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Photo by Giorgio Palmera /

Il Brasile alle elezioni, tra intolleranza, violenza e paura del diverso


Questa è una storia che va raccontata. E bene. Parla di Brasile, dei Mondiali 2014, delle successive Olimpiadi (2016) e di una Rio confusa a un passo dalle Presidenziali di domenica. Parla di favelas, transgender e prostitute. Di diversità e tolleranza. Di diversità e intolleranza. È una storia vera, raccontata da qualcuno che l’ha vista con i suoi occhi: Giorgio Palmera, “fotografo senza frontiere”.

Palmera ha 50 anni e da 20 presiede la Onlus Fotografi Senza Frontiere con l’obiettivo di insegnare la fotografia, come strumento di autorappresentazione, a ragazzi e bambini in aree critiche del mondo. “La fotografia di strada, il vivere nella strada, è la mia forza”, racconta. “È la chiave per entrare nelle persone. Tecnicamente la fotografia è possibile a molti. Che poi le persone si facciano raccontare, è un altro discorso. Puoi essere il più bravo del mondo, ma se le persone non decidono di fidarsi di te e regalarti l’anima non racconterai storie vere. E perché succeda, l’unica è stare seduti per strada con loro”.

È ormai qualche anno che Giorgio gira per le strade del Brasile, Paese delle tante contraddizioni. Paese che passa da una crescita rapida e imponente, straordinaria per un paese emergente, alla peggiore crisi mai vista dagli anni ‘30; da una sorprendente stabilità politica, con la sinistra al governo per oltre dieci anni, all’ingovernabilità; dalla tolleranza sociale tipica della sua base popolare, agli episodi di violenza diffusa contro le comunità di “diversi”. Paese, che domenica 7 Ottobre, sarà chiamato alle urne per eleggere il successore di Michel Temer, Presidente facente funzioni che ha sostituito Dilma Roussef dopo l’accusa di impeachment che l’ha costretta alle dimissioni nel 2016.

Puoi essere il più bravo del mondo, ma se le persone non decidono di fidarsi di te e regalarti l’anima non racconterai storie vere.

Ho iniziato entrando direttamente in una favela ed ho trovato un’umanità incredibile. Mi aspettavo di trovarla lì, non certo nei palazzoni di Ipanema, ma che fosse così forte non era scontato. Passavo dai vicoletti con narcotrafficanti armati di mitra (“il che non li faceva più violenti della polizia”) a signore (“magari anche le mamme di uno di questi ragazzi”) che mi cucinavano ricette meravigliose in misere casette. Il peggior posto del Brasile, secondo i cliché; per me il luogo migliore, più ricco di amore, d’apertura verso la cultura e di storie nascoste da raccontare”.

Come quelle emerse nei retroscena dei Mondiali, prima, e delle Olimpiadi poi. “La richiesta della Fifa in occasione di Rio 2014 e poi, durante le Olimpiadi, del Coni è stata quella di ripulire l’immagine delle città (…). Il Brasile doveva presentare un’immagine più pulita, meno violenta, accettabile (…). La risposta del Brasile è stata fare invasioni militari – armate, violentissime – nelle favelas. L’iter era: invasione del gruppo armato, il Bope (Batalhão de Operações Policiais Especiais, ben raccontato da questo documentario della Bbc, ndr)”. Seguono i patteggiamenti con i grandi narcotrafficanti legati alla polizia e il sacrificio dei meno forti e ben collegati. Si chiude con l’ingresso della cavalleria – l’esercito brasiliano – in “giacca e cravatta”.

Risultato: a 100 kilometri da Rio, dove erano stati mandati in vacanza i grandi narcotrafficanti, esplode un’onda di violenza a cui nessuno è abituato. I narcotrafficanti si impongono in una zona che non è la loro, mentre le favelas della città sono rioccupate da gruppi diversi. Al rientro dei primi il clash è violentissimo e il clima di terrore psicologico che ne scaturisce, inevitabile”. L’onda di violenza ricaduta sulla città è subito cavalcata dalle destre che riprendono sicurezza, guadagnando una quantità di consensi e contribuendo a creare il clima pre-elettorale che il fotografo trova al suo ritorno a Rio de Janeiro nell’estate 2018: agitato e caotico.

La gente è titubante tra il votare la “sicurezza” o il progresso.

I due candidati favoriti (dei nove totali) sono uno in galera e l’altro in ospedale. Lula, l’ex presidente leader del Partido dos Trabalhadores (finito in carcere con l’accusa di corruzione e riciclaggio di denaro in seguito all’inchiesta Lava Jato), che i primi sondaggi indicavano in testa con il 35 per cento delle preferenze, lascia il campo all’ex sindaco di San Paolo Fernando Haddad, che si ferma ad appena il 9 per cento. Al polo opposto, Jair Bolsonaro, riconfermato alla guida del Partido Social Liberal nonostante l’accoltellamento subìto durante un comizio e la sospensione quasi totale della sua campagna elettorale, conduce la corsa con il 24 per cento dei consensi.

La città non è più sicura “, continua Palmera descrivendo il sentore popolare. “La gente è titubante tra il votare la “sicurezza” o il progresso. La destra porta anche questo. Il Brasile è vero che è un paese aperto, ma di fatto è razzista (soprattutto da un punto di vista economico, ndr). È sempre stato molto aperto dal punto di vista umano (…). Soprattutto nei momenti sociali, come il Carnevale. Mai vista tanta gente ballare ed ubriacarsi, mai vista così poca violenza. Eppure nel Carnevale queste contraddizioni stanno gomito a gomito. Tutto questo sta già cambiando e rischia di cambiare seriamente”. La città è impaurita, si guarda male: ‘chi sei, da che parte stai?’ Si sono polarizzate le situazioni, anche dal punto di vista sociale. Questo si respira, dice Giorgio. E traspare anche dalle storie che racconta. Come quella di Isabel.

A un fotografo straniero prima di puntargli la pistola alla testa ci pensi.

Vivevo a Rio da un po’ (…) C’era una rete per avvisarci reciprocamente quando ci fossero state cose da raccontare. Anche perché da giornalista straniero, in certi casi era meglio che andassi io: a un fotografo straniero prima di puntargli la pistola alla testa ci pensi (…). Mi chiamano dicendomi che avevano fatto una pulizia dentro un “predio”, un’abitazione in cui vivono prostitute e trans”.

A loro la polizia chiedeva il pizzo da tempo, racconta il fotografo, finché le prostitute avevano smesso di pagare decidendo di affittare la palazzina e creare una sorta di cooperativa per difendersi dalla violenza (anche dei clienti). Così facendo avevano esautorato la polizia. Il fatto è stato semi-tollerato fino a quando, con la scusa delle Olimpiadi e della “pulizia”, hanno eliminato la struttura. Con il Bope, come in favela. Distruggendo il piano dove stavano le ragazze e violentandole.

Il giorno dopo noi siamo entrati di nascosto per raccontare questa storia. Abbiamo conosciuto una prostituta che era rimasta là e che stava raccontando ai giornalisti quello che era successo, rischiando: Isabel. Lei è stata la nostra guida dentro questo tour dell’orrore totale. La sera stessa, forse anche per colpa nostra la polizia l’ha sequestrata, l’ha torturata, l’ha minacciata di morte facendole vedere le foto del figlio (…). Invece di piegarsi, Isabel ci telefona, quella notte: ‘ venite adesso, voglio che questa cosa vada in onda”.

Le riprese sono diventate un documentario: “Isabel, the witness”. “È stata intelligente, perché alla fine questa cosa l’ha salvata, ma soprattutto è stata coraggiosa perché in quei casi sparisci in un quattro secondi e nessuno ti verrà mai a cercare”. Quella storia, il viso di Isabel, i suoi occhi, il coraggio di mettersi di fronte ad una telecamera e di raccontare l’accaduto pur sapendo che lei non è nessuno in questo mondo, dà al fotografo un’ulteriore spinta a proseguire alla scoperta di umanità alla ricerca di diritti. Diritti che l’attuale sindaco di Rio, Marcelo Crivella, evangelico, capo di una chiesa pentecostale, razzista e dichiaratamente anti-laico, non esita a cancellare.

Tutto questo sta già cambiando e rischia di cambiare seriamente.

Questo sindaco ha sdoganato il fatto che ci siano dei buoni e dei cattivi. E certamente il Movimento omosessuale, trans, lesbo, non è buono. (…) Nel mio ultimo viaggio ero in cerca di storie che raccontassero proprio di questo movimento (…) ed ho trovato che è il gruppo più agguerrito, presente in strada, che ha cose da dire e le rivendica senza paura”.

In risposta all’essere trasformati in mostri da questo sindaco, continua Giorgio, gli esponenti di questo movimento non sono rimasti nascosti ma sono scesi in strada. Orgogliosi, forti, nonostante la gente si senta legittimata, proprio da questa amministrazione, ad aggredirli: “Aumentano i casi di trans attaccati, malmenati, accoltellati per strada, cosa che a Rio, fino a qualche anno fa, non esisteva. Non che non ci fossero episodi violenti, ma sicuramente non per strada, non nelle spiagge, non in luoghi pubblici. E mai senza una reazione. Quindi la situazione è decisamente cambiata”.

Giorgio Palmera è già tornato a Rio, per raccontare le elezioni, per riprendere il discorso sull’amore transgender,  cominciato scattando delle foto incredibili (che sono anche sul suo profilo Facebook) al Festival “Arte e Censura”. “Sono stato ad una festa del Movimento, dove ho trovato un clima bellissimo, molto colto, molto libero e molto agguerrito. Ho fatto alcuni scatti e ho deciso che al mio ritorno seguirò alcune di quelle storie e attraverso quelle seguirò il Movimento (…) In un Brasile che non ha una grande tradizione di piazza e resistenza, loro potrebbero essere uno dei gruppi trainanti. Ed io vorrei stare con loro”.