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Photo by Lorie Shaull / CC BY-SA

Black Lives Matter, oggi come nel 2014


Sabato 13 e domenica 14 dicembre 2014. In tutti gli Stati Uniti milioni di persone scendevano per le strade in occasione delle #MillionsMarch ripetendo questi slogan: “Black Lives Matter”, “I can’t Breathe”, “No justice – No peace”. Gli stessi che risuonano dallo scorso 26 maggio, il giorno dopo la morte di George Floyd, afroamericano, 46 anni, deceduto a causa delle violenze di un poliziotto – Derek Chauvin – che lo aveva fermato fuori un negozio di Minneapolis.

I can’t breathe”, “Non riesco a respirare”, sono state tra le ultime di parole di George Floyd e, come hanno ricordato già in tanti, sono praticamente le stesse di Eric Gardner, ucciso allo stesso modo il 17 luglio 2014. La morte di Gardner e quella di Michael Brown, avvenuta poco dopo, il 9 agosto a Ferguson, in Missouri, hanno portato alla ribalta il movimento Black Lives Matter,un movimento per i diritti umani che affronti il razzismo in ogni contesto”, come raccontano le sue fondatrici Alicia Garza, Patrisse Cullors e Opal Tometi in una TED Talk del 2016.

Nell’autunno del 2014, questo movimento riuscì a trascinare centinaia di migliaia di persone in strada ogni settimana in tantissime città degli States. Non solo persone di colore, ma anche bianchi, come me, che sono scesa in strada a Berkeley (California) e nella vicina Oakland, dove oltre il 28 per cento della popolazione è afroamericana e circa il 34 per cento è bianca (il resto si divide tra asiatici e latinoamericani, anch’essi vittime frequenti di discriminazioni e razzismo).

 

Allora come oggi molte delle proteste erano pacifiche, e molte altre non lo erano per nulla. Soprattutto dopo il 24 Novembre, dopo che il Grand Jury decise di non perseguire Darren Wilson, il poliziotto responsabile della morte di Michael Brown, e dopo il 3 dicembre, quando lo stesso accadde per il responsabile dell’omicidio di Eric Gardner.

Della manciata di manifestazioni a cui ho avuto l’opportunità di partecipare, tuttavia, quella che mi è rimasta impressa, non è stata una rivolta, ma quella del 15 dicembre (mi pare), quando una moltitudine di pacifici dimostranti ha percorso le strade di Oakland per poi fermarsi davanti al dipartimento di polizia della città e dare vita a un sit-in. Nelle parole pronunciate quel giorno c’era rabbia, sì, ma c’era orgoglio, c’era determinazione e c’era speranza. Vedevo le persone intorno a me credere che il cambiamento fosse possibile.

Non possiamo più aspettare e non aspetteremo oltre che le nostre comunità siano al sicuro. Le nostre comunità sono in uno stato di emergenza.

Oggi – sei anni dopo – penso di essermi sbagliata. Non è cambiato molto, e quello che è cambiato sembra essere averlo fatto in peggio. Tanto per cominciare gli Stati Uniti oggi sono molto diversi da allora: se allora c’era un presidente di colore, oggi alla Casa Bianca c’è una persona profondamente razzista e autoritaria che giustifica e anzi richiede reazioni sempre più violente da parte delle forze dell’ordine. E anche se Derek Chauvin è stato arrestato, non si può ancora sapere quale sarà il suo destino.

Ancora oggi poi in troppe città – Oakland come Minneapolis – un uomo di colore non può concedersi il lusso di andare in giro per strada senza temere per la sua incolumità:In questa città hanno una probabilità ben 13 volte più alta di essere uccisi dai poliziotti rispetto agli uomini bianchi”, ha spiegato al New York Times uno dei manifestanti di Minneapolis dei giorni scorsi .

Ancora oggi, infine, come ricorda la stessa Alica Garza in un’intervista alla MSNBC, ci si continua a chiedere “perché non è stata fatta giustizia? Non solo in questo caso, ma anche nel caso di tante e tante persone di colore che sono state uccise dalla polizia o da vigilantes. Ancora e ancora quello che vediamo è che alle comunità nere viene detto di aspettare e di seguire le procedure, ma non viene mai riconosciuto il fatto che le regole vengono infrante a sfavore delle comunità di colore”.

Quello che mi chiedo è se questa volta il vaso non sia colmo. Sei anni dopo la nascita del movimento Black Lives Matter (e quattrocento dall’inizio dello schiavismo negli Stati Uniti) forse oggi, per davvero, le persone non ce la fanno più, come sembra trasparire dalle parole di Garza. “Quello che stiamo vedendo in tutto il paese è che le persone stanno dicendo ‘Non possiamo più aspettare e non aspetteremo oltre che le nostre comunità siano al sicuro. Le nostre comunità sono in uno stato di emergenza’. (…) Abbiamo aspettato la giustizia troppo a lungo, per le famiglie di persone come George Floyd, per le famiglie di persone come Oscar Grant (ucciso dalla polizia di Oakland la mattina di capodanno del 2009, ndr), per le famiglie di persone i cui nomi noi oggi conosciamo come una litania”.