai superate.

Io mi impegnerò perché non ci sia un confine fisico, perché le persone possano continuare a vivere la loro vita come stanno facendo ora.

Il meccanismo del backstop entrerà in vigore alla fine del 2020 – salvo proroghe – solo se il Regno Unito e l’Unione Europea non dovessero trovare un accordo post-Brexit sul confine irlandese. Contrarie al meccanismo sono sia un’ala interna al partito conservatore dei Tory, sia il “Democratic unionist party”, il partito della destra nordirlandese. Con la Brexit il confine diventerebbe non solo una frontiera tra le due Irlande, ma anche l’unica frontiera di terra fra la Gran Bretagna e l’Unione Europea. Irlanda e Irlanda del nord sarebbero soggette a regole doganali diverse: da una parte Dublino assoggettato al mercato unico europeo, dall’altra Belfast, nell’unione doganale di Londra.

Senza un confine fisico e una gestione dei traffici commerciali, Belfast si troverebbe a dover rispettare sia le regole del mercato unico europeo, sia a quelle di Londra. L’Irlanda del Nord rimarrebbe più integrata nel mercato unico europeo: è come se il confine venisse spostato dalla terraferma al tratto di mare che divide l’Irlanda e la Gran Bretagna. Per gli strenui difensori della Brexit questa eventualità è la negazione stessa della Brexit, promotrice di nuove politiche commerciali. Tra gli oppositori ci sono anche gli unionisti nordirlandesi, che temono che il backstop possa portare a un progressivo isolamento dell’Irlanda del nord dalla Gran Bretagna.

Lo so che l’idea di rimettere mano al “backstop” e di riaprire l’accordo sulla Brexit possa spaventare, perché è qui che si avvertiranno le conseguenze di qualsiasi accordo si trovi. So che la maggioranza dei votanti qui in Irlanda del Nord ha votato ‘remain’ e che molti pensano che le decisioni prese a Westminster hanno un impatto indesiderato in queste terre, ma io mi impegnerò perché non ci sia un confine fisico, perché le persone possano continuare a vivere la loro vita come stanno facendo ora”, aveva concluso May.

Subito dopo il voto di ieri, il ministro per la Brexit Stephen Barclay ha annunciato che la Gran Bretagna non applicherà dazi sull’87 per cento delle merci importate e che questa misura si applicherà anche a quelle in arrivo in Irlanda del Nord dalla Repubblica Irlandese.

E Stasera si voterà di nuovo: il Parlamento britannico dovrà decidere se optare per il “no deal”, cioè uscire dall’Unione Europea senza alcun accordo, oppure bocciare anche questo. Se così accadesse, giovedì il Parlamento è chiamato di nuovo a esprimersi per prorogare l’applicazione dell’Articolo 50 del Trattato di Lisbona, che permetterebbe di posticipare la data della Brexit, prevista il 29 marzo. In questo caso l’Unione Europea dovrebbe decidere entro il 21 marzo se voler riaprire i negoziati con il Regno Unito. In caso di decisione negativa tuttavia si creerebbe una situazione di stallo difficile da gestire.